“L’eclissi della storia” – Ottavo episodio “Il terzo testo”
Settimo episodio:Puntata precedente del 30 gennaio
Ottavo episodio: Detto questo, il giornalista giunse al nocciolo della questione: «Il terzo testo era il testo che stavo cercando. Un libro cartaceo del 1700 completamente integro e in lingua inglese che narra la vita del santo in questione, con una spiegazione moralistica delle Confessioni. E’interessante anche notare come per ogni pagina ci siano delle note sottostanti, una sorta di curioso antenato di una contemporanea guida alla lettura. All’inizio pensai che fosse davvero incredibile, poi considerai il fatto che già nel Medioevo alcuni trovatori provenzali commentavano le loro opere, quindi non era nulla di nuovo per quell’epoca. Nel testo non compare il nome dell’autore e non c’è il titolo. La calligrafia è abbastanza chiara e non pone seri problemi neanche a uno studioso o a un semplice appassionato di antichità alle prime armi».
«Thomas, abbiamo una domanda da parte della signorina in fondo. Brian allungati con il gelato». Padre Robert intervenne, quando si alzò una giovane donna dal pubblico.
«Signor Reds, sono la dottoressa Long, neolaureata in Filologia Moderna. In realtà non ho una domanda da porle, volevo solo aggiungere una mia riflessione. Penso proprio che l’autore del terzo testo che sta commentando, abbia avuto a che fare con ambienti provenzali, il quale, essendo stato influenzato dalla critica illuminista, abbia voluto criticare la sua stessa opera. Non so se quello che ho detto rientri nel discorso che voleva fare, ma l’autore anonimo la pensava proprio alla stessa stregua di chi, nella sua stessa epoca, riteneva opportuno portare dinanzi al Tribunale della Ragione la ragione stessa, una sorta di deificazione della Ratio. L’Illuminismo non poteva non diffondersi in un tale contesto. Poi, per quanto riguarda i modelli, l’autore ne aveva molti alle sue spalle, non solo i provenzali, che, come detto, erano dei maestri dell’autocritica, ma anche autori della letteratura italiana e inglese».
«Grazie dottoressa, lei ha colto nel segno, anticipando quello che avevo intenzione di dire». Thomas rimase stupefatto della sua opinione in materia e lo si vedeva: «Era una sorta di controsenso. Nonostante fosse un testo a favore di Sant’Agostino, l’autore riuscì nel suo intento, mediare la metafisica con il suo metodo narrativo di stampo razionalista. Comunque, nel giorno in cui mi recai per la seconda volta in Biblioteca, lessi il terzo testo fino a un certo punto della narrazione, poi vista l’ora tarda, detti un’occhiata alle ultime pagine del libro, per constatare il numero delle pagine stesse, così come avevo fatto per il secondo testo. Proprio all’ultima pagina, in basso a destra, c’era una scritta in latino Editum in Lugdunum, ossia “Edito a Lione”, il luogo di pubblicazione. Questo conferma l’altra sua precedente congettura, dottoressa. Infatti, Lione pur non essendo in Provenza, è pur sempre in Francia e la Francia è la patria dove si sviluppò maggiormente la corrente illuminista».
Ribadito il concetto espresso dalla dottoressa, il giornalista proseguì: «Riguardo sempre il contenuto del testo, l’opera, in quanto spiegazione in chiave etica della dottrina del Santo, è proprio l’emblema di quel dibattito o di quella questio che volevo porre ai lettori del mio giornale. L’epoca in cui ha vissuto l’autore era un’epoca simile alla nostra, in cui la mente di coloro, che erano tra virgolette acculturati, era offuscata dai dettami illuministici, alla stessa maniera di quella dell’uomo contemporaneo che sta affogando, ma non è ancora annegata, nello tsunami del consumismo. L’uomo del XXI secolo dovrebbe riscoprire se stesso, depurarsi da ogni turbamento, criticando benevolmente la dottrina agostiniana e nello stesso tempo non ergendosi come eroe, facendo trapelare una qualsivoglia forma di rivalsa su una società depravata, ma essendo egli stesso un modello cui ispirarsi spiritualmente. Scusate il necessario gioco di parole e l’inevitabile premessa, ma per ribadire quanto il dibattito sarebbe stato proficuo, dopo la pubblicazione del precedente articolo sul Tardo – Antico. Esso avrebbe ampliato i nostri orizzonti e dilatato il nostro campo d’indagine. Il testo, comunque, senza dilungarci molto, è un unicum nel suo genere». Thomas pose un punto fermo al suo discorso, probabilmente attendeva incuriosire il suo uditorio, e fu così.
Intervenne Brian, osservando il professor Radcliff titubante, e così gli passò il microfono: «Signor Reds, ma quest’opera di che cosa tratta? Perché lei la considera un unicum?».
«Unicum nei contenuti e dal punto di vista linguistico come vedrete, quindi non propriamente come lo si intende in filologia». Il giornalista sembrò abbastanza ambiguo, in quanto anche il contenuto era rilevante per lo studio dei testi sotto un profilo scientifico e metodologico.
«Si parla delle Confessioni, l’opera più famosa di Sant’Agostino, e voi lo sapete meglio di me, che consta di 13 libri e fu scritta intorno al 400 d.C. … e questa è l’epoca del “buio barbarico”, come dice l’anonimo settecentesco, facendo prevalere un’idea molto in voga nel suo secolo, ovvero quella del disprezzo del Medioevo come età di mezzo fra lo splendore della classicità e la bellezza umanistica e rinascimentale. In quest’opera, il santo si rivolge a Dio e gli narra semplicemente la sua vita e la sua scelta di convertirsi al Cristianesimo. Una scelta a cui arriva per gradi. Una scelta cui tende, dopo aver iniettato nella sua pelle i germi del peccato, come vedremo».
Era davvero un’immagine toccante, la sperimentazione, sulla propria pelle, di esperienze religiose e di vita diverse.
«La narrazione di questa composizione settecentesca si configura come un continuo discorso che Sant’Agostino rivolge al Creatore, molto similmente al testo delle Confessioni, quello originale, ed è da qui che il lettore può trarre il suo insegnamento. E’ proprio dall’esperienza agostiniana che nasce il termine confessione, il cui incipit è rappresentato da una Invocatio Dei, ossia “invocazione a Dio”, quella che noi invochiamo quotidianamente».
Thomas rievocò in breve le origini del Santo, attraverso la sua esegesi all’opera: «Nel testo l’anonimo illustra l’espediente argomentativo del santo, che nelle Confessioni interrompe appositamente la narrazione in modo abbastanza frequente, con ampie congetture e profonde riflessioni sulla sua infanzia, vissuta a Tagaste, sugli anni dei suoi studi e sulla professione come retore nell’antica città fenicia, ma ovviamente romanizzata, di Cartagine. Durante quest’ombroso periodo della sua giovinezza, Sant’Agostino vive una vita alquanto dissoluta e corrotta, fino a quando non legge a diciannove anni l’Hortensius di Cicerone, un’opera smarrita a causa del tempo tiranno, che lo indirizza verso i fertili campi della filosofia. Almeno così crede il giovane Agostino. L’autore, parlando d’ignoranza dell’uomo medievale, continua con la sua visione negativa del Medioevo, che pervade, come già affermato, la mentalità moderna».
Il giornalista, poi, esaltò il testo che aveva trattato: «La filosofia pagana porta il Santo, contraddittoriamente a quello che diventerà successivamente, verso un pensiero fortemente radicale e all’adesione a una religione quale il Manicheismo, che la Chiesa condannò come eretica».
«Il Manicheismo? Perché sta parlando di Manicheismo, signor Reds?» esordì uno studente universitario dalle retrovie, quasi gridando, per farsi sentire senza microfono.
«Perché in questa parte del testo si presenta qualcosa di sconvolgente, un’interpretazione dettagliata del Manicheismo con annesse le influenze che ebbe su un’altra eresia, quella catara. Come dice l’anonimo, secondo Mani, profeta e predicatore iranico, l’esperienza etica dell’uomo deve essere vissuta come una continua tensione tra il bene e il male, concependo tutta la realtà come lotta perenne tra due principi opposti, appunto lo ying e lo yang, lo spirito e la materia, la luce e le tenebre, Dio e il suo antagonista. L’uomo, però, può cessare di essere uno strumento delle forze del male se, seguendo la via della salvezza indicata da Mani, saprà liberarsi da ogni istinto carnale, rifiutando il matrimonio, il mangiare carni e osservando la perfetta castità. In tal modo egli diventerà cooperatore delle forze del bene e contribuirà alla liberazione delle particelle di luce chiuse nella materia, fino al giudizio finale che ne segnerà il definitivo riscatto. L’estremo giudizio sulla resurrezione dell’anima o sulla morte perenne. Ma … adesso non voglio soffermarmi troppo su quello che l’anonimo ha scritto riguardo ai Catari o Albigesi, perché ripeterei quanto detto, ossia le contraddizioni di questo movimento spirituale, che portò la Chiesa alla definitiva scomunica. Tuttavia, mi ha colpito molto la saggezza di questo sconosciuto autore che ha condannato la Chiesa del tempo, anch’essa eretica, in quanto indisse una Crociata proprio contro costoro, chiamati erroneamente “bulgari”. Bulgari, forse perché, e questa è una mia opinione, le derivazioni manichee dei Catari erano giunte fino in Europa all’inizio del XII secolo, tramite l’Impero bizantino e i Balcani, da un punto di vista geografico, e tramite i crociati e i pellegrini che tornavano dalla Terra Santa, da un punto di vista proprio della diffusione di queste erronee idee spiritualistiche. Questo non sembrerebbe provare nulla, ma in realtà i Bulgari nel Medioevo e in età moderna erano considerati feroci e spietati proprio come i Saraceni o i Vichinghi. Ora che sia vero tutto questo, sulla bestialità di questi popoli nati con l’istinto nomade, è difficile da affermare e tra l’altro non è questa la sede per continuare questo argomento».