“L’eclissi della storia” – Diciannovesimo episodio “I quadri”
Diciottesimo episodio: Puntata precedente del 17 aprile
Diciannovesimo episodio: Padre Robert concluse il convegno, spiegando che tutta la vicenda accaduta a Thomas l’aveva riportato nuovamente in quella stessa Chiesa, da dove tutto aveva avuto origine. Non restava altro che scoprire se il quadro dell’occhio di Dio conteneva altri misteri.
Il giornalista iniziò, indicando non subito il quadro indiziato, ma quello di San Girolamo: «San Girolamo, secondo me, non è San Girolamo … L’autore di questo quadro, sovvenzionato dall’Abate, ha preso come modello di ispirazione un Padre della Chiesa, degradandolo. I Cavalieri di Abele come erano vestiti, con la tonaca bianca, giusto? E adesso guardate come è vestito San Girolamo! Ha una tonaca bianca, logora e sudicia, come la sozzura che ha infestato il torbido mondo di quella gente … e poi è un monaco penitente. Vi ricordate di frate Attila e della sua penitenza ingiustificata? Potrebbe essere proprio lui».
«Si è vero, il signor Reds ha ragione! E’ proprio la raffigurazione tipo di un Cavaliere di Abele!» ammise ad alta voce il professor Radcliff. L’anziano parve incuriosito dalle parole del giornalista, forse desiderava proprio vedere a dove voleva arrivare.
«Frate Attila o chicchessia tende, come prima ci ha descritto Padre Robert, con la sua mano destra verso un teschio irraggiungibile posto sopra una montagna di libri. Il teschio, se lo si guarda con una certa attenzione, gronda sangue e, quindi, non è un semplice teschio, simboleggiante la morte come liberazione dai mali tipica di un martire, o come l’approdo verso la vita ultraterrena. Ricordo da alcuni studi di semiotica, che compii ai tempi dell’Università, che questo teschio rappresenta il cranio di Adamo, la classica figurazione di quel cranio che si trova normalmente posto sotto la croce del Cristo. E’ la sintesi formale di un antico concetto teologico, secondo cui il sangue di Cristo, bagnando il cranio del primo uomo, determinava l’opportunità che tutti i suoi discendenti potevano essere redenti. Per l’artista o per l’Abate, però, la salvezza non era riservata proprio a tutti … per i Cavalieri di Abele c’erano le fiamme dell’Inferno».
Padre Robert confermò: «Il frate, infatti, cerca di raggiungere il teschio di Adamo, ma non ci riesce». La spiegazione sembrava perfetta.
«Detto questo, io presumo che la possibile localizzazione delle pergamene della Divina Commedia non sia un angolo nascosto di questa Chiesa o di un’altra Chiesa inglese o europea, bensì Gerusalemme. Ascoltatemi bene» il giornalista utilizzava anche la mimica per farsi capire.
«Sulla stessa lunghezza d’onda, che intercorre fra il quadro di San Girolamo e il quadro di Sant’Abele, se nel primo quadro c’è una montagna di libri, allo stesso modo, in quell’altro quadro, ritroviamo in secondo piano, dietro l’irreale paesaggio edenico, una montagna, o meglio una collina, che sembra essere avvolta da nuvole di fumo o impregnata da una fastidiosa foschia. Quella collina è il Golgota, appena fuori dalle mura di Gerusalemme, la collina dove fu crocifisso Gesù. A sostegno di questa affermazione, posso dirvi che il termine Golgota deriva dall’aramaico Gulguta, che significa “cranio”, “teschio”, perché lì fu sepolto Adamo …».
Il professor Richardson non ce la fece più, sbottò, ritenendo quell’ipotesi abbastanza fantasiosa e adducendo la propria motivazione: «Con tutto il rispetto signor Reds, non ritengo credibile che si tratti di Gerusalemme. D’accordo tutto quello che vuole lei, ma non ritengo che basti un teschio e una montagna sfocata per dire che abbiamo scoperchiato il vaso di Pandora!».
Il professor Radcliff giudicò negativamente il professor Richardson: «Professore, lo lasci terminare! Paragonando i due quadri, ha già compiuto un bel balzo in avanti, infatti è stato l’unico in mezzo a noi a scoprire i due termini di paragone».
Il professor Richardson controbatté: «Ci vogliono prove concrete e non interpretazioni di quadri!». Probabilmente il docente aveva ragione.
Thomas non ritenne opportuno controbattere alle accuse a lui rivolte e si limitò a condividere le parole del docente di filosofia, rimembrando la libertà di espressione, ossia il principio cardine su cui si basava il suo convegno: «Voglio ricordarvi che adesso che tutti noi conosciamo la vera storia della presunta scomparsa degli originali della Divina Commedia, ognuno di noi, come ora stanno sostenendo i due professori, può avanzare la propria personale ipotesi, giusta o errata che sia, come si conviene in un dibattito!».
Il giornalista, poi, rivolse la sua attenzione verso la sceneggiatura del quadro.
«L’oculum Dei in alto a sinistra osserva e giudica la scena clou, ossia Caino, alias il tipico Gerosolimitano, che giustizia con la sua spada Abele, che non è più l’Abele biblico, bensì il Cavaliere di Abele, che si ripresenta. E’ un mondo totalmente distorto, appunto il marchingegno rivoltato come vi ho detto prima, se pensiamo sia al “mascherato” San Girolamo che alle figure storiche di Abele e Caino, il primo simbolo del male, il secondo del bene».
Era proprio una visione capovolta del mondo religioso, che giustificava le ultime parole dell’Abate “per non dimenticare mai più la verità”. Ma il bello doveva ancora venire.
«Osservate adesso il manico della spada di Caino, non vi sembra una croce? Essa essendo al centro del quadro, corrisponde anche con il centro della collina del Golgota. Il luogo non può essere altro che Gerusalemme. Un’ulteriore prova è la tunica di Caino. Non c’è sopra impressa la croce di un semplice crociato. E’ la croce che aveva sul petto Goffredo di Buglione, primo Re di Gerusalemme e simbolo di tutti gli Ordini Crociati, in quanto rifiutò la corona, che i Cristiani della Terrasanta gli avevano donato. Egli affermava che la vera corona era quella di Cristo. Nonostante ciò, successivamente la croce che adottò Re Goffredo per il suo nuovo Regno, che gli fu attribuito, era chiamata croce potenziata, essendo tutta d’oro e accantonata da quattro crocette dello stesso colore. “Accantonato” è un termine prettamente tecnico ma determinante per designare la particolare arma, che in araldica, rappresenta lo stemma della casata o della famiglia. Nel nostro caso, per dire che in tutte le quattro sezioni create dalla grande croce che si trova al centro dello stemma nobiliare della famiglia di Re Goffredo, ci sono quattro piccole croci».
Sui volti di ognuno si delineò lo stupore per quella scoperta, al che il professor Radcliff disse spontaneamente: «Caspita la croce di Re Goffredo! Come ho fatto a non notarla subito!» poi rinsavì, ponendo un quesito non abbastanza ovvio al giornalista: «E con questo, secondo lei, l’Abate, attraverso l’artista, che cosa avrà voluto farci capire? Solo la destinazione finale?».
Il giornalista, conscio di un desiderio quasi irrealizzabile, disse con parole povere, dando anche un’occhiata alla sua agenda: «Ha fatto capire ai posteri che la Divina Commedia si può trovare a Gerusalemme e gli indizi sono diversi, ma noi purtroppo siamo anche consapevoli che ogni tempio della cristianità è Gerusalemme.
La Città Santa è la culla delle tre religioni monoteiste, è il principio di tutto e la fine di tutto, è il Cristo che si è incarnato, è il mistero della fede … ma, nonostante ciò, al momento ho intenzione di effettuare una spedizione verso quel monastero dedicato alla Santa Croce, che oggi si trova sul Golgota, al fine di ricercare altri indizi, però prima di proseguire, vi devo rivelare …».
Thomas, in quel momento, si paralizzò letteralmente, dopo aver sentito un tonfo di un bastone provenire dalla navata destra.
Alzò gli occhi dall’agenda e vide l’anziano sgattaiolare velocemente verso l’uscita della Chiesa. Molte persone del pubblico si voltarono per poter vedere con i loro stessi occhi che cosa aveva ipnotizzato il giornalista. Se ne era andato.
Thomas digrignò i denti e batté il piede destro come un bambino che fa i capricci, perché avrebbe voluto corrergli dietro, ma non poteva comportarsi in tal modo dinanzi a tutta quella gente. Era come impotente. Tutti notarono il suo cambiamento d’umore, dalla speranza alla irritazione per l’accaduto, anche se non ne comprendevano bene il motivo.
Padre Robert, stupito anch’egli dal comportamento del giornalista, gli chiese: «Thomas, c’è qualcosa che non va? Ti senti bene?».
«Sì, continuiamo» rispose, ma si vedeva che non era affatto calmo. Stringeva il suo microfono con la mano destra molto forte e con l’altra mano si teneva al tavolo del convegno, per non alzarsi dalla sedia e precipitarsi come un forsennato verso l’uscita. C’era molta amarezza nelle sue azioni. Amarezza per esserselo lasciato scappare.
Improvvisamente alzò la mano Joseph Loruk, il giovane studente che era seduto accanto all’anziano. Brian, che si trovava sulla navata sinistra, si diresse quasi di corsa verso di lui. Padre Robert gli concesse la parola.
«Signor Reds, il signore che era seduto di fianco a me, mi ha detto di consegnarle questo, non appena fosse uscito dalla Chiesa». Era quel foglio, mezzo stropicciato e piegato a metà.
Thomas si illuminò: «Joseph, consegnamelo subito!».
Padre Robert domandò: «Thomas ma chi era quel signore che è appena uscito?».
«Lo scopriremo insieme».
Joseph gli consegnò il foglio. Thomas lo aprì e lo lesse. Affermò quasi sorridendo: «Ecco chi era! Era proprio lui!». Il giornalista lasciò cadere il foglio, in quanto batté la mano destra sul tavolo ripetutamente. Nessuno comprese le sue emozioni: era contento o stizzito? Tutti esigevano una spiegazione. Il professor Richardson lo guardò con un’aria minacciosa. Era pronto ad aggredirlo.
Thomas divenne serio e commentò le parole dell’anziano, prendendo il foglio da terra e mostrandolo al suo uditorio: «Su questo foglio, estrapolato da un libro di astronomia c’è la foto di un fenomeno astronomico, un’eclissi di sole. E l’eclissi in fondo è ciò di cui abbiamo parlato allegoricamente fino ad ora, un’occultazione della verità, un’occultazione di queste benedette pergamene. Dove sono? La risposta ce la dà il nostro amico, che se ne è appena andato, ma ce lo dice sottoforma di versi danteschi. Infatti, sotto la foto sono riportati gli ultimi quattro versi della Divina Commedia, quelli del XXXIII canto del Paradiso “A l’alta fantasia qui mancò possa; ma già volgeva il mio disio e ‘l velle, si come rota ch’igualmente è mossa, l’amor che move il sole e l’altre stelle”».
«E con questo? Che cosa ha voluto dire il suo amico?» domandò il professor Richardson.
Thomas fu astuto. Non volle incendiare il convegno, dando corda al professore: «E’ molto semplice. Dante nell’ultimo canto della Divina Commedia, non potendo esprimere a parole proprie l’essenza di Dio, afferma poeticamente che “alla sua alta capacità immaginativa qui mancò la forza; ma già volgeva il mio desiderio e la mia volontà, come una ruota che ha un moto uniforme, l’amore che muove il Sole e le altre stelle, cioè Dio”». Il professor Radcliff si mise le mani nei capelli incredulo, avendo già intuito tutto. Si voltò poi, istintivamente verso il sagrato.
«Bene, vedo che il professore ha già capito, ma in ogni caso sarebbe inutile corrergli dietro, è già lontano». Il docente fu convinto delle parole di Thomas e si girò verso l’abside.
«Il messaggio di Dante, se riferito a questo convegno e alla mia medesima persona, ma non è che io sia degno di essere paragonato a Dante, ci mancherebbe, vuol significare che “alla mia alta capacità immaginativa qui mancò la forza, cioè proprio ora che viene il bello, la ricerca delle pergamene” e viene ripetuto come se fosse una volontà prettamente divina. “Già volgeva il mio desiderio di scoprire e la mia volontà di andare avanti con la ricerca, come una ruota che ha un moto uniforme, l’amore che muove il Sole e le altre stelle”, e quest’amore è sempre Dio. Ci ha detto in modo pungente e ironico allo stesso tempo che è stato il Creatore a volerlo, e non lui, quasi seguendo il motto crociato “E’ Dio che lo vuole”. Non sembra una minaccia, ovvero il fatto che sia meglio per la mia persona che non vada avanti, infatti, l’anziano signore, lo dico apertamente, non mi ha minacciato, mi ha solo scritto delle fantastiche parole, facendomi comprendere la vanità di ogni eventuale spedizione alla ricerca delle mitiche pergamene. E lo può dedurre anche uno sciocco che io e lui ci eravamo già incrociati da qualche parte».
«E tu Thomas, attraverso quei versi, ti sei ricordato dove l’avevi già visto, giusto?» domandò Padre Robert.
«Sì, era il responsabile, esperto di biblioteconomia, che faceva parte di quel gruppo di persone, inviato dal governo francese al monastero lionese … ma in realtà può essere chiunque, un discendente dei Cavalieri di Abele, o un Cavaliere di Malta, o addirittura uno studioso che, attraverso altre fonti, forse proprio le stesse dell’Abate, ha scoperto dove si potrebbero trovare quelle pergamene e noi forse stiamo seguendo una pista sbagliata oppure può essere un archeologo o un giornalista come me».
Il professor Radcliff ridacchiò e disse: «E’ stata una bella storia la sua signor Reds, ma … come la gira, la gira, lei sarà sempre battuto. Quell’anziano signore, come si è soliti affermare, ha il coltello dalla parte del manico. Però se ne è andato … questo vuol dire che ha sentito qualcosa di particolare nel suo ragionamento, attraverso il quale lei pian piano, forse a Gerusalemme o da qualche altra parte, sarebbe riuscito a risalire a lui». Ci fu uno sguardo d’intesa tra il giornalista e il docente.
Dopo aver notato l’intesa tra i due, il professor Richardson si alzò nervosamente dalla sua postazione e raggiunse l’abside, sorprendendo tutti con il suo atteggiamento. Chiese il microfono e lo ottenne da Padre Robert, che gli offrì il suo. Voltandosi verso il pubblico a destra e a manca, disse: «Vi prego, non siate allibiti per l’esito di questo convegno. Insomma non vedete che è tutta una bellissima messinscena fatta a regola d’arte? C’è il giornalista che deve fare lo scoop, c’è il direttore che organizza il convegno per far aumentare il livello di notorietà del suo giornale» li indicò a uno a uno «c’è un docente di filosofia che accompagna il narrare del giornalista e di tanto in tanto pone una domanda e … quell’attore che ha scritto quei versi sul foglio dell’eclissi ha fatto il resto. Mi meraviglio solo che un uomo di Chiesa si sia reso complice di questo teatrino».
Inveì contro di lui il direttore: «Io la denuncio! Come si permette di insinuare tutto questo? Quello che è accaduto a Thomas Reds e quello che è successo in questi ultimi istanti è tutto vero».
«Io mi permetto, perché, caro signor Downing, dall’inizio del convegno non ho visto neanche un manoscritto medievale o moderno e non parlo della presentazione proiettata sullo schermo, ma di testi che fisicamente possiamo toccare. Chiunque può ricreare delle pergamene, dei simboli come l’occhio di Dio o le punte della Croce Maltese, chiunque lo può fare al computer. E non lasciatevi ingannare dai quadri, la loro interpretazione può essere erronea. Le prove di tutta questa storia dove sono? Dove sono, signor Reds?». Nessuno osò ribattere, neanche il direttore o Padre Robert. Era davvero una messinscena? Qualcuno fra il pubblico era d’accordo con il professor Richardson, mentre qualcun altro difendeva a spada tratta la bontà e la genuinità delle ricerche di Thomas. La situazione stava scappando di mano al giornalista e si creò molta confusione fra i membri dell’uditorio.