Nelle otto sfide di Serie A disputate nel XXI secolo contro il Lecce, il Napoli ha subito una sola sconfitta: completano quattro successi e tre pareggi.
Probabili formazioni
Lecce (4-3-1-2): Gabriel; Rispoli, Rossettini, Lucioni, Calderoni; Majer, Tachtsidis, Tabanelli; Falco; Farias, Babacar. All. Liverani
Indisponibili: Meccariello, Dell’Orco
Napoli (4-4-2): Meret, Malcuit, Maksimovic, Koulibaly, Ghoulam; Callejon, Elmas, Zielinski, Insigne; Lozano, Milik. All. Ancelotti
Nelle otto sfide di Serie A disputate nel XXI secolo contro il Lecce, il Napoli ha subito una sola sconfitta: completano quattro successi e tre pareggi.
Il Lecce ha perso le ultime due partite di campionato disputate contro il Napoli: tante sconfitte quante quelle incassate dai pugliesi nelle precedenti otto (3V, 3N).
Tre dei quattro successi del Lecce contro il Napoli in Serie A sono arrivati in gare interne: completano il bilancio in casa dei salentini cinque pareggi e due successi partenopei.
Il Lecce, vittorioso nell’ultimo turno a Torino, non infila due successi consecutivi in Serie A da aprile 2012: nella loro storia nel massimo campionato, i salentini non sono mai riusciti a vincere due partite di fila nelle prime quattro giornate disputate.
Il Lecce ha perso la prima partita casalinga di questo campionato: la squadra salentina ha iniziato l’ultimo torneo disputato in Serie A (2011/12) con quattro sconfitte interne.
Il Napoli ha segnato nove gol nelle prime tre partite di questo campionato: in Serie A, i partenopei hanno fatto meglio solo nel 1931/32 (10) e nel 1953/54 (11).
Nelle ultime 10 trasferte del Napoli in Serie A, si sono sempre segnati almeno due reti: 42 reti nel parziale, lo stesso numero di gol realizzati nelle precedenti 21 gare esterne dei partenopei.
Il Lecce ha effettuato 51 tiri finora (sei in meno del Napoli): soltanto cinque squadre hanno fatto meglio nei primi tre turni. Le altre due neopromosse, Brescia e Verona, sono rispettivamente ultima e penultima come numero di conclusioni tentate.
L’attaccante del Lecce, Diego Farias, ha segnato quattro gol contro il Napoli in Serie A, la sua vittima preferita nel massimo campionato: ai partenopei, il giocatore dei salentini ha rifilato la sua prima doppietta, nel novembre 2014.
Dries Mertens ha segnato 113 gol con il Napoli, portandosi a soltanto due reti di distanza da Diego Armando Maradona, attualmente al secondo posto tra i migliori marcatori partenopei (tutte le competizioni).
Mani in alto: e uno ad uno, chi per un acciacco e chi per un altro, si sono arresi un difensore, un centrocampista e un attaccante, perché il turn-over va assecondato completamente, meglio fermarsi un giorno che chissà quante settimane. E’ il calcio del Terzo Millennio, quello che soffoca i muscoli, tra tossine e acido lattico e paure da dominare: un affaticamento resta tale se governato, altrimenti rischia di diventare altro. Lecce può appartenere a ventuno calciatori, i «superstiti» di un organico extra large nel quale Ancelotti mette mano seriamente per realizzare la sua piccola ma enorme rivoluzione: otto facce nuove rispetto a martedì sera (e chi l’avrebbe mai detto?), con Callejon, Koulibaly e Insigne nella versione di intoccabili e settori che risultano inediti.
SULLE TORRI. La novità più clamorosa, ch’è nell’aria, si scorge là davanti, dove Ancelotti ha una tentazione forte: cominciare la partita muovendo le sue torri, e sono il debuttante Milik e Llorente, per avere peso, solidità e tenersi poi per la ripresa, in quel girone dantesco che sarà lo stadio, la freschezza di Lozano o quella di Mertens. Il Napoli di Lecce si ripresenta con Ospina in porta, così per far rifiatare Meret e per concedere una gratificazione meritata ad un uomo di spessore, poi risulta riverniciato in ogni angolo del suo scacchiere: Manolas si è dovuto piegare alla ammaccatura rimediata con il Liverpool e costringerà Koulibaly a resistere; gli esterni bassi, che ne fanno di chilometri, vanno parcheggiati per un pomeriggio in panchina e lasciare che la fascia appartenga a Malcuit e a Ghoulam, omologhi già calati nel ruolo e nelle abitudini. E in mezzo al campo, in regia, che se la spiccino Elmas e Zielinski, che hanno passo, rapidità di calcio e anche di pensiero. Perché quando il caldo ti afferra alla gola, valgono le idee…
Gli azzurri sono già a 11 reti in 4 gare
con una media superiore al record di Sarri (115 gol totali nel 2016-17) La chiave è il modulo di Ancelotti
Provate a contarli, senza farvi girare la testa: centoquattro, centoquattro, centosei, centoquindici, novantasette, novantadue e infine undici. Il più piccolo di questi numeri, come per incanto, in realtà è il più grande di tutti: potreste non crederci, sospettare di essere vittima della confusione, eppure è una verità per il momento assoluta, non ancora una certezza, ce ne vorrà affinché lo diventi, ma una proiezione dell’immensità d’una squadra nata (nel tempo, negli anni) per divertire. Ma sì, restate lì, per un attimo, sospesi nell’area (o anche nell’aria), senza pensare di esservi persi, per scoprire ch’è tutto relativo, anche in aritmetica: undici gol in quattro partite fanno una media di 2,75 reti per ogni esibizione, un circo del football errante che ha (ri)trovato la sua dimensione – nonostante abbia affrontato la Fiorentina e la Juventus in casa loro e la Sampdoria e il Liverpool al san Paolo – e che si è spinto oltre ciò che pensava rappresentasse l’impossibile. Ma le giostre, si sa, viaggiano per piazze, dispensano allegria ai piccini (ed anche ai grandi) e il Napoli è un luna-park a cielo aperto che dall’anno di grazia 2013, quello nel quale con Rafa Benitez ha sfondato il muro dei cento gol, se ne è stato sempre con le proprie luci accese, persino quando è rimasto dietro quella soglia magica: sono sei stagioni che ormai se ne va così, seicentoventinove volte con le braccia al cielo, per godersi quell’istante, che in realtà è l’estasi, e per spassarsela, perché il calcio sia un festival.
SETTE MERAVIGLIE. Undici reti spalmate con sette goleador, qualcuno viene da lontano (uno a testa per Manolas, Di Lorenzo, in realtà nati per difendere) e gli altri, invece, lo fanno per mestiere, rientrano tra gli artisti di questa superba fabbrica del gol, costruita e poi rinnovata, integrata, rinfrescata, di mercato in mercato: Insigne (2), Callejon (1) e Mertens (4) hanno praticamente posato le prime pietre della revolution con Benitez, al resto hanno provveduto Lozano (1) e Llorente (1), aspettando l’avvento di Milik, che a Lecce si lascerà alle spalle l’ennesimo litigio con la sorte, una nemica perfida con la quale ha dovuto combattere per un biennio, prima di riuscire ad atterrare a quota venti, senza rigori e con un pizzico di pregiudizio intorno a sé.
DA RAFA A SARRI. Quando il Napoli s’è tolto le catene ed è entrato in questa sua nuova dimensione internazionale, centoquattro gol sembravano un exploit e certo lo erano: diffusi in cinquantatré partite (1,93 per volta), che non sono pochi, se ci fate caso. Poi quella è divenuta una tendenza, si è andata ingrossando, ha elevato al rango di capocannoniere della serie A di tutti i tempi Gonzalo Higuain, ora sta per trascinare nell’Olimpo Dries Mertens, che sta a due passi da Diego e a otto da Hamsik: quanto gli mancherà per prendersi la corona, impugnare lo scettro e riscrivere la Storia di un club che induce a stropicciarsi gli occhi?
DON CARLOS. Ma sembrava che quell’incantesimo si fosse spezzato, che (però per poco) fossero finito granellini di sabbia nella vorticosa sensibilità offensiva del Napoli, fermatosi a novantadue nell’Ancelotti-1: e invece in quel processo di rielaborazione tattica, val la pena di ricordarlo, qualcosa di suo ci ha messo la sorte che con ventisette pali certo ha inciso e deve comunque aver sottratto brandelli di felicità. Sarà questione di (im)precisione oppure anche fortuna, è materia marginale, perché il venticello calunnioso sembra essere stato spazzato via, anche se quattro giornate sono effettivamente poche: però il Napoli è riesploso, nella sua versione ormai abituale, ricostruendo la sua natura travolgente. Un’onda anomala.