Salvini cerca l’alleanza con gli Usa e si prepara allo scontro con Bruxelles: “Taglieremo le tasse”
La visita americana farà sicuramente bene alla carriera politica di Matteo Salvini, ma le sue parole contro «l’asse Berlino-Parigi» non serviranno a migliorare i rapporti dell’Italia dentro l’Unione europea. In un momento così delicato, con la mannaia della procedura d’infrazione, la Brexit che vede Donald Trump tra i sostenitori più entusiasti e le distanze tra Angela Merkel e Emmanuel Macron che non trovano un accordo sulla presidenza della Commissione Europea e quella della Bce. In questo scenario di macerie nel Vecchio Continente che vede la propria economia decrescere anche nella prospettiva dei dazi che Washington vuole mettere ai prodotti europei, il leader della Lega incontra il potente segretario di Stato Mike Pompeo e il vice presidente Mike Pence per allineare l’Italia sul crinale della massima lealtà e fedeltà atlantica. Una collocazione diversa del fronte critico franco-tedesco, nella speranza di sottrarre l’Italia anche dallo scontro Usa-Cina. Nella guerra commerciale dei dazi, dice il ministro dell’Interno, «penso che nell’obiettivo di Trump non ci sia l’Italia e i suoi prodotti. Mi sembra sia chiaro che i problemi stiano altrove, a Berlino piuttosto che a Parigi». E quando gli si fa notare che a subire conseguenze negative sarebbero pure le imprese italiane che fanno componentistica per le auto tedesche, risponde: «Conto che le aziende italiane possano essere al riparo dai dazi. Se altre aziende di altri Pesi europei non avranno la stessa fortuna, non è un problema mio».Salvini fa capire che grazie alle speciali relazioni costruite in questa visita lampo, l’Italia si ritaglia un posto al sole. «L’Italia vuole tornare a essere nel continente europeo il primo partner della più grande democrazia occidentale. L’incontro con Pence è andato benissimo. Ho ribadito il dovere di poter tagliare le tasse sul modello Trump: siamo d’accordo sul 99% della visione del mondo».
Il protocollo non gli consente di stringere la mano al presidente americano, ma Salvini è come se l’avesse fatto incontrando i massimi esponenti dell’Amministrazione Usa, cosa che non era successa al suo alleato Luigi Di Maio quando è andato a Washington a marzo. E lo stesso Salvini fa il modesto quando dice che il vicepremier italiano incontra il vicepresidente americano: «A questo giro è così, al prossimo sarà diverso». Si sente già impalmato presidente del Consiglio, pensa di avere le spalle larghe per affrontare «alla pari» il braccio di ferro con l’Europa sulla procedura, senza recedere dalla riforma fiscale. Almeno a parole. «Sia chiaro che noi abbasseremo le tasse con le buone o… con le buone. Non faremo una manovra per tirare a campare. Possiamo decidere come modularla negli anni, ma un taglio delle tasse ci deve essere assolutamente. Convinceremo la Ue – aggiunge – con i numeri, la cortesia, altrimenti le tasse le taglieremo lo stesso. La Ue se ne farà una ragione».
Ieri mattina visita al Cimitero militare di Arlington e al memoriale per i caduti del Vietnam a Washington, dove ha deposto una corona di fiori al Milite ignoto, ma fin dal suo arrivo lunedì sera a Villa Firenze, la residenza dell’ambasciatore italiano Armando Varricchio, Salvini spiega la chiave del suo viaggio: fare dell’Italia l’«interlocutore europeo» privilegiato degli Usa. Far capire che lui interpreta la linea dura, quella che piace a Trump, contro l’Ue che «ha ammazzato un popolo e spalancato le porte alla Cina. Ma l’Italia non è la Grecia». E poi giù con tutti gli yes sull’acquisto degli F-35 «non possiamo rimangiarci gli accordi», il contrasto alla «prepotenza» cinese, pensando alla sicurezza delle telecomunicazioni e all’espansione di Huawei. Yes sul Venezuela («per me da tempo si sarebbe dovuto riconoscere Guaidó»). Infine, la Libia: «Siamo convinti che ci voglia una soluzione in cui non ci siano un vincitore e uno sconfitto. Al tavolo devono starci tutti, e l’intervento di Haftar non è stato risolutivo, come pensava la Francia… Meglio guardare a Misurata». La Russia? «Errore strategico allontanarla dall’Occidente per mandarla nelle braccia della Cina». E l’Iran, un polveriera per Trump: «Nessuno si può permettere di voler cancellare uno Stato democratico come Israele dalla terra, finché rimarrà questo sospetto non si potranno avere relazioni normali».
AMEDEO MATTINA LA STAMPA