Riflessioni a margine di una conferenza che si trasforma in “Simposio”: Africa e Francia a confronto con Valeria Sperti

6 luglio 2019 | 18:07
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Riflessioni a margine di una conferenza che si trasforma in “Simposio”: Africa e Francia a confronto con Valeria Sperti

Commentando l’elezione della tedesca Ursula von der Leyen alla Presidenza della Commissione europea, il presidente francese Macron l’ha definita “francofona”. Il termine “francofonia” evoca due idee generali ed egualmente diffuse. Spesso si pensa che la francofonia sia una semplice organizzazione di promozione culturale, che incoraggia la solidarietà tra stati legati dall’utilizzo della lingua francese, dall’altro lato, il termine evoca anche un’organizzazione con fini politici, voluta per intessere legami economici neocoloniali e di dipendenza con le sue ex colonie. Concetti discussi e ampliati dalla prof.ssa Valeria Sperti, nella conferenza voluta dall’Istituto di Cultura Torquato Tasso nella splendida cornice dell’Hotel Bellevue Syrene di Sorrento. Nel 1880 il geografo francese Onésime Reclus (1837-1916) conia il termine “francophonie” per definire l’insieme delle persone e dei Paesi che condividono l’uso di tale idioma come lingua di comunicazione a diversi livelli: lingua madre, straniera, seconda lingua, o d’insegnamento. Ad accompagnare l’entrata in scena della francofonia vi fu la riconversione positiva del ruolo della lingua francese e del significato ideologico da essa veicolato. L’idea di una missione civilizzatrice della Francia che aveva sostenuto l’impresa coloniale poteva così trasferirsi alla politica postcoloniale. Il francese veniva definito “langue de civilisation”. Illustri esponenti della “negritude” intervennero a sostegno di questa tesi. Nel novembre 1962, sulla rivista Esprit, uscì un articolo del presidente dell’indipendenza senegalese, Leopold Sedar Senghor: “Le Français, langue de culture”. Egli, da africano, parlava in favore della lingua francese come mezzo per raggiungere una platea internazionale ma anche come strumento utile alla comunicazione e all’espressione delle sue stesse idee. E la Sperti afferma che l’arte del ‘900 inizia grazie all’arte negra che proveniva dall’Africa sub-sahariana e cita ad esempio la foto Visage de nacre et masque d’ébène (Viso di madreperla e maschera d’ebano) più conosciuta come «Noire et blanche» (Man Ray, 1926) . Questo ci riporta alla mente la poesia “Maschera negra” di Leopold S. Senghor, dedicata a Picasso. Inizia una vera e propria “negrofilia”. Mentre la statua greca è proporzione, la statuaria africana è difforme, sproporzionata, prevale l’inconscio più che la vera rappresentazione. Modigliani e Picasso (Les demoiselles d’Avignon, 1907) iniziano la pittura contemporanea grazie alle maschere africane. Anche la musica subisce il fascino della musica spontanea delle po-polazioni schiave, una musica che non ha bisogno di uno spartito, nasce l’amore per il jazz. Così anche la danza, spontanea, immediata. Nasce anche la scrittura africana, che dà parola all’Africa. “Diario del ritorno al paese natale” è una poesia del martinicano Aimé Césaire. S’inizia a parlare di una “letteratura minore” e cioè una minoranza che scrive nella lingua più importante. Con Memorie di un porcospino, del congolese Alain Mabanckou, s’inizia a parlare di “letteratura mon-do” e non più di francofonia ma di post-francofonia anche con il saccheggio e il riutilizzo di tutto ciò che è europeo. La conferenza si trasforma in un piacevole Simposio grazie all’anfitrione Angelo Leonelli che nel ruolo di novello Agatone, volendo festeggiare la sua vittoria negli agoni delle Lenee, invita nel suo locale «SCOGLIEЯA», Valeria (Sperti), Luciano (Russo), Carlo (Milardi), Maria Grazia (Iannucci), Aniello (Clemente) a prendere il posto di Socrate, Aristodemo, Erissimaco, Aristifane Pausania. La cornice del Simposio di socratiana memoria, infatti, è rappresentata dal banchetto e Angelo trasforma l’improvvisata cena in un’orchestra di antipasti che ha dato luogo a una sinfonia di sapori, il tutto innaffiato da un «Paestum Fiano IGP “Trentenare” 2018», molto piacevole e fresco con una sapidità donata dai terreni da cui provengono le uve. Nel Convito (o Convivio se si preferisce) verso la fine fa irruzione Alcibiade che viene accolto con cordialità, così, al δίσκος, al desco sorrentino si è unanimamente deciso per uno “spaghetto a vongole” e qui, come nel dialogo di Platone, ognuno dei commensali espone con dovizia di particolari la propria teoria sulla vongola occorrente. «Eh sì – dice Angelo – perché il buon Eduardo diceva che per una spaghettata a dovere le sole vongole veraci sono quelle che si trovano presso gli scogli di palazzo Donn’Anna». «Sì, ma che dite di quelle di Gaeta?» e così via elencando ristoranti e posti anche meno noti dove lo spaghetto a vongole è un cult. Forse lo chef ci ha sentito e arrivano degli spaghetti che sarebbero da incorniciare. I dolci, proposti in varie soluzioni, tutte buonissime, hanno chiuso in bellezza questa imprevista esperienza culinaria. Che dire? Sarà stato il vino e la buona compagnia ma risalendo a piedi verso casa sentivo l’eco delle sirene Ligia, Leucosia e Partenope che mi davano la buona notte, grazie Angelo, a presto!
Aniello Clemente