PIAZZA MERCATO NELLE VICENDE DI STORIA NAPOLETANA.
La foto del quadro nel corpo del presente articolo riproduce uno dei dipinti del celebre artista Micco Spadaro il cui vero nome era Domenico Gargiulo. Diversi quadri di questo artista si trovano in vari musei d’Europa, in collezioni private ed a Napoli nel Museo di San Martino.
Micco Spadaro è stato definito il “fotoreporter” dei tempi della rivoluzione di Masaniello (1647) e della grave epidemia di peste a Napoli del 1656 per aver riportato fedelmente su tela le atmosfere di quei tempi.
L’antica spiaggia di Neapolis si estendeva da Piazza della Borsa al Corso Umberto I. Dal VIII sec. A.C il mare si è ritirato di circa 400 metri. Infatti Piazza Garibaldi, il Vasto e la zona industriale, sono sopra sedimentazioni marine ed alluvionali, quindi verso il 1000 a.C. nel luogo dove attualmente c’è Piazza Mercato, c’era il mare.
Piazza Mercato nel corso dei secoli ha assunto varie denominazioni, verso la fine del secolo, Campo del Moricino, per essere stato un accampamento dei saraceni, poi Foro Magno o più semplicemente Mercato.
Questo sito, lontano dalle mura della Città era attraversato da un alveo denominato poi Lavinaio che portava a mare la lava dei Vergini.
Nel 639 alcuni monaci del Monte Carmelo, fuggendo le persecuzioni dei saraceni, si fermarono a Napoli nel Campo Moricino, dove in riva al mare c’era una chiesetta con due casette per il riposo dei marinai. Qui vi collocarono una immagine della SS. Vergine Maria che avevano portata dall’oriente detta “Bruna del Monte Carmelo”. Successivamente, tra il 1283 e il 1300 lavori di sovrastruttura trasformarono la chiesetta che la rese differente da quella originale.
Successive ristrutturazioni si ebbero nel XVII e XVIII che cancellarono radicalmente l’impronta medioevale. Oggi la chiesa ha un aspetto esteriore alquanto mediocre, ne siamo attratti solo da riferimenti storici.
Corradino di Svevia (1252.1268), figlio di Corradino IV di Svevia in seguito alla battaglia di Tagliacozzo (1268) persa contro l’esercito di Carlo d’Angiò, si rifugiò con Federico di Baden nel castello di Astura presso il Conte Giovanni Frangipane che credeva amico, perché fedele sostenitore della Casa Sveva.
Invece questi, per paura, li consegnò a Carlo d’Angiò. Condotti a Napoli, furono rinchiusi nelle prigioni di Castel dell’Ovo in attesa di giudizio. Ma la sorte di Corradino era stata già decisa da Papa Clemente IV che aveva definito Corradino e gli Svevi “propaggine di vipere”.
Dopo un processo sommario, il 26 Ottobre 1268 fu emessa la sentenza che lo condannava alla decapitazione con i suoi compagni, perché riconosciuto “ladrone e traditore”, tale sentenza doveva essere eseguita in 3 giorni.
Il mattino del 29 Ottobre 1268, fu eretto in Piazza Mercato il palco della morte. La piazza era gremita da una folla muta ed angosciata. Affinchè fosse più dura l’angoscia dell’infelice Corradino, venne decapitato prima Federico di Baden, Corradino prese in mano il capo mozzo e dopo averlo bagnato di lacrime lo baciò, lo strinse al petto si inginocchiò e diede al carnefice segno di eseguire la sentenza, il quale in un attimo gli recise il regal capo (aveva 16 anni).
Carlo d’Angiò, che da un palco eretto nella stessa piazza aveva assistito all’esecuzione trasse un sospiro di sollievo: l’ultimo degli Hohenstaufen era morto. Nessuno più ormai poteva contrastargli il possesso del regno di Sicilia.
Le spoglie del giovanissimo principe furono sepolte presso la foce del Sebeto, un fiumiciattolo che scorreva poco distante da Piazza Mercato.
La madre di Corradino, Elisabetta di Baviera, corse in Italia sperando di poter salvare il figlio ma purtroppo, potè dargli solo cristiana sepoltura. Sul luogo dell’interro, in Piazza Mercato, fu eretta una colonna mozza sormontata da un cuore che rimase lì per molto tempo. Nel 1351, sul luogo dell’esecuzione (dove oggi c’è un obelisco fontana) fu costruita una cappella votiva nella quale venne eretta una colonna di porfido che venne distrutta nel 1781 da un incendio durante i festeggiamenti della Madonna del Carmine. In seguito la salma di Corradino fu traslata nella chiesa del Carmine e sulla sua tomba, opera del Thorwaldsen, il Principe Massimiliano di Wittelsbach fece erigere la statua di marmo tuttora esistente. Ciò avvenne il 14 Maggio 1847.
Carlo d’Angiò, tra l’altro, fece edificare mura e torri avanti alla Chiesa del Carmine, prolungandole fino al mare ed al vicino porto, emanò un decreto che vietava qualsiasi costruzione nella piazza e concesse soltanto a tre francesi di elevare a ponente della stessa, la chiesa di S. Eligio con l’ospedale annesso (1270).
Carlo I, nel golfo di Napoli, pese la flotta in una battaglia con gli Aragonesi il 5 Giugno 1284, nella quale perse anche il figlio Carlo. Sette mesi dopo, il 7 Gennaio 1285 morì a Foggia all’età di 70 anni:
Tra il 1285 e il 1647 vari furono gli avvenimenti e governanti a Napoli. Nella prima metà del 1600 l’aspetto della piazza non era piacevole, il selciato del perimetro della piazza dove erano le botteghe era ricoperto di pietre del Vesuvio mentre il resto erano pantani, terriccio e fango. Fu scritto che vi gironzolavano liberamente porci ed altri animali. Tutta l’area era piena di bancarelle che esponevano ogni genere di mercanzia e quasi al centro della piazza vi era la sezione dedicata alle esecuzioni delle sentenze, forca ed altri strumenti di tortura erano in mostra pronti ad essere usati. La chiesa del Carmine dominava la piazza dove spesso su improvvisati palchi si esibivano saltibanchi e commedianti, vicoletti si diramavano in ogni direzione ma ciò risultava più evidente in Piazza Mercato dove erano gli affollamenti vicino alle baracche in cui si pagavano le “gabelle”.
E’ in questo scenario che il 29 Giugno 1620 in Vico Rotto Mercato nacque Tommaso Aniello d’Amalfi (detto poi Masaniello).
Tutto inizia nei primi di Luglio del 1647, nella storica piazza. Masaniello, pescivendolo analfabeta della zona Mercato, che incarnava le rivendicazioni antifiscali e antiaristocratiche, con i trasportatori e i rivenditori, rifiutarono di pagare la tassa (gabella) sulla frutta. Essi tirarono frutta contro esattori e guardie, la folla in tumulto percorse la Città devastando gli uffici, saccheggiando case, attaccando le carceri, conquistando il tribunale dove erano custodite le armi della città. Nei giorni successivi la figura di Masaniello emerse sempre più, tanto che fu eletto “Capitano Generale del popolo”.
Soltanto dieci giorni, dal 7 al 17 Luglio durò l’avventura di Masaniello.
Egli si trovò improvvisamente a disporre della vita e dei beni di quanti lo circondavano. Lui, povero pescivendolo del Vico Rotto al Mercato, si trovò a trattare da pari a pari con l’Eccellentissimo don Rodrigo Ponce de Leon, Duca d’Arcos e vicerè di Napoli. La sua mente non resse ai gravi compiti che, anche se suggeriti, doveva svolgere e cominciò a comportarsi stranamente divenendo un ostacolo per i piani ed un pericolo per gli stessi suoi amici.
Masaniello doveva scomparire dalla scena al più presto possibile dalla scena ed a tale compito si accinsero collaboratori ed oppositori del neo-generalissimo. La mattina del 16 Luglio nella Chiesa del Carmine, mentre il Cardinale Filomarino celebrava la messa della Madonna, comparve Masaniello che era riuscito a lasciare la sua abitazione, dove era stato rinchiuso da alcuni capitani del popolo:
Egli salì sul pulpito ed “invocò” il “popolo suo” ricordando quanto aveva fatto e così dicendo si denudò. Il cardinale lo fece prendere e trasportare in una cella nell’attiguo monastero per farlo riposare.
I congiurati quando gli altri si ritirarono, bussarono LL porta della cella, appena Masaniello andò ad aprire, diverse archibugiate lo fulminarono, Salvatore Catania gli recise il capo e lo piantò su una picca, poi seguito dagli altri lo portò davanti alla reggia al grido di “Viva il Re” emesso dalla folla scalmanata che si era accalcata al macabro corteo. Il cadavere venne trascinato per le strade e poi abbandonato sulla spiaggia. La sera stessa in piazza mancò il pane ed il giorno dopo la “palata” pagata sempre 8 tornesi venne ridotta da 40 a 28 once.
Quegli stessi che avevano fatto scempio del misero corpo, lo ricomposero rivestendolo da Capitano Generale e nella forma più solenne, gli diedero cristiana sepoltura nella Chiesa del Carmine. Dopo circa un secolo i resti furono tolti e dispersi da Ferdinando IV di Borbone (1759-1816) nel timore che il mito di Masaniello potesse rinascere.
Anche essendo stato solo uno strumento per promuovere la ribellione, Masaniello fu il fattore determinante per la riuscita della rivolta, che iniziata per motivi economici, dopo la sua morte, assunse un aspetto politico con lo scopo di sottrarre il regno dalla dipendenza spagnola per renderlo nuovamente autonomo.
L’epidemia di peste del 1656 ebbe inizio nella malsana zona del Lavinaio, centro della rivolta masanielliana.
Verso Quaraesima, cominciarono a verificarsi delle morti misteriose. Tra le voci che si levarono su queste morti la più razionale fu quella del medico Giuseppe Bozzuto, che asseriva dovute alla peste, iniziate dopo l’arrivo della flotta dalla Sardegna. Altre voci attribuirono l’epidemia ad un castigo divino per la ribellione del popolo al sovrano nel 1647, infatti i morti si concentravano dove erano scoppiati i moti. Furono prese precauzioni per arginare il morbo, ma nonostante ciò, il contagio assunse proporzioni spaventose, sono le cifre a dimostrarlo. Quando l’epidemia giunse all’acme, si contava o sino a 4000 vittime al giorno. Se questa cifra sembra irreale, bisogna tener conto che all’epoca, la popolazione era 350,000 abitanti, con carenze igieniche, assenze di profilassi, esiguo numero di medici e scarse conoscenze sanitarie.
I morti furono seppelliti in fosse comuni al Largo delle Pigne (Piazza Cavour), Piazza Mercato ed al Largo Mercatello (Piazza Dante).
Alla metà di Agosto, dopo un acquazzone purificatore, la mortalità cominciò a scemare ma solo nel Dicembre 1656 fu possibile dichiarare ufficialmente la fine della pestilenza, costata alla Città circa 250.000 vittime.
Si raccontò che chi venne a Napoli dopo il flagello paragonò la Città ad un deserto.
Attualmente Piazza Mercato, attigua a quella del Carmine, è un largo vastissimo dove intorno ad esso, pullulano numerosi centri di vendita all’ingrosso e al dettaglio.
Esso, conservando ancora tracce della storia pregressa delle vicende napoletane, porta il nostro pensiero alle vittime dei dieci giorni che sconvolsero il Regno, a quelle dell’epidemia della peste, dei tanti martiri giustiziati in questo luogo ed al sedicenne “giovanetto dalla chioma d’oro e dalle pupille color rame” che riposa nella Chiesa del Carmine.
Alberto Del Grosso
Giornalista Garante dei Lettori
del giornale Positanonews.
Alcune date tratte dai testi: Palazzi e Fontane nelle Piazze di Napoli di Ferdinando Ferrajoli- Fiorentino Editore.
Storia di Napoli di A. D’Ambrosio – Edizioni Nuova E. 2 V