Intervista a Helga Sanità, tra antropologia e arte contemporanea, a cura di Maurizio Vitiello.

Intervista di Maurizio – Risponde Helga Sanità.

D – Puoi segnalare ai nostri lettori il tuo percorso di studi?
R – Mi sono laureata a Napoli in Conservazione dei Beni Culturali con una tesi in Storia e Tecnica della Fotografia, ma, poi, ho continuato il percorso conseguendo il dottorato di studi in Etnologia e Etnoantropologia all’Università La Sapienza.

D – Puoi raccontarmi i tuoi iniziali desideri e sogni?
R – Fin da bambina mi è sempre piaciuto osservare le cose e mi sono appassionata alla storia dell’arte molto presto. Prima di incontrare l’antropologia sognavo di diventare una storica dell’arte. Ero affascinata soprattutto dall’arte contemporanea e subito dopo la laurea ho avuto la fortuna di poter collaborare come assistente di galleria con lo Studio Trisorio, così l’arte è diventata una parte essenziale della mia vita.

D – Quando è iniziata la voglia di interessarti di antropologia culturale?
R – La folgorazione sulla via di Damasco è arrivata quando ho incontrato Marino Niola, durante le ricerche per la scrittura della mia tesi di laurea. Lavoravo sugli archivi fotografici napoletani Parisio, Troncone e Carbone e mi ero imbattuta in un folto corpus di immagini d’epoca sulla festa di Piedigrotta. Queste immagini mi fecero venire voglia di esplorare la cultura popolare napoletana più da vicino. Per questo avevo bisogno delle lenti dell’antropologo e Marino Niola è stato un maestro dello sguardo eccezionale. Quel lavoro di ricerca si è poi concretizzato nel mio primo libro La festa di Piedigrotta. Il mito di un ritorno pubblicato nel 2010. Le lenti dell’antropologo non le ho più tolte e credo che tutti dovrebbero indossarle, oggi più che mai, per scoprire la ricchezza delle diversità culturali.

D – Puoi precisare i temi e i motivi dei tuoi studi?
R – Da neolaureata sono entrata a far parte del Laboratorio di Antropologia Sociale diretto da Marino Niola ed Elisabetta Moro e con loro ho fatto molta etnografia sui rituali religiosi e le pratiche festive in area campana. Insieme abbiamo lavorato ad esempio sul culto delle Anime del Purgatorio, sui Riti Settennali di Guardia Sanframondi e abbiamo realizzato un Atlante delle Feste religiose in Campania. Dal 2010 ci occupiamo, soprattutto, di dinamiche di patrimonializzazione dei beni culturali immateriali su scala locale e nel contesto internazionale UNESCO con particolare attenzione all’antropologia alimentare e abbiamo fondato presso l’Università Suor Orsola Benincasa il MedEatResearch, un centro di ricerche che esplora la storia, le memorie e gli immaginari legati al cibo, in particolare alla Dieta Mediterranea.

D – Ora, puoi motivare il percorso di gestazione e l’esito del tuo ultimo libro?
R – L’ultimo libro che ho curato, con Marino Niola, indaga una specifica espressione della fede, quella dei battenti a sangue, dei flagellanti e dei protagonisti dei Misteri nei Riti che si celebrano a Guardia Sanframondi in onore della Madonna Assunta ogni sette anni. Abbiamo fatto etnografia nel piccolo comune sannita per molti anni e in questo volume abbiamo dato voce alla comunità pubblicando le interviste raccolte e mettendo a confronto la visione della chiesa ufficiale con quella dei battenti e degli altri protagonisti del rito, nell’intento di entrare nel suo significato più profondo, oltre ogni possibile pregiudizio e mistificazione. È stato il sindaco Floriano Panza a commissionarcelo, si intitola Il patrimonio universale della fede. I riti settennali di Guardia Sanframondi fra comunità e media e sarà presentato nei prossimi mesi.

D – Dentro c’è Napoli, forse, ma quanto e perché?
R – In un certo senso c’è anche Napoli, perché c’è un particolare concetto di religiosità che appartiene al meridione d’Italia. Una religiosità barocca che passa attraverso il corpo come strumento di fede, di “passione” in senso più lato.

D – Napoli è una città sorgiva per gli intellettuali e gli artisti?
R – Certo lo è e lo sperimento ogni giorno. Tutti gli artisti che ho conosciuto in questi anni allo Studio Trisorio, da qualunque parte del mondo siano arrivati, sono stati letteralmente folgorati dall’energia pulsante di questa città che è ricca di contrasti, ma sempre straordinariamente viva e stimolante. È per gli artisti una fonte inesauribile di ispirazione. Penso, per esempio, a Rebecca Horn che è riuscita a comprendere così profondamente il senso del culto delle anime purganti nell’opera realizzata per Piazza del Plebiscito un po’ di anni fa o a Jan Fabre che espone in questi giorni le sue opere realizzate col corallo rosso di Torre del Greco in dialogo con i capolavori del Museo di Capodimonte e al Pio Monte della Misericordia si relaziona con il Caravaggio delle Sette opere di Misericordia attraverso il suo autoritratto L’uomo che regge la croce. Direi che Napoli è capace di innescare eccezionali cortocircuiti simbolici che restituiscono al linguaggio dell’arte il suo valore universale.

D – Quali pagine di un autore napoletano, di uno italiano e di uno straniero che si sono espressi su Napoli ti hanno colpito?
R – Mi viene in mente un bel saggio-inchiesta di Antonio Ghirelli pubblicato credo nel 1976, dove il giornalista raccoglie scritti di vari autori su La Napoletanità. Fra questi Pasolini che definisce i napoletani come “una tribù che ha deciso di non arrendersi alla modernità” e questa negazione della storia secondo lo scrittore friulano, pur portando una profonda malinconia è consolatoria perché è giusta e sacrosanta. E, forse, è proprio questo il segreto della vitalità di Napoli che non cede mai definitivamente il passo alla modernità, ne assorbe le sollecitazioni perché è una città “porosa” e, come scriveva Walter Benjamin: “è capace sempre di ospitare nuove impreviste costellazioni”, ma rifiuta tutto quello che è definitivo e troppo caratterizzato. È una città fluida, aperta, in questo senso la più contemporanea che io conosca.

D – Pensi di avere una visibilità congrua?
R – Sì, diciamo che ho una visibilità congrua rispetto alla mia volontà di essere visibile. Non sono una fanatica dei social e non espongo mai la mia vita privata, ma li considero uno strumento importante per pubblicizzare il proprio lavoro con una finalità che definirei più “didattica” che narcisistica.

D – Quanti “addetti ai lavori” ti seguono?
R – Fra i miei contatti ci sono molti addetti ai lavori sia del mondo dell’arte che dell’ambito universitario, ma ci sono anche molti dei miei studenti.

D – Pensi che sia giusto avvicinare i giovani e presentare risultati in ambito scolastico, accademico, universitario?
R – Sì, i giovani sono quelli che hanno più bisogno di fare esperienze diverse di conoscenza di ampliare i propri orizzonti e una delle cose più appaganti durante i miei corsi di antropologia è la sensazione di essere riuscita a scardinare in loro qualche stereotipo o pregiudizio culturale incorporato inconsciamente.

D – Prossimo lavoro o impegno?
R – Uno importante su ognuno dei due fronti. In ambito antropologico una ricerca etnografica fra Sannio, Irpinia e Molise sui rituali legati al ciclo del grano. In ambito artistico l’organizzazione della 24ª edizione del Festival Artecinema con lo Studio Trisorio in programma dal 9 al 13 ottobre 2019.