“L’eclissi della storia” – Ventesimo episodio “Le prove”

30 aprile 2019 | 18:16
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“L’eclissi della storia” – Ventesimo episodio “Le prove”

Diciannovesimo episodio: puntata precedente del 24 aprile

Ventesimo episodio: Thomas prese il microfono e fermamente disse a voce alta: «Condivido le sue critiche, professore, però devo rammentarle che io ho due prove concrete».
«E quali sarebbero?» controbatté il docente.
«Che ci creda o meno la prima prova ha lasciato questa Chiesa con le proprie gambe tremolanti e se ne è andata. Non è del tutto convincente. Professor Richardson, lei non ha tutti i torti». Padre Robert iniziò a sudare freddo, osservando quella scena. Per un attimo credé per davvero alle accuse del docente. Il direttore, invece, non sopportava la sua arroganza.
«Prima che fossi interrotto giustamente dal giovane Joseph» proseguì Thomas «stavo dicendo che intendevo compiere una spedizione insieme a voi verso il monastero della Santa Croce di Gerusalemme, ma la mia interpretazione non tanto dei manoscritti, bensì quella dei quadri probabilmente non è esatta, alla luce dei versi danteschi del nostro amico francese. E’ invece più che plausibile che io, mi riferisco alla mia spedizione, l’abbia già compiuta prima del convegno. Infatti, la seconda prova che vi ho promesso è ciò che sto per rivelarvi». I detrattori di Thomas seguirono l’esempio del professor Richardson, restando in religioso silenzio. Effettivamente anche Padre Robert e il direttor Downing erano all’oscuro del vero esito del convegno, infatti loro erano consapevoli solamente dell’interpretazione dei quadri e della destinazione finale ormai vana. E quindi anche loro due erano tutt’orecchi.
Il giornalista, cliccando con il mouse, riprese la sua presentazione PowerPoint da dove l’aveva bloccata, ossia dalle ultime parole chiavi del manoscritto lionese. Ecco che si palesava nuovamente a tutti l’occhio di Dio. Il professor Richardson ritornò alla sua postazione, per poter constatare la veridicità della seconda prova e poi perché da lontano si vedeva meglio l’immagine che veniva proiettata.
«Vi racconto che cosa mi è accaduto dopo essere uscito dal monastero di Lione. Ho contattato Padre Robert, il direttore e il dottor Mencutti, per raccontare loro tutta la vicenda. Una volta terminata l’esegesi del manoscritto dell’Abate, parlando con l’archivista, egli mi disse di aver riletto nuovamente i versi danteschi del manoscritto della Historia, asserendo che probabilmente quell’ultima pagina era differente dalle altre, a causa della calligrafia. Alcune consonanti, in particolare la f, non erano conforme alle altre, dunque il dottor Mencutti ipotizzò una seconda mano per la redazione dell’opera. Un altro personaggio entrava in gioco».
“Le lettere, soprattutto le consonanti, effettivamente, sono oggetto di studio … ma chissà dove vuole arrivare questo giornalista” pensò il professor Radcliff.
«Ritornai nell’albergo in cui alloggiavo e notai un ulteriore indizio che sposava benissimo la tesi dell’archivista. Nel secondo verso successivo all’iride si legge chiaramente l’espressione necaverunt Agostinum, ossia “uccisero Agostino” e, come potete ben capire, se fu “Agostino a scrivere la storia del monaco penitente”, l’autore, che sarebbe la spia del monastero, che cosa faceva ora? Parlava in terza persona o meglio se si chiamava realmente Agostino, avrebbe potuto rievocare la sua morte?».
Il professor Radcliff intervenne: «Non riesco a capire. Se le parole sono sconnesse fra loro, come ci ha detto in precedenza … insomma come è possibile tutto questo ragionamento?».
«E’ possibile che alcune di esse siano connesse. Non è che abbia sbagliato, prima io stesso ho voluto creare appositamente questo mistero, altrimenti non mi avreste seguito fino alla fine».
Il professor Radcliff si rese conto della tecnica usata dal giornalista e prima di lui dall’ambiguo redattore dell’opera: «In effetti, chi ha scritto questa pagina, questa fantomatica “seconda mano” della Historia, quasi involontariamente ha creato una sorta di metamistero, un mistero oltre il mistero stesso … e questo lo ha fatto anche lei signor Reds ma appositamente. Prima della decifrazione dei versi danteschi di quell’occhio, il convegno ci appariva alquanto monotono, ma poi con la scoperta dei versi stessi e con l’accavallarsi degli avvenimenti, ci ha tenuti fino alla fine con il fiato sospeso».
«Ah, professore, mi meraviglio di lei, che crede a tutte queste fandonie! Quale metamistero e quale occhio di Dio!» disse acerbamente il professor Richardson.
«Io le credo signor Reds, continui, voglio sapere in che cosa consiste questa seconda prova!».
Il giornalista venne al dunque: «Non tutte le parole esterne all’occhio di Dio sono verba a sé stanti e sono quelle che vedete annerite in corsivo. Ve le leggo. “Viginta solida, tres decim lapides ab ferro, rapta ab mortuo sub alba tunica, tres latrones necaverunt Agostinum causa solida celata”. Si possono tradurre in questo modo “Venti soldi, tredici pietre dal ferro, rapiti dal morto sotto la tunica bianca, tre ladri uccisero Agostino a causa dei soldi celati”. Se ben ricordate la Historia, il defunto dalla tunica bianca è uno dei quattro ladri, appunto morto accidentalmente. I venti soldi, probabilmente la ricompensa per aver rubato le casse contenenti le copie e gli originali della Divina Commedia, sono stati sottratti al ladro da questo Agostino, senza che nessuno se ne accorgesse. Ritengo che il ladro possedesse una borsa al di sotto della tunica o comunque qualcosa per contenerli. Gli altri tre ladri, col passare del tempo, vollero riappropriarsi di quei soldi, perché avevano capito che solo una persona poteva averli, per così dire, derubati: la spia, ossia Agostino. Tuttavia la spia, così come gli stessi ladri, se ci pensate, erano già stati retribuiti dal mandante del ladrocinio e quindi chiunque, se avesse intascato quei soldi, sarebbe stato doppiamente disonesto. Dopodiché i tre ladri uccisero Agostino, perché non rivelò loro il nascondiglio dei soldi. Dovettero torturarlo!».
Thomas interruppe il suo discorso per riprendere fiato e godere di un bel sorso d’acqua. Questa fu l’occasione per Padre Robert di confermare l’idea del giornalista con un suo pensiero: «Quindi l’ultima pagina del manoscritto è stata scritta dal monaco penitente, una volta morta la spia, autrice del manoscritto. Per essere presente lì quella pagina, ossia all’interno del manoscritto vaticano fino ad oggi … vuol dire che nessuno dei Cavalieri di Abele che è andato a recuperare successivamente la Historia per portarla al Fort Saint Jean, si è reso conto che quel folium finale era stato redatto da un’altra mano, altrimenti l’avrebbero tolta, non essendo una mano abeliana. Nessuno degli Abeliani deve essere riuscito a decifrare l’occhio di Dio e le parole esterne allo stesso».
Poi il parroco soggiunse, dopo aver ricostruito l’intreccio della storia: «Un momento! L’Abate Jacques aveva scoperto l’occhio di Dio, perché l’ha ricostruito sottoforma di biblioteca, è invece tutto da vedere se le parole esterne a quell’oculum fossero state rinvenute proprio dall’ecclesiastico francese …».
«No, non le ha scoperte, Padre» irruppe Thomas.
«E l’anziano?» incalzò il parroco.
«Dell’anziano so poco o nulla. Sembra quasi che sia la personificazione del mistero della Divina Commedia».