Mia moglie, pensando forse che da teologo possegga tutte le risposte, mi chiede: «Perché in Italia c’è tanta corruzione?». A margine proporrò le mie riflessioni ma per essere certo di “centrare” il bersaglio mi farò guidare dal libro del cardinale Peter Turkson, attuale prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale , frutto di un’intervista con Vittorio V. Alberti. Il testo affronta una tematica molto cara a papa Francesco che ne scrive la Prefazione. Parafrasando il famoso motto di Archimede: «Dammi un punto fuori dal mondo e una leva e ti solleverò il mondo» il cardinale pensa che quella “leva” sia la corruzione. I binari su cui poggia tale assunto, come ben inquadra il filosofo e intervistatore Alberti, sono di carattere trascendente e semantico. In un’epoca del “Dio è morto” è imperante un allontanamento dal Trascendente e, sul piano umano-materiale, con «corruzione» s’identificano varie cose: il reato, il fenomeno, la perdita di integrità, il deterioramento morale e nel mondo naturale. Il problema della corruzione, quindi, non è qualcosa di utopico, perché ogni scelta o favoreggiamento alla corruzione trova origine in una scelta dell’uomo. Sono vari i riferimenti evangelici a un cuore corrotto: Mc 7,20-22: «Quindi soggiunse: “Ciò che esce dall’uomo, questo sì contamina l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza”». Mt 6,21: «Là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore». Lc 12,1: «Nel frattempo, radunatesi migliaia di persone che si calpestavano a vicenda, Gesù cominciò a dire anzitutto ai discepoli: “Guardatevi dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia”». Gesù mette in evidenza che il problema della corruzione nasce dal di dentro, da un cuore che s’imprigiona a «catene e logoramento, anziché farsi prossimo a ciò che dona libertà e pienezza» (p. 52). Filo conduttore nel libro è la netta distinzione che c’è tra il peccatore e il corrotto, sembra una contraddizione essendo entrambi nel peccato. Ma il primo può sentire il bisogno del ritorno alla casa del Padre, vivere la Sua nostalgia, sapere che forse il Padre lo vedrà da lontano e gli correrà incontro, il corrotto no: «Il peccato può essere perdonato, la corruzione no. Il corrotto è stanco della trascendenza quindi non vede il suo limite. Il corrotto non chiede perdono» (p. 73). Si parla sempre più spesso, e non solo nella Facoltà teologiche, di “nuovo umanesimo” che, però, non sarà possibile se non ci si rifà agli insegnamenti di Emmanuel Lévinas nella sua «etica del volto» e di Emmanuel Mounier: «Ogni persona ha un significato tale da non poter essere sostituita nel posto che essa occupa nell’universo delle persone. Tale è la maestosa grandezza della persona che le conferisce la dignità di un universo; e tuttavia la sua piccolezza, in quanto ogni persona è equivalente in questa dignità, e le persone sono più numerose delle stelle» . Bisogna riportare al centro la dignità dell’essere umano per vincere l’imperante «cultura dello scarto». In tutti i campi e le attività umane c’è il pericolo del peccato e della corruzione e la Chiesa non ne è immune, e, proprio per questo, deve tornare ad essere fulgido esempio di trasparenza, promozione umana e fraternità. Non sembri strano che lo scrive un teologo ma la Chiesa per poter dialogare col mondo di oggi e i suoi caleidoscopici aspetti deve avere una visione poliedrica (come direbbe il papa). Essere l’icona vivente del famoso quadro La Scuola di Atene, essere contemporaneamente Aristotele a Platone, accompagnare l’uomo nel suo essere viandante e pellegrino, ma anche essere Giovanni il Battista che indica il cammino verso la Meta. Il porporato apre uno spiraglio di speranza nel capitolo dedicato alla bellezza, alla via pulchritudinis che ci conduce al “Bel Pastore”, alla sua incorruttibile bellezza.
Aniello Clemente