“L’eclissi della storia” – Sedicesimo episodio “I Cavalieri”

2 aprile 2019 | 16:54
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“L’eclissi della storia” – Sedicesimo episodio “I Cavalieri”

Quindicesimo episodio: puntata precedente del 27 marzo

Sedicesimo episodio: In quel momento il professor Richardson si alzò e Brian, dopo l’ormai rituale richiamo da parte di Padre Robert, gli passò il microfono: «Signor Reds, sono sempre io, vorrei indovinare come ha agito successivamente. Una volta ipotizzato il simbolo, presumo che lei abbia stampato un’immagine della croce di Malta e la prima pagina del manoscritto, e che abbia sovrapposto la seconda sulla prima».
Thomas confermò le parole del professore: «Esatto, professore».
«Sono proprio curioso ora» commentò.
«Il frutto del mio esperimento è stata questa immagine che vi propongo con il proiettore. Ora seleziono solo il primo quadrato di questa prima pagina del manoscritto. Vedete che, siccome sono molte le parole a essere annerite, o meglio evidenziate, è impossibile che tutti questi termini rappresentino un qualcosa di concreto e oltretutto risultano ancora scollegati tra di loro, ma … se invece prendiamo a riferimento solo le otto punte della croce, ecco che la soluzione si palesa dinanzi ai nostri occhi».
Il direttore si alzò e incominciò ad applaudire il suo giornalista e a ruota lo seguirono tutti i presenti. Il vero mistero dell’occhio di Dio era stato decifrato attraverso la Santa Croce Maltese. Ora tutti erano pronti ad ascoltare Thomas, perché la verità stava venendo a galla.
Era il momento clou del convegno. Thomas espose, senza batter ciglio, la sua scoperta: «Premetto col dirvi che il manoscritto è costituito da 120 pagine e inizialmente pensavo che tutte le pagine contenessero otto parole chiave che coincidevano con le otto punte della croce di Malta. Non è così. Solo in trenta pagine ci sono termini che fanno parte della storia ed io sono riuscito a discernerle pazientemente dalle altre 90. Per facilitarvi la visione delle 240 punte o parole chiavi complessive, presenti nel manoscritto, ve le mostro senza la visione della sovrapposizione delle singole pagine sulla croce maltese, visto che lo stilema è sempre lo stesso. Per stilema voglio dire che la stessa croce, o meglio le sue punte, sono il mezzo, il medium commune di queste trenta pagine, che quindi diventano un codice fisso e prolungato. Addirittura per farvi comprendere al meglio, è possibile paragonare questo strumento con la Divina Commedia stessa. Siccome non si possiede il testo o i testi originali, al fine di ricostruirli, è necessario consultare tutte le copie, quelle più antiche ovviamente, che possono essere singoli manoscritti o gruppi di manoscritti, che possono formare uno o più codici. Comunque è preferibile non scendere nei dettagli delle tecniche e delle edizioni filologiche, riferendoci al pensiero di filologi quali Lachmann o Bedièr». Questo era pane quotidiano per la dottoressa Long, che era intervenuta in precedenza.
«E allora, in definitiva, ci mostrerai solo le singole parole delle trenta pagine» chiarì Padre Robert.
«E’ quello che intendo fare, ma lo faccio anche e non solo per un fatto di tempo, perché ormai la concezione di tempo sembra essersi dissolta per questa storia … gli avvenimenti diventano frettolosi, lo so che non è un aggettivo adatto per definirli, ma mi hanno dato una sensazione tale di dinamicità, al punto da non distinguerli in un arco temporale ben definito … quindi mostrare qui le singole parole ci risparmierà senza dubbio un’odiosa tediosità congressuale, ma è soprattutto un metodo più semplice, affinché io, assieme a voi, possiamo comprendere quest’annosa situazione, tradurre queste eteree parole e commentarle. Dunque la prima pagina contiene queste otto parole Veritas in historia miserabilium multum auxilium librorum Marseille, ossia “Verità nella storia dei miserabili, molto aiuto dei libri a Marsiglia”. Sembra abbastanza chiaro che l’anonimo ci voglia raccontare la verità che si nasconde dietro la scomparsa della Divina Commedia, in sintesi la storia dei miserabili, attraverso un gran numero di fonti che si trovano a Marsiglia, o meglio che si trovavano alla sua epoca. Seconda pagina».
«Ah, quindi continuerai in questo modo? Prima pagina, seconda pagina, terza pagina e così via, fino ad arrivare alla trentesima?» chiese Padre Robert.
«Sì, farò così, ma interrompetemi se qualcosa non vi è chiaro» rispose con una certa sicumera.
«Seconda pagina: Durante, quo legato, et Canis socios praeterea exilium. Chi conosce il latino è consapevole del fatto che alcune desinenze sono errate e lo saranno per tutto il manoscritto. Essendo un codice, erano appositamente errate per creare confusione. Comunque … la traduzione è “Durante, in qualità di ambasciatore, e Cane amici prima dell’esilio”. Durante e Cane sono rispettivamente il nome di battesimo di Dante e il diminutivo di Cangrande della Scala, mecenate del sommo poeta, durante il periodo dell’esilio».
«Come? Dante si chiamava Durante?» intervenne improvvisamente uno studente alquanto allibito.
«Beh … sì, a noi può sembrare molto singolare questo nome, ma all’epoca un tale che si chiamava Durante De Alagheriis era comune amministrazione. Queste due grandi figure del passato, stavo dicendo, si conoscevano prima dell’esilio del sommo poeta, il quale, in qualità di ambasciatore di Firenze, era stato a contatto con la corte scaligera. Terza pagina: Sub magistro Folcho, ordo novum, militare civilitate, natum est “Sotto il maestro Folco, nacque un nuovo ordine, con civiltà militare”. E’ facile da capire che, sotto il governo del Gran Maestro Folco de Villaret, nacque un nuovo ordine crociato che aveva una funzione prettamente militare. E civiltà è un termine molto significativo in questo senso, in quanto civiltà nata con la concezione degli uomini del Medioevo. Era un ordine che voleva imporre la propria sovranità con le armi. Un’immagine veramente da debellare».
Il professor Radcliff non poteva credere a ciò che sentiva, nel giro di qualche ora aveva compreso che i libri di storia e di letteratura che possedeva nella sua libreria dovevano essere bruciati. Il professor Richardson, invece, seguiva attentamente l’esegesi del giornalista e, di tanto in tanto, osservava i quadri della Chiesa.
«Quarta pagina: Monachos et laichos sub Folchi capellani magistero Ierosolimitano “Monaci e laici sotto il magistero Gerosolimitano del cappellano di Folco”. Ecco che cominciano le parole chiavi poco chiare. Secondo la mia modesta opinione e dato che le pagine in cui sono stati trovati questi termini si susseguono, si sta parlando sempre di questo nuovo ordine. Esso era associato all’Ordine Gerosolimitano, capeggiato da un cappellano fedele a Folco, quindi da un suo subalterno, a noi sconosciuto, e formato presumibilmente sia da monaci sia da laici, non proprio una stretta cerchia di persone».
Padre Robert preferì commentare, giudicando favorevolmente quest’ultima frase: «Probabilmente doveva essere un ordine all’interno dell’ordine stesso, ma non riconosciuto dalla Chiesa. Posso dirlo chiaramente, perché so che la Chiesa di Roma non riconosceva fazioni interne agli ordini o movimenti considerati ortodossi rispetto alla dottrina originaria. Ovviamente ortodossi non nel senso di legati ai Patriarcati d’Oriente, ma che differivano, appunto, dalla prima predicazione del verbo crociato, che risaliva al mitico, nonché tragico per le conseguenze, discorso di Papa Urbano II al Concilio di Clermont del 1095. Sto parlando del discorso che giustificava la guerra santa con la famosa espressione “Deus vult”».
Ancora una volta il convegno aveva portato alla luce, dopo la difficoltà di qualsiasi persona, non necessariamente colta o appartenente al clero, di poter accedere alle Biblioteche Vaticane, un altro “enigma” della Chiesa di Roma, anche se la guerra santa era un concetto debellato ormai da tempo.
Esso, però, sarebbe risuonato in un certo senso attuale, se si fosse discusso di fondamentalismo islamico e delle differenze seppur effimere tra le due religioni. Due estremismi insensati, la Crociata e la jihad.
Thomas continuò con le altre parole chiavi: «Quinta pagina: Mortuo capellano, monachus nomatus Attila utUnnus electus est “Morto il cappellano, fu eletto un monaco chiamato Attila come l’Unno”. E qui non è necessario alcun commento, se non il fatto che sia presente un espediente classico di natura metrica, che si ripresenterà più volte nelle pagine del manoscritto. Qui compare per la prima volta. UtUnnus si legge tutt’una volta con l’accento solo sulla seconda u, dato che il primo accento, praticamente, è silente». Il professor Richardson sentiva molto caro a sé questo argomento, dato che era riferito alla disciplina che insegnava quotidianamente.
«Questo sistema serviva per dar vita ad un unico lemma, formato dai due termini originari ut e Unnus, visto che le parole chiave della pagina devono essere otto, come le punte della croce, e non nove. Questa invenzione metrica, se così può essere chiamata, discende dai poeti latini. Ricordo ad esempio l’Eneide di Virgilio, nei cui esametri compare più volte questo espediente, ma al poeta augusteo esso serviva per una corretta sillabazione. Chissà che l’autore non abbia voluto omaggiare proprio Virgilio, che fu modello e “duca” per Dante … non lo sapremo mai, ma andiamo avanti … Sesta pagina: Is notus causa iniuxta multa penitentia discipulis ordinis “Egli era noto per la perdurata penitenza ai discepoli dell’ordine per causa ingiustificata”. Presumo che l’autore voglia dire che frate Attila era ricordato, perché costringeva i seguaci del nuovo ordine a una penitenza duratura ed ingiustificata o meglio ingiusta. Chissà se Attila, a questo punto era il suo vero nome o un soprannome!» Nessuno obiettò, era impossibile farlo.
«Settima pagina: Ordo autonomus fratris Attilae Cabalieri Abelis Romae sappellavit “L’ordine autonomo di frate Attila si appellò Cavalieri di Abele di Roma.” Su questa frase c’è poco da dire, bisogna considerare però la rilevanza del termine “autonomo”, ancor prima del nome dell’ordine “Cavalieri di Abele”, di cui parleremo per la pagina successiva».
Il professor Radcliff confermò: «Nel Medioevo l’autonomia era un fondamento necessario per l’evoluzione di qualsiasi consesso, gruppo di persone, organizzazione o, appunto, ordine, come nel nostro caso. L’autonomia era sinonimo di libertà». «Infatti, professore. Comunque, gradualmente, secondo la mia opinione, questi Cavalieri si distaccarono dall’ordine originario, perché ovviamente non poteva accadere una separazione subitanea dall’oggi all’indomani in un ordine monastico – cavalleresco così conosciuto e così legato al Papato. Andiamo avanti, traducendo l’ottava pagina: Puram Ecclesiam Christi Cabalieri sed cum gladio volebant “I Cavalieri volevano una Chiesa di Cristo pura, ma con la spada”. E’ una frase pregnante di significato, che si commenta da sola. In pratica l’ordine di questi Cavalieri, monaci e laici, era nato con la concezione di una Chiesa pura come pure erano le figure bibliche di Cristo e Abele. Predicavano una Chiesa apparentemente sana, ossia contro la corruzione, contro la vendita delle indulgenze e contro i peccati dell’uomo in generale, ma con un unico neo … il neo comune a tutti gli ordini, l’imposizione della volontà della Chiesa tramite le armi, tramite la forza bruta, tramite la guerra santa, e ritorniamo al discorso di prima. Prima che mi poniate altri quesiti» il giornalista vide parlottare fra il pubblico «vi garantisco che dal manoscritto non si apprende se la Chiesa tollerasse o meno i metodi di quest’ordine, a distanza di circa mezzo secolo dall’ultima crociata, se si considera l’epoca in cui è vissuto Dante. E non sono, purtroppo, neanche gli stessi metodi dell’ordine Gerosolimitano, né di altri ordini più conosciuti».
Dalle parole del giornalista si poteva apprendere che oltre alla spada, c’era di più … la loro malvagità e la loro premeditazione di atti illeciti o, comunque poco consoni al mondo ecclesiastico.
«Andiamo ancora avanti. Nona pagina: Attilae coniura contra Magistrum Folchum et Ierosolimitanos erravit “La congiura di Attila contro il maestro Folco e i Gerosolimitani fallì”. Con questa frase apprendiamo che le nostre congetture, a dispetto di quanto si narra, erano esatte in quel di Marsiglia. Il nuovo ordine costituito con a capo frate Attila, nato da una costola di quello Gerosolimitano, aveva organizzato una congiura per sbalzare il trono del Gran Maestro Folco. E non solo Folco, ma tutti i Gerosolimitani, dichiara l’anonimo. I Cavalieri di Abele avevano premeditato di prendere il loro posto nel cuore di Roma, ancora il pilastro su cui fondava il Sacro Romano Impero …».
«… e nel cuore del Papa» aggiunse tristemente Padre Robert.
«Senz’altro. Il governo dei Gerosolimitani doveva far gola proprio a tutti. Potere temporale e potere spirituale nelle loro mani, ma fallirono nella loro impresa. Qualcosa che non scopriremo mai dovette andare storto. Invece non fallì quello che scopriamo adesso nella decima pagina: Sed cum uelfis nigris Durantem ab Florentia exspulsit “Ma con i guelfi neri fece espellere Dante da Firenze”. Quindi il soggetto è sempre frate Attila, che fece in modo di aggiungere sulla lista nera un personaggio che doveva essere scomodo a quest’ordine, Dante Alighieri. Non c’è altro motivo, se non questo, il fatto che Dante aveva avuto a che fare con questa gente».
«E’ possibile che si tratti proprio della Divina Commedia? Può essere proprio quest’opera il pomo della discordia?» intervenne meravigliato il professor Richardson.
«Lo dice lei, professore. Fino ad adesso si è sempre parlato di Durante e non del suo testo principale! Alla Divina Commedia l’anonimo e anche tutti noi ora ci stiamo arrivando con calma … perché, poi, effettivamente oggi sappiamo che il Sommo Poeta la scrisse dopo l’esilio e queste vicende ci confermano la realtà storica, riguardo questo aspetto della vita dell’autore stilnovista».
Thomas aveva trovato un po’ di difficoltà nell’esplicare il fatto che Dante avesse scritto la Divina Commedia dopo il suo esilio da Firenze, dal momento che il docente sembrava avesse compiuto una gaffe, ma non era così.
Il professore si corresse, celando anche il suo innato scetticismo, per non risultare odioso: «Forse mi sono spiegato male. Alla luce di questa sua scoperta, non può essere possibile, visto che Dante e Cangrande già si conoscevano, che il sommo poeta avesse redatto una prima stesura dell’Inferno, se non proprio dell’intera Divina Commedia?».
Thomas continuò: «E’ un’ottima riflessione, anche io pensai a questo, ma la prossima pagina smentisce la nostra comune opinione sull’argomento. Vorrei ribadire ancora una volta questo concetto, affinché non lo dimentichiate mai. I Cavalieri di Abele si allearono con i guelfi neri, e siamo d’accordo ma non sappiamo se parteggiarono per una determinata fazione politica, ossia per la Chiesa o per l’Impero, quindi non siamo consapevoli se la Chiesa approvasse o meno le loro azioni disdicevoli. Riprendo con le parole chiavi. Undicesima pagina: Durante postea itinerem Cano Comedia pro domo dicavit “Dante dopo il viaggio dedicò a Cangrande la Commedia per la casa”. Beh … l’esperienza dell’esilio di Dante è probabilmente l’evento più importante della biografia del sommo poeta, un’esperienza che l’ha segnato profondamente ed è il motivo principale per cui egli abbia scritto il suo poema. Quasi come una vendetta nei confronti di chi l’aveva rinnegato, di chi aveva ordito contro di lui e contro la bontà del suo animo.
Oltre a questo discorso, l’anonimo ne fa un altro, diciamo che pone la questione dell’esilio su un altro piano e non è quello vendicativo. L’anonimo ci descrive un Dante opportunista. Vi descrivo, attraverso la lettura dei miei brevi appunti, ciò che intendo dire per opportunista» per il giornalista ricordare tutti gli avvenimenti non era stato un compito per nulla semplice, visti gli innumerevoli colpi di scena della storia. E nulla faceva presagire che essi fossero terminati