Una curva del Napoli a Manhattan

6 febbraio 2019 | 16:39
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Una curva del Napoli a Manhattan
Una curva del Napoli a Manhattan
Una curva del Napoli a Manhattan

A New York c’è un posto dove per ogni partita sembra di essere al San Paolo del Napoli  a Manhattan Una curva
Frequentato da tantissimi vip è conosciuto per la pizza e il tifo Quando giocano gli azzurri, ecco il locale per seguirli Oltreoceano
La terza curva del San Paolo nacque il giorno in cui tutti e due fissarono la parete più grande della sala. «C’era un televisore che trasmetteva film di Fellini in bianco e nero – racconta Rosario – io e Pasquale, senza neanche parlarci, pensammo la stessa cosa». Su quella parete avrebbero piazzato un maxi schermo per vedere tutte le partite del Napoli. E i big match delle altre. «Perché ci fosse finalmente uno spazio aperto a tutti».
ribalta. Manhattan, 48 east sulla 12th: il Napoli Club New York è nato grazie al coraggio sentimentale di due napoletani, Rosario Procino e Pasquale Cozzolino. Quel giorno decisero di rilevare un ristorante in declino, senza cambiarne il nome, Ribalta, perché la pizza restasse a dominare la scena, ma trasformandolo in quello che per i magazine americani è il ristorante dove si mangia la migliore pizza napoletana a New York. Da qui sono passati McEnroe, Brook Shields, Pino Daniele, Bono, mister Big di Sex & The City. E molti giocatori. «Ciro Immobile, l’estate scorsa, per una settimana è stato a pranzo e a cena, un ragazzo veramente gentile – racconta Rosario – Bonaventura è passato prima di andare a Pittsburgh per operarsi, e poi Albiol, Caniggia, Vieira». Quando Andrea Pirlo per una settimana lo chiamava al cellulare e lo canzonava, dicendo: «Rosario, tra poco torna Cavani al Napoli, è fatta». Per poi entrare nel ristorante il giorno dopo e sospirare: «Eh, mi sa che neanche oggi arriva». E quando a furia di ordinare la stessa pizza, bufala, grana e porcini, Pepito Rossi si è guadagnato l’immortalità del menù con una pizza di nome Pepito. Non vi aspettate le classiche foto con i vip appese alle pareti, ogni luogo comune cade appena entrati. L’ambiente è metropolitan, le luci soffuse, sui tavoli i tablet con il menù delle birre, le ragazze attente. Tolto un gagliardetto vicino alla cucina, niente farebbe pensare al Napoli club New York. Ma poi basta che dal soffitto cali magicamente lo schermo largo cinque metri e i sapori si impastano con le azioni dei tre gol del Napoli alla Samp, gli applausi per Hamsik e i ricordi dei due proprietari. Rosario Procino ha 47 anni, sorriso aperto e una gentilezza spontanea. Ingegnere informatico, arrivò a New York vent’anni fa seguendo una giovane americana, Patricia, diventata sua moglie. La sua vita è stata sempre un tracciare nuovi orizzonti e sentirsi dire la frase che i veri sognatori amano ascoltare: ma sei pazzo? «Me lo dissero quando decisi di trasferirmi qui». E quando portò la pizza napoletana a New York nel 2009. «Sei matto? Agli americani la pizza alta non piace». Ne andarono subito pazzi. Poi è arrivato il ristorante di Manhattan, nel 2013, ambiente poco italiano diventato brand. «E’ un po’ il mio dottor Jekill e Mr Hide, di giorno stadio, la sera un posto dove mangiare tranquilli».

ricordi.Il filo del tifoso, come quello dei ricordi, non si è interrotto. La prima partita allo stadio. «Napoli-Roma con Krol in difesa». Quando bambino, con il padre, Mario, e il fratello più grande, Dino, andava in Curva B e in casa si parlava solo di calcio. «Nel ’67 mio padre organizzò il viaggio di nozze in modo da farlo coincidere con le trasferte di Firenze e Bologna». Solo una squadra non era ben vista in casa. «Papà lavorava all’Ariston, sponsor Juve, a casa ci spedivano le magliette bianconere». Facevano tutte la stessa fine ingloriosa. «Le strappavamo in cucina, come in un rito». Il giorno in cui il padre ricevette la telefonata di un cliente per un’emergenza. Era Diego Armando Maradona. «Si portò dietro me e mio fratello». Il viaggio in macchina dal Vomero a via Scipione Capece, pregustando l’incontro con la Divinità. «E invece papà mi lasciò in macchina e salì con mio fratello. Ci rimasi male…». Il padre intravide appena Maradona. Erano i tempi in cui si parlava di una relazione con Heather Parisi, così Diego se ne restò chiuso in camera. Poi venne il tempo di fare lo steward, al San Paolo. «Purtroppo Diego era già andato via – ricorda Procino – era l’epoca di Lippi, di Ranieri, ma fu divertente». In un video su youtube Di Canio segna al Milan, dopo due veroniche su Panucci e Baresi, poi corre verso la Curva B. Si abbraccia con alcuni ragazzi, tra cui uno in jeans. «Ero io. Con lui c’era questo rapporto». Il Napoli vinse uno a zero. Il portiere del Milan, Sebastiano Rossi, durante le interviste nella zona mista ricevette gli auguri di un giornalista. «Ero vicino e mi venne d’istinto dire “E Di Canio ti ha fatto il regalo”. Non l’avessi mai fatto, Rossi si voltò verso di me, mi voleva mettere le mani addosso, fu proprio Di Canio a intervenire». 
I ricordi affiorano veloci. Il giocatore più matto? «Policano. Appena veniva sostituito e scendeva per le scale dello spogliatoio, mi chiedeva una sigaretta». Il più elegante: «Nela, con il completo grigio ufficiale e il cappotto color cammello». Il più antipatico: «Mauro, ma lo era per tutti». Lippi gentile ma distaccato, Ranieri cordiale. Anche il Napoli di oggi, di nuovo più vicino alla Juve, è molto presente. Come quei cinquantuno secondi di video girati ad aprile allo Stadium: calcio d’angolo, stacco di Koulibaly e gol. Decine di clienti scattano in piedi, urlano, si abbracciano come fossero allo stadio, con le immagini mosse riprese dal cellulare. Ha avuto più di cinquemila visualizzazioni. Quando il Napoli gioca, di sicuro lo fa anche al Ribalta. «Negli anni Novanta c’era un baretto al Village, si chiamava L’Angolo, che trasmetteva le partite, poi ha chiuso. Adesso ci siamo noi». Il clima è avvolgente, ma cordiale. «Solo una volta, per un Napoli-Roma, due persone litigarono». Erano turisti italiani. Una sera si materializzò Massimo D’Alema: guardò la sala gremita di tifosi e il maxi schermo con la partita del Napoli. Si avvicinò al proprietario e disse: «Sta giocando la Roma». «Lo sappiamo, ma abbiamo uno schermo solo, come facciamo?». D’Alema non si scompose e dalemianamente ordinò: «Beh, allora mettete la Roma». Impossibile, risposero. D’Alema se ne andò seccato, e non l’hanno più rivisto. 

i due soci si sono incontrati durante la champions
Più di uno sport: il loro sogno è iniziato… in trasferta

NEW YORK – Pasquale Cozzolino ha 41 anni, è alto quasi due metri, stretta di mano sincera e un tatuaggio sul braccio: la carta del tre di bastoni. «Me la nascondevano sempre quando giocavo da bambino, che alla fine, diventato grande, me lo sono tatuato». Cozzolino è arrivato a New York nel 2011, dopo aver conosciuto, in una trasferta di Champions del Napoli, quello che è diventato il suo socio, Rosario Procino. Pasquale è l’uomo che sta dietro la creazione di successo della pizza napoletana, ne ha ideata anche una versione light, ma questo è solo una parte del discorso. E’ lo chef personale del sindaco di New York, Bill de Blasio. «Venni scelto dopo una selezione con una sessantina di altri chef. Lo conquistai con gli straccetti e le melanzane alla parmigiana». Una foto lo ritrare con il sindaco e il socio mentre stringono una sciarpa azzurra. La passione del tifoso non è sfumata con la lontananza. 

lontano. Il calcio è molto più di uno sport. «Ricordo ancora la mia prima partita allo stadio – racconta Cozzolino – un Napoli-Inter. Ero in Curva B, ma vidi poco, ero piccolino». Negli anni ha seguito la squadra anche in trasferta, in Italia e in Europa. Se il suo socio è soddisfatto del nuovo Napoli («si potrebbe fare meglio, certo, ma ricordo le gestioni Corbelli, Naldi…», ammette Procino), lo chef Pasquale è più critico: «Siamo l’Udinese dei ricchi, prendiamo i giocatori, li valorizziamo e poi li vendiamo, li vendiamo bene, ma alla fine ci manca sempre l’ultimo passo». C’è una cosa che non capisce del Napoli di De Laurentiis: l’assenza del vivaio. «Perché la società non investe nei giovani come fanno i grandi club? Ho visto i numeri del bilancio, credo si parli di 3-400 mila euro, sono pochi». Avere successo nella vita, non rende più sopportabile l’assenza di trofei. «E’ il momento di tornare a vincere qualcosa. Ancelotti ha portato la sua esperienza internazionale». Il Napoli si è riavvicinato alla Juve, ma da Manhattan si guarda lontano. «Quest’anno può essere l’Europa League la grande occasione».

 fonte:corrieredellosport