Cannabis light, stop della Cassazione: «La vendita di derivati è reato». I commercianti “Non è vero”. Ecco come stanno le cose

31 maggio 2019 | 19:59
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Cannabis light, stop della Cassazione: «La vendita di derivati è reato». I commercianti “Non è vero”. Ecco come stanno le cose

Stop alla vendita della cannabis light: lo ha deciso la Cassazione, secondo cui la legge non consente la vendita o la cessione a qualunque titolo dei prodotti «derivati dalla coltivazione della cannabis», come l’olio, le foglie, le inflorescenze e la resina. A deciderlo, in una sentenza che farà discutere, le sezioni unite penali della Suprema Corte. Ma i commercianti, con una nota di un legale, spiegano come stanno le cose

Si conclude una giornata molto amara per tanti piccoli imprenditori che si sentono criminalizzati da una sentenza di cui conosciamo solo un sommario dispositivo, ma le cui motivazioni saranno rese note solo tra alcune settimane (si spera ).
Sono anch’io piuttosto triste e deludo, ma non abbattuto perché credo che il conflitto giudiziario continuerà e permetterà ai commercianti di vedere riconosciute le proprie prerogative.
Senza venire meno al dovere di rispettare le sentenze devo confessare che la mia delusione deriva dall’approccio piuttosto approssimativo che la Corte manifesta con la propria sentenza.
È plateale la contraddizione fra l’estromissione del commercio delle infiorescenze foglie resine ed olii dalla L242/2016 che presenta due soglie di Thc pari allo 0,2% ed allo 0,6% e la collocazione di tale attività sotto l’egida del Dpr 309/90, con esclusione della punibilità se la sostanza non produca effetto drogante.
Per convenzione tossicologico-giuridica il limite sotto al quale non è riconosciuta efficacia drogante sl Thc è pari allo 0,5%.
Dunque con la propria pronunzia la Corte di Cassazione fra rientrare dalla finestra ciò che ha fatto uscire dalla porta solo sulla base di un ragionamento di pura apparenza, fondato su di una interpretazione restrittiva della L 242/2016 che lo stesso Pg aveva definito inopportuna (salvo incoerentemente concludere per l’accoglimento del ricorso del Pm.
Nei casi in cui non configura reato la condotta di commercializzazione deve essere quindi ritenuta ammissibile.
Si tratta invero di un principio peraltro già accolto in precedenti sentenze della SC e si può dire pertanto che i giudici di legittimità si sono limitati a ribadire principi già conosciuti omettendo di prendere piena consapevolezza di un grave problema.
A tutti i commercianti dico che la loro attività è tuttora possibile e che non devono abbandonare ed abbattersi.
Federcanapa che è intervenuta sulla questione, sottolineando come la soluzione della Cassazione “non determini la chiusura generalizzata dei negozi che offrono prodotti a base di canapa”, proprio perché “il testo dice infatti chiaramente che la cessione, vendita e in genere la commercializzazione al pubblico di questi prodotti è reato salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante”. Ed è proprio questo il punto, infatti nel nostro Paese la questione è regolamentata proprio dalla legge 242 del 2016, che, nell’articolo 4 commi 5 e 7, dice:

  5. Qualora all’esito del controllo il contenuto complessivo di THC della coltivazione risulti superiore allo 0,2 per cento ed entro il limite dello 0,6 per cento, nessuna responsabilità è posta a carico dell’agricoltore che ha rispettato le prescrizioni di cui alla presente legge.

7. Il sequestro o la distruzione delle coltivazioni di canapa impiantate nel rispetto delle disposizioni stabilite dalla presente legge possono essere disposti dall’autorità giudiziaria solo qualora, a seguito di un accertamento effettuato secondo il metodo di cui al comma 3, risulti che il contenuto di THC nella coltivazione è superiore allo 0,6 per cento. Nel caso di cui al presente comma è esclusa la responsabilità dell’agricoltore.

La cannabis light è stata commercializzata a partire da questa legge e poi regolamentata con delle circolari dei governi Gentiloni e Conte. La soglia per la vendita al dettaglio è stata fissata allo 0,2% di THC, anche se dovrebbe essere considerata light sotto allo 0,5%. Mentre la legge citata in precedenza prevede la non responsabilità per i coltivatori fino allo 0,6%, con la distruzione o sequestro come conseguenza del superamento di questo limite. La soluzione della Cassazione, facendo riferimento all’efficacia drogante, non cita esplicitamente alcun limite tra quelli elencati in precedenza. Come ha spiegato l’avvocato Zaina: “È la solita scappatoia all’italiana: se la canapa non ha un principio attivo drogante, la questione non esiste. Ora bisognerà stabilire cosa si intende per principio drogante. Se un commerciante riesce a dimostrare che la sostanza che vende non ha effetto drogante, non c’è niente di illecito”. Mentre da Federcanapa è arrivato l’augurio che “le forze dell’ordine si attengano a questa netta distinzione tra canapa industriale e droga nella loro azione di controllo e che non si generi un clima da caccia alle streghe con irreparabili pregiudizi, patrimoniali e non, per le numerose aziende del settore

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