Cresce l’attesa per Capitano Ultimo a Ravello. Il direttore di Positanonews Michele Cinque : “Un modello per le future generazioni”
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Cresce l’attesa per Capitano Ultimo a Ravello . L’uomo che ha arrestato Totò Riina verrà intervistato e moderato dal direttore di Positanonews, il primo giornale online della Costiera amalfitana e Penisola Sorrentina, l’avvocato Michele Cinque.
“Domani , anche se pioverà, sarà un bel giorno per la Costa d’ Amalfi . Il Comune di Ravello ha dato l’opportunità agli studenti della Costiera amalfitana di poter incontrare dal vivo un modello che molti ritengono esista solo sul piccolo schermo, invece Capitano Ultimo è un uomo in carne e ossa che ha fatto della sua vita una missione, da ammirare ed imitare – sottolinea il direttore di Positanonews Michele Cinque -, un modello per le future generazioni. Oggi i giovani hanno troppi modelli negativi, non voglio scendere nel banale, ma dalla musica al quotidiano, ai social network, si emulano atteggiamenti e modi di essere che non portano al bene”.
Sarà un incontro che “cambierà per sempre la percezione della mafia e della società d’oggi alle centinaia di studenti e studentesse presenti”, come hanno detto anche a Roma.
“Si combatte perché si ama la comunità, fatta di persone bellissime che si vuole difendere. Io ho scelto di farlo diventando Carabiniere”.
Basta questa sua frase per capire il personaggio che non si è limitato alla lotta per la legalità e la giustizia, ma opera anche nel sociale e nella solidarietà in concreto con gli “Amici di Ultimo”. Ma di questo è altro lasceremo parlare lui e gli studenti che saranno i veri protagonisti a noi non resta che ringraziare l’amministrazione Di Martino e tutti gli organizzatori, oltre che la grande disponibilità di Ultimo per tutto questo.
Nella foto l’ultimo incontro a Roma
Sergio De Caprio, detto anche Capitano Ultimo (Montevarchi, 21 febbraio 1961[1]), è un militare italiano. È stato a capo dell’unità Crimor dei Carabinieri ed è noto soprattutto per aver arrestato Totò Riina nel 1993.
Con il grado di colonnello è stato vice comandante del Comando Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente a Roma.
Biografia
Ex allievo della Scuola militare “Nunziatella” di Napoli, vince il concorso per l’Accademia militare di Modena dove compie gli studi e la formazione, diventando tenente dei carabinieri e prestando servizio alla Compagnia di Bagheria, dove nel 1985 arresta il latitante Antonino Gargano e Vincenzo Puccio il killer del Capitano dei Carabinieri Emanuele Basile.
L’inchiesta Duomo connection
Trasferito a Milano, col grado di capitano, tra il 1989 e il 1990 sviluppa le indagini dell’inchiesta “Duomo connection” coordinata dal Pubblico ministero Ilda Boccassini sulla penetrazione mafiosa a Milano. Le indagini portarono all’arresto di un folto gruppo di pregiudicati siciliani e del loro presunto boss, il geometra Antonino Carollo detto “Toni”, figlio incensurato di Gaetano Carollo, esponente della famiglia mafiosa di Resuttana ucciso nel 1987 a Liscate.
Insieme a numerosi episodi di traffico di stupefacenti, le indagini accertarono una intensa attività edilizia del gruppo siciliano, realizzata – secondo l’accusa – con la collaborazione degli imprenditori Sergio Coraglia e Gaetano Nobile. Per agevolare le concessioni edilizie da parte del Comune di Milano i clan siciliani avevano allacciato contatti con importanti esponenti dell’amministrazione. Vennero indagati per corruzione l’assessore all’urbanistica Attilio Schemmari, il sindaco Paolo Pillitteri e tre alti funzionari (poi assolti).
Tra il 1991 e il 1992 alla guida della sezione “Crimor” dei carabinieri di Milano sgomina una raffineria di droga del clan Fidanzati in nord Italia[2].
Entrato in quel periodo nel neonato Raggruppamento operativo speciale[3], è capo della I Sezione del I Reparto del ROS, crea una squadra, denominata CRIMOR – Unità Militare Combattente che dal settembre 1992 opera a Palermo, scegliendo, per formarla, un gruppo di carabinieri al momento poco considerati nell’Arma e relegati a incarichi di non elevato profilo.
L’arresto di Riina
È stato l’ufficiale che, quando era a capo del Crimor, mise materialmente le manette il 15 gennaio 1993 a Salvatore Riina. Il racconto dell’arresto del boss mafioso è stato varie volte messo in discussione, sia durante il processo celebrato a Palermo nel 2006 in relazione ai fatti che portarono alla ritardata perquisizione del “covo” di Riina, sia più recentemente dalle dichiarazioni di Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino (condannato per mafia), secondo il quale in realtà Riina sarebbe stato consegnato ai Carabinieri da Bernardo Provenzano. Massimo Ciancimino, a oggi, è un “dichiarante” giudicato attendibile solo a fasi alterne nel corso di altri procedimenti[4][4][5]. Peraltro, a ben vedere, l’unica ricostruzione ufficiale oggi disponibile delle vicende che hanno portato all’arresto di Salvatore Riina, è quella prodotta dalla sentenza n. 514/2006 con cui il tribunale di Palermo ha assolto il capitano De Caprio e il colonnello Mori dalle accuse loro rivolte a seguito della ritardata perquisizione dell’abitazione di Riina. Con la sentenza del 20 febbraio i giudici del tribunale di Palermo, oltre ad assolvere gli imputati «perché il fatto non costituisce reato»[6], hanno voluto sottolineare e ribadire che «il latitante (Riina, ndr) non fu consegnato dai suoi sodali, ma localizzato in base a una serie di elementi tra loro coerenti e concatenati che vennero sviluppati, in primo luogo, grazie all’intuito investigativo del cap. De Caprio».
A confutare l’ipotesi che l’arresto del boss fosse stato frutto di un accordo con Provenzano, è emerso che le indagini che portarono alla cattura di Riina furono avviate sin dal 1990 dal Capitano Angelo Jannone[7] allorquando comandava la Compagnia Carabinieri di Corleone, il quale mediante una serie di intercettazioni ambientali nelle abitazioni dei familiari di Riina arrivò ad individuare la famiglia Ganci – Spina come quella che ne favoriva la latitanza e passò quelle informazioni a De Caprio nell’agosto del 1992, dopo le stragi.
Dopo la cattura di Riina, dal 1993 al 1997, De Caprio si è dedicato alla ricerca di altri pericolosi latitanti, fino allo scioglimento del CRIMOR. Resta nel ROS, da cui chiede il trasferimento nel 2000.
Nel NOE
Da comandante della sezione del ROS di Palermo col grado di maggiore, nel maggio del 2000 chiese il trasferimento ad altro incarico, in disaccordo con il vertice del ROS – al tempo comandato dal generale Sabato Palazzo – relativamente all’impiego di personale provvisorio in attività d’indagine.
A seguito della richiesta avanzata, venne assegnato al Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri (NOE), poi CCTA (Comando Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente), come vice comandante. A Roma, grazie all’aiuto e all’appoggio dell’attore Raoul Bova (suo interprete nella miniserie Ultimo) e della Nazionale Cantanti, ha aperto una casa-famiglia per il recupero e il reinserimento di minori disagiati o figli di famiglie segnate dal crimine.
Ha destato scalpore la decisione di togliere al “Capitano Ultimo”, nell’ottobre 2009, la scorta[8], riassegnatagli solo nel gennaio 2010[9].
Il 4 ottobre 2012, su ordine del procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, i carabinieri del NOE coordinati da De Caprio e dal capitano Pietro Rajola Pescarini, hanno perquisito l’abitazione di Massimo Ciancimino a Palermo e di altri imprenditori e prestanome alla ricerca di carte, file e documenti sulla Ecorec utili alle indagini avviate dai pm Delia Cardia e Antonietta Picardi in riguardo al riciclaggio di denaro nella più grande discarica di rifiuti in Europa a Glina (Romania) del valore di circa 115 milioni di euro. Secondo gli investigatori, il denaro è riconducibile proprio a Ciancimino e farebbe parte del tesoro accumulato dal padre Vito quando era sindaco di Palermo.[10][11]
In merito, Massimo Ciancimino ha dichiarato: “Sono perplesso sul fatto che a coordinare l’indagine sia il colonnello ‘Ultimo’ che più volte si è espresso sulla mia persona definendomi delinquente e mafioso”.[12]
Successivamente è stato a capo delle indagini che hanno portato all’arresto del presidente di Finmeccanica Giuseppe Orsi, avvenuto il 12 febbraio 2013. Secondo le ipotesi di reato formulate dalla Procura di Busto Arsizio, Orsi si sarebbe reso responsabile di corruzione internazionale, concussione e peculato per le presunte tangenti che sarebbero state pagate per la vendita di 12 elicotteri al governo indiano.[13][14].
Candidato di bandiera del partito Fratelli d’Italia – Centrodestra Nazionale, durante il secondo, il terzo e il sesto scrutinio per l’elezione del Presidente della Repubblica Italiana del 2013, De Caprio ha riportato 9, 7 e 8 voti rispettivamente.
Sempre su indagini relative alle discariche, a gennaio 2014 il suo reparto produce 7 arresti, tra cui il proprietario della discarica romana di Malagrotta Manlio Cerroni e l’ex presidente della Regione Lazio Bruno Landi[15].
Il 4 agosto 2015, con notizia resa nota il 21 agosto, il generale Tullio Del Sette, comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, lo esime dagli incarichi operativi e di polizia giudiziaria, pur lasciandogli l’incarico di vicecomandante del NOE[16]. L’ultimo caso seguito è stato quello della Cpl-Concordia.
Nei servizi
Nel 2016 passa all’Aise, il servizio segreto per l’estero, a dirigere l’ufficio affari interni.[17]
Il 20 luglio 2017 viene restituito dai servizi all’Arma perché, dopo il caso Consip, “è venuto meno il rapporto di fiducia”.[18] Poche settimane dopo il CSM invia alla procura di Roma le dichiarazioni rese dal procuratore della Repubblica di Modena, Lucia Musti, sull’uso spregiudicato delle intercettazioni nella precedente indagine Cpl-Concordia da parte di De Caprio e del suo sottoposto, il capitano Gianpaolo Scafarto, indagato poi insieme al PM Woodcock per falso nel caso Consip.[19]
Nel CUTFAA
De Caprio dichiara però di aver deciso il rientro nell’Arma in maniera autonoma, per evitare strumentalizzazioni.[20]
Dal maggio 2018 gli viene affidato l’incarico di direttore attività convenzionali del Comando per la tutela della biodiversità e dei parchi dei Carabinieri Forestale (CUTFAA).
Dal 3 settembre 2018 De Caprio non ha avuto più la scorta, su decisione dell’Ufficio centrale interforze per la sicurezza personale[21], tuttavia il 19 dicembre il Tar del Lazio gliela restituisce[22].
Progetti per uccidere il capitano “Ultimo”
A causa delle sue indagini antimafia è stato nel mirino di “Cosa nostra”. Ecco come alcuni collaboratori di giustizia raccontano i progetti di uccisione: Il pentito Gioacchino La Barbera riferiva in udienza pubblica che Il killer Leoluca Bagarella aveva offerto ad un carabiniere che forniva notizie a cosa nostra un miliardo di lire per avere informazioni su dove alloggiava il capitano “Ultimo”.
Il pentito Salvatore Cangemi il 22 luglio 1993 riferiva di avere partecipato ad una riunione con Bernardo Provenzano, Ganci Raffaele e Michelangelo La Barbera nel corso della quale Provenzano gli comunicava l’esistenza di un progetto per catturare vivo il capitano Ultimo oppure di ucciderlo. Anche il pentito Giuseppe Guglielmini il 9 maggio 1997 riferì di avere appreso dal killer Giovannello Greco, che Bernardo Provenzano aveva l’intenzione ossessiva, aveva il chiodo fisso di uccidere il capitano Ultimo.[senza fonte] Nel 2014 al colonnello De Caprio è stata revocata la scorta[23]. Gli fu restituita dopo la denuncia del settimanale Panorama, diretto da Giorgio Mulé, che per primo denunciò la revoca della protezione dando la notizia con un articolo firmato dal giornalista Enrico Fedocci.
Vicende giudiziarie
Assoluzione di favoreggiamento a Cosa nostra
Rinviato a giudizio su richiesta del sostituto procuratore di Palermo Antonio Ingroia, De Caprio fu poi prosciolto dall’accusa di favoreggiamento nei confronti di Cosa Nostra. L’indagine era stata avviata dalla procura per accertare gli eventi che avevano portato alla ritardata perquisizione del covo di Salvatore Riina. Infatti, dopo l’arresto del boss, i carabinieri della territoriale di Palermo erano pronti a perquisire l’edificio, ma Ultimo e il ROS, ritenendo di poter proseguire l’indagine in corso e individuare le attività criminali dei fiancheggiatori del boss arrestato per disarticolare completamente l’organizzazione, chiesero la sospensione della procedura per “esigenze investigative”, che fu concessa dalla procura – stando a quanto afferma l’allora procuratore Caselli – «in tanto in quanto fosse garantito il controllo e l’osservazione dell’obiettivo»[24].
Peraltro, come riportato nelle motivazioni della sentenza del processo[6], era ben chiaro dall’inizio sia ai carabinieri sia alla procura che, decidendo di non procedere alla perquisizione, si assumeva un rischio, un rischio investigativo motivato dal raggiungimento di un obiettivo superiore. Lo stesso Tribunale di Palermo sentenzia:
«Questa opzione investigativa (la ritardata perquisizione, ndr) comportava evidentemente un rischio che l’Autorità Giudiziaria scelse di correre, condividendo le valutazioni espresse dagli organi di polizia giudiziaria, direttamente operativi sul campo, sulla rilevante possibilità di ottenere maggiori risultati omettendo di eseguire la perquisizione. Nella decisione di rinviarla appare, difatti, logicamente, insita l’accettazione del pericolo della dispersione di materiale investigativo eventualmente presente nell’abitazione, che non era stata ancora individuata dalle forze dell’ordine, dal momento che nulla avrebbe potuto impedire a “Ninetta” Bagarella (moglie di Riina, ndr), che vi dimorava, o ai Sansone, che dimoravano in altre ville ma nello stesso comprensorio, di distruggere od occultare la documentazione eventualmente conservata dal Riina – cosa che in ipotesi avrebbero potuto fare anche nello stesso pomeriggio del 15 gennaio, dopo la diffusione della notizia dell’arresto in conferenza stampa, quando cioè il servizio di osservazione era ancora attivo – od anche a terzi che, se sconosciuti alle forze dell’ordine, avrebbero potuto recarsi al complesso ed asportarla senza destare sospetti.
L’istruzione dibattimentale ha, al contrario, consentito di accertare che il latitante non fu consegnato dai suoi sodali, ma localizzato in base ad una serie di elementi tra loro coerenti e concatenati che vennero sviluppati, in primo luogo, grazie all’intuito investigativo del cap. De Caprio.»
I carabinieri definirono la sospensione dell’osservazione una «iniziativa autonoma della quale la Procura non era stata informata». Secondo la testimonianza di alcuni collaboratori di giustizia, un gruppo di affiliati alla mafia entrò indisturbato portando in salvo i parenti del boss, svuotando la cassaforte e verniciando le pareti per cancellare le impronte. Tuttavia, tali dichiarazioni, giudicate «frutto di una ricostruzione certamente autorevole, ma insufficiente per trarne definitive conclusioni» dallo stesso Ingroia[25] – il PM che ha sostenuto l’accusa nel relativo procedimento -, non sono mai state riscontrate nel corso di un vero e proprio dibattimento. Inoltre, nessuno di detti collaboratori ha mai dimostrato di aver personalmente verificato il contenuto della cassaforte o, quantomeno, di conoscere esattamente quanto conservato all’interno della stessa.
Il processo si concluse con l’assoluzione «perché il fatto non costituisce reato».[26] Questo, pur ritenendo possibile la sussistenza di una erronea valutazione dei propri spazi di intervento da parte degli imputati, e di presunte gravi responsabilità disciplinari per non aver comunicato alla procura la propria intenzione di sospendere la sorveglianza. A seguito dell’esame della sentenza non è stata rilevata alcuna responsabilità disciplinare a carico del capitano Ultimo.[senza fonte] La sentenza, non appellata dalla Procura della Repubblica di Palermo – che peraltro aveva anch’essa richiesto l’assoluzione – è divenuta definitiva l’11 luglio 2006