Irene Kowaliska da Vietri sul mare a Positano

28 marzo 2019 | 09:29
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Irene Kowaliska da Vietri sul mare a  Positano

Irene Kowaliska da Vietri sul mare a Positano in Costiera amalfitana. Ecco un bell’articolo di Leonardo Guzzo oggi sul Mattino di Salerno per questa artista che ha segnato la costa d’ Amalfi .
La foto più bella di Irene Kowaliska ritrae una giovane donna nel fiore degli anni, graziosa e affascinante, elegante come tante dame della buona borghesia mitteleuropea a cavallo tra le due guerre mondiali. Eppure lo sguardo lucente, vagamente malizioso, di quella giovane donna nasconde almeno due segreti: un’adolescenza inquieta, segnata dalla morte precoce della madre e dal trasferimento della famiglia da Varsavia (dove era nata nel 1905) a Vienna, e un profondo, personalissimo talento per la pittura. Che infine, dopo il diploma alla Scuola di Arti Applicate di Vienna nel 1927, dopo varie peregrinazioni (a Berlino, a Vallauris) e il matrimonio col poeta Armin Wegner, si rivelò a Vietri sul Mare, il paese delle cupole maiolicate, patria di un’antica arte ceramica basata su speciali tecniche di cottura e smalti unici, miscele a base di stagno dall’incomparabile grana e luminosità.
LA FOLGORAZIONE
La Kowaliska s’impiegò nel 1931 presso l’Industria Ceramica Salernitana, di proprietà dell’imprenditore tedesco Max Melamerson, e poi, l’anno successivo, presso l’Industria Ceramiche Artistiche Meridionali di Vincenzo Pinto, che le mise a disposizione anche uno studio privato. In questo periodo Irene conobbe e collaborò con Richard Dolker, ceramista e mecenate, capostipite della colonia tedesca che negli anni Venti e Trenta del Novecento si insediò in Costiera amalfitana e svolse la pregevole opera di rinnovare l’arte ceramica vietrese presentandola, elevata dalla condizione di semplice pratica artigianale, agli occhi del mondo. Assai rapidamente, come per una folgorazione istantanea, Irene Kowaliska apprese le tecniche di lavorazione artistica della ceramica e decise di utilizzarle come strumento di una narrazione personale e originale, che era insieme omaggio alle tradizioni locali e dichiarazione al mondo. Il tratto bambinesco e insieme raffinato della pittrice, la sua vocazione naif esprimono l’incanto di una bellezza elementare, una dimensione favolistica dove grandi facce ovali dai profondi occhi neri trascorrono una vita di gesti semplici e primordiale meraviglia, lontano dal mondo reale avvelenato da pregiudizi razziali e deliri imperialistici. Franceschi e Marie, figure di contadini e pescatori e delle loro donne, avvolte lungo la forma dei piatti come fossero dischi di mondi a sé, uccelli che spuntano a metà dalle maioliche, come connaturati alla materia, raccontano di un’altra realtà possibile, dove volti e sentimenti hanno la chiarezza dei colori vietresi, la gioia concreta e senza pretese di un’arte povera. Un’arte che si espande fino a dimensioni inconsuete, nel 1939, quando Irene realizza per villa Ricciardi, a Cava de’ Tirreni, un pavimento ceramico di circa 28 metri quadri esprimendo per simboli e contrasti, attraverso 14 figure dipinte nel solito stile trasognato e idillico, l’apprensione per gli eventi tragici che si profilano in Europa. Per l’artista polacca di padre ebreo è un punto d’arrivo, scoperto una quindicina d’anni fa dallo studioso Vito Pinto e raccontato minuziosamente nel libro «Kowaliska 1939».
L’ALTRA IMPRESA
Per un breve periodo, negli anni Trenta, Irene si spostò in Costa Azzurra, ma, insoddisfatta delle tecniche di cottura locali e incapace di replicare il pregio dei precedenti lavori, tornò presto in Italia, in Costiera. Negli anni rocamboleschi della seconda guerra mondiale passò da Vietri a Positano dove avviò un’altra originale impresa artistica nel campo del ricamo. In pochi anni definì stili e materiali della moda Positano, che grande successo ebbe nel secondo dopoguerra e negli anni del boom economico. Trasferitasi a Roma nel 1956, continuò ad occuparsi di ricamo, di fatto consacrando la sutura tra arte e moda come tratto caratteristico della nostra epoca. Oggi, a quasi trent’anni dalla morte (avvenuta nel 1991), nelle collezioni private e nel museo della ceramica di Raito, le creazioni di Irene Kowaliska continuano a stupire per il nitore, per la semplicità dei codici unita alla profondità e alla forza dirompente delle suggestioni. L’uccellino stilizzato che accompagna come un marchio di fabbrica molti dei lavori dell’artista è il simbolo perfetto di questa semplicità sposata a un’infinita evocazione, di questo incontro miracoloso (com’è miracolosa l’arte più pura) tra nido e cielo.