Ci sono eclissi astronomiche, eventi straordinari, che per pochi attimi nascondono ciò che è e per sempre sarà sotto gli occhi di tutti. Possono esserci anche eclissi della storia, momenti in cui lo stesso effetto ci nasconde qualcosa che diamo per assodato, come un’opera letteraria, una statua oppure un quadro. Quello che viene celato, però, è lo straordinario percorso che queste opere fanno per arrivare fino a noi attraverso una foresta di simboli, come diceva Baudelaire, o tramite una strada buia e oscura come il cielo di notte, ma per fortuna illuminata da miriadi di stelle che ne segnano il cammino.
Dopo “Le origini di Positano” e “I sapori di Positano”, l’autore Gennaro Cuccaro cambia volto, letterariamente parlando. Dalla storia e dalla gastronomia della Città Verticale passa a un genere nuovo: un romanzo. Un’opera romanzata che potrebbe essere definita sia un saggio in alcune sue parti filologiche, sia un giallo che racchiude in sé i cardini principali del mistero e della ricerca della verticale. Non un giallo poliziesco, quindi classico e deduttivo, bensì psicologico. Un giallo, quindi, un po’ atipico, perché il lettore non deve scavare nella mente di un autore ermetico o di personaggi kafkiani, ma deve leggere dentro se stesso, attraverso una riflessione profonda sui temi proposti.
Il primo tema, per ordine di importanza, che propone l’autore è un lemma particolare. Uno dei personaggi nell’ultimo capitolo del romanzo si rende conto che tutto ciò che accade attorno a lui è un “metamistero”. Un termine “illecito”, ovvero che l’Accademia della Crusca non riconosce come valido per la nobiltà della lingua italiana, ma che consente di definire semanticamente l’intrecciarsi di situazioni equivoche ed enigmatiche all’interno di un convegno ben stilizzato.
Per l’autore, comunque, il salto da un genere a un altro non è stato improvviso. Per creare questa storia impregnata di suspence, l’autore ha dovuto necessariamente documentarsi sulla simbologia di un’Istituzione originaria della Costiera Amalfitana. La sua leggenda ha creato buona parte di questo romanzo, così come la sua evoluzione nel corso del tempo, dal Medioevo al periodo tumultuoso della Rivoluzione Francese. L’autore, dunque, ha tenuto fede ai suoi studi storici ed anche, come si vedrà per l’oggetto del mistero, alle sue ricerche filologiche. Un altro tema determinante, dopo l’importanza dell’aspetto semiotico dell’istituzione crociata, è la concezione di tempo, che, come sostenevano i grandi filosofi, non esiste, o meglio è solo un’unità di misura che si è prefissato l’uomo per dare un senso alle “sue” attività fuggevoli e vane. Scavando ancora nel profondo del proprio ego, un lettore potrebbe chiedersi anche “Chi è il protagonista de L’eclissi?”. Potrebbe essere il giornalista Thomas Reds, detentore di una verità inintelligibile. Potrebbe essere il fido Padre Robert, così come l’anziano sapiente della fatidica “navata destra”. Uno dei due professori Radcliff e Richardson, oppure addirittura il direttor Downing, perché è l’unica persona, insieme al parroco, a essere consapevole di buona parte della vicenda. Stiamo sbagliando. Questo romanzo non ha creato un protagonista, ma solo personaggi che gravitano intorno al lettore. L’autore ha dato la facoltà a chiunque di decidere chi sia il punto focale della sua narrativa.