in Costiera. «Positano incanto incontaminato» la biografia di Zeffirelli

16 giugno 2019 | 13:24
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in Costiera. «Positano incanto incontaminato» la biografia di Zeffirelli

Ne parla eccome Zeffirelli della Costiera Amalfitana e di Positano nel suo libro autobiografico. Quello che in tanti conservano nelle proprie librerie e che in queste ore hanno rispolverato, complice la notizia della morte del maestro, per rileggere le pagine che narrano la sua vita. Talmente spettacolare che pare ne abbia curato lui stesso la regia.

E tutto parte dal racconto della gioventù. In Campania venne per la prima volta il 19 luglio 1941 mentre Napoli era sotto l’assedio di violenti bombardamenti durante la seconda guerra mondiale. E racconta che si salvò insieme con il suo amico Carmelo per aver sbagliato strada. Per non essere rientrati nell’albergo che poco dopo trovarono in macerie.

Si diressero così verso Sorrento e poi dopo in Costiera Amalfitana. «Era una bella giornata di luglio e il mare luccicava indifferente ai disastri provocati dalla mano dell’uomo , – raccontava Zeffirelli nel suo libro autobiografico – Dal Valico di Sorrento ci voltammo un’ultima volta a guardare quel meraviglioso golfo di Napoli, diventato ora teatro di immenso dolore». E con Positano fu amore a prima vista nel pieno della seconda guerra mondiale.

«Poi facemmo quasi di un fiato la strada che porta da Sorrento alla costiera amalfitana. Dopo una curva, all’improvviso, ci apparve Positano; proprio sotto di noi. Un incanto incontaminato, appoggiato alla montagna a picco sul mare azzurro, di un azzurro come non avevamo mai visto. Attraversammo i vicoletti del piccolo borgo di pescatori, fermo nei secoli, ancora intatto, dove la gente viveva così da tempo immemorabile. Dal tempo di Ulisse, si diceva, quando nel corso della sua Odissea solcò quelle acque resistendo alle lusinghe delle Sirene. Non c’erano stranieri, non c’erano turisti: gli unici estranei eravamo noi, quasi piovuti dal cielo. Ci restammo, dimenticando ogni altra cosa, forse per una settimana, o forse di più; non so con precisione quanto. Non ricordo. Perdemmo ogni senso del tempo. Mangiavamo pesce appena pescato, frutta e verdura degli orti verdi strappati alla montagna, e alloggiavamo in casa di un pescatore che ci affittò la sua sola stanza. Nuotavamo nel mare azzurro e profondo dall’alba al tramonto, e prendevamo il sole nudi sulle rocce, decisi a godere quelli che forse potevano essere gli ultimi giorni di spensieratezza della nostra vita; come se per incantesimo fossimo stati trasportati nel Paradiso terrestre.
Avevamo dimenticato tutto e tutti, anche le nostre famiglie, che – ma noi non lo sapevamo – erano angosciatissime. Le ultime cartoline che avevano ricevuto portavano la data del 19 luglio, il giorno del bombardamento di Napoli, ed erano arrivate con l’ultimo treno che aveva potuto raggiungere Firenze, prima che le comunicazioni tra Nord e Sud fossero interrotte. A casa, dunque, sapevano che eravamo a Napoli il giorno del bombardamento, ma non sapevano se eravamo salvi, perché non avevano mai ricevuto le cartoline che, nei giorni successivi, avevamo puntualmente spedito a ogni nostra tappa: da Sorrento e da Positano. A Napoli le bombe avevano ucciso più di tremila persone, e tutta l’Italia era in lutto. Si può immaginare la preoccupazione delle famiglie che non avevano più avuto nostre notizie». Il viaggio proseguì verso Amalfi, poi Salerno e il Vallo di Diano. Ecco come Zeffirelli descrisse quelle tappe.

«Dopo Positano riprendemmo il viaggio verso Amalfi, che allora conservava ancora intatta la sua gloriosa storia, la cattedrale, il chiostro del Paradiso, l’incantevole Valle dei Mulini. Poi Salerno, Eboli, e da lì verso l’interno, in quella zona d’Italia così poco conosciuta, ricca di magnifici monasteri; tra cui la meravigliosa Certosa di Padula del Vanvitelli con i suoi trentaquattro chiostri, difesa da antiche roccaforti. Quindi raggiungemmo il Vallo di Diano, dove a Sant’Arsenio viveva la famiglia del nostro caro padre Spinillo. Egli era in vacanza nel suo borgo natale, come faceva ogni anno. Appena ci vide ci guardò come fossimo dei fantasmi, e quasi svenne. Ma si riprese subito e ci portò a telefonare a Firenze per tranquillizzare i nostri parenti che ci ingiunsero, ci supplicarono di ritornare immediatamente a casa. Riuscimmo con fatica a convincerli che ormai eravamo a metà del viaggio, già praticamente sulla via del ritorno. Mentivamo, naturalmente, avevamo ancora da scoprire la Puglia con le sue bellissime cattedrali, e tutto il resto».

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