Salvini come i figli di Edipo, il re Pirro e Fetonte.
Una “vittoria cadmea”, è un’espressione proverbiale utilizzata nell’antica Grecia per indicare una battaglia vinta a un prezzo altissimo o in cui il vincitore patisce sofferenze analoghe a quelle del vinto. L’espressione viene comunemente riferita alla vicenda della lotta fratricida di Eteocle e Polinice, figli di Edipo e discendenti di Cadmo, che si uccisero l’un l’altro per il possesso di Tebe. Definizione analoga, forse più famosa, è quello di “vittoria di Pirro”, una battaglia vinta a un prezzo troppo alto per il vincitore, tanto da far sì che la stessa scelta di scendere in battaglia, nonostante l’esito vittorioso, conduca alla sconfitta finale. L’espressione si riferisce al re Pirro dell’Epiro, che sconfisse i Romani a Eraclea e Ascoli Satriano, rispettivamente nel 280 a.C. e nel 279 a.C., ma sostenendo perdite così alte da essere in ultima analisi incolmabili, e condannando il proprio esercito a perdere la guerra pirrica. Secondo il resoconto dello storico Orosio la frase che sarebbe stata pronunciata dopo la battaglia di Eraclea suonava: «Ne ego si iterum eodem modo uicero, sine ullo milite Epirum reuertar» (Un’altra vittoria come questa e me ne torno in Epiro senza più nemmeno un soldato) . Anche se è di norma associata a una battaglia militare, il termine è per analogia utile in tutti i contesti della vita per descrivere un successo inutile o effimero, dove il vincitore formale ne esce sostanzialmente male o senza vantaggi che giustifichino lo sforzo. Senza dubbio il ministro Salvini non conosceva le vicende testé narrate e se qualcuno gliele avrà ricordate, avrà fatto spallucce e orecchie da mercante, certo del suo indiscusso valore politico e di tenere ormai in pugno le sorti dell’italica gente. Forse, come spesso successo in passato, a personaggi di ben più elevata caratura, è stato colto da un fugace attimo di “delirio di onnipotenza o grandezza”, che comprende la convinzione di essere personaggi importanti. Certo non è il suo caso ma, stranamente, il delirio di grandezza può trasformarsi in delirio a carattere persecutorio durante il quale si crede di essere perseguitati, e già Salvini parla di “congiura” contro di lui. Forse pensa di essere Napoleone, ma non ricorda il Cinque Maggio: «Tutto ei provò: la gloria / Maggior dopo il periglio, / La fuga e la vittoria, / La reggia e il tristo esiglio: / Due volte nella polvere, / Due volte sull’altar» ma noi più banalmente constatiamo: «dalle stelle, alle stalle». Rabbrividisco al solo pensiero di ciò che sarebbe capace di fare un Salvini convinto di essere “l’uomo forte” che, a suo dire, tutti attendono, forse crede di essere un novello Furio Camillo, o meglio l’illustre omonimo centurione che proclamò: «Hic manebimus optime» (Qui staremo benissimo), mentre ricorda più Brenno, capo della tribù dei Galli Senoni, anzi ancora più drammatica e pericolosa, la figura di Fetonte, il figlio di Elio, dio del Sole. Fetonte pretese di guidare lui il carro del sole, ma non ne aveva la capacità e l’esperienza, e fu un disastro, ne perse il controllo, e il carro salì nell’alto dei cieli incendiandone un buon tratto, poi precipitò sull’odierna Libia facendola diventare un deserto, finché Zeus intervenì con un fulmine che mise fine alla corsa e alla vita del maldestro Fetonte. Noi non gli auguriamo sicuramente questo, anzi, una vita lunga e prospera, dedita alla lettura di Platone, Aristotele, Cicerone, Macciavelli, per potersi presentare un giorno come il redivivo duca Cesare Borgia, detto il Valentino che guidò l’esercito francese alla conquista del Ducato di Milano e successivamente invase il Regno di Napoli. Certo, i tempi sono diversi e non tutti i meridionali lo accoglierebbero a braccia aperte, ma non avendo più l’assillo dei migranti e l’oneroso compito di ministro degli Interni potrà ben impegnarsi per la sua crescita personale che gli permetterà una valida e costruttiva opposizione, che, parafrasando il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri Giancarlo Giorgetti, è compito altamente lodevole.
Aniello Clemente