Il lato oscuro del tifo può essere circoscritto, persino eliminato. A Torino lo hanno pure daspato: pretendeva lucro, minacciava la Juventus, promettendo di metterla in situazioni simili a quella di Brescia, i cori razzisti usati come strumento di estorsione. Il club si è ribellato al pizzo in versione ultrà. Ciò che doveva fare. Così le forze dell’ordine hanno potuto agire come spetta a loro, riportare legalità sul territorio. Lo stadio è Stato, non terra di nessuno. La Roma ha promesso di bandire dalle sue partite un tale che insultava Juan Jesus sui social, notoriamente altra zona neutra secondo alcuni malsani immaginari collettivi. E poi ha invitato la Lega di Serie A a muoversi. A guardare in faccia la realtà, per quanto infame. Paul Rogers, che della Roma guida l’area digitale, è stato ancora più chiaro: ha scritto che la lega, intesa come Serie A, per abbattere il razzismo deve prendere posizione tutta insieme, costi quel che costi. Costi anche un novanta per cento di fuoriusciti. Costi anche una trasformazione antropologica del pubblico. Per uno o molti che desistono dalla lotta ci saranno sempre altri disposti a prenderne il posto. In stadi più giocosi, ripuliti dall’avidità, dalla prepotenza, dai cattivi odori, dal razzismo. Sarà il nostro calcio libero.
DIECI ANNI. A Torino, intanto, la scure del Daspo decennale si abbatte sui capi ultrà della Juventus: è la prima volta per il calcio italiano e ad essere colpiti sono quattro degli esponenti principali del tifo organizzato bianconero, arrestati nei giorni scorsi nell’ambito dell’inchiesta “Last Banner” condotta dalla procura di Torino, che ha decapitato i vertici della Curva Sud dello Stadium. La questura del capoluogo piemontese, guidata da Giuseppe De Matteis, ha emesso in tutto 38 Daspo, quattro dei quali appunto della durata di 10 anni, ovvero il massimo previsto dal decreto sicurezza bis, in vigore dal giugno scorso. Destinatari di questo provvedimento “storico” sono Dino Mocciola, il capo dei Drughi, il gruppo maggioritario nella curva, i suoi due “colonnelli”, Salvatore Cava e Domenico Scarano, e il capo del gruppo “Tradizione”, Umberto Toia. Per Mocciola e Toia c’è un supplemento: come previsto dalla nuova normativa, è stato loro vietato il possesso e l’utilizzo di telefoni e apparati radiotrasmittenti (smartphone compresi) e di qualsiasi tipo di arma (anche quelle giocattolo) in concomitanza degli eventi sportivi.
IL PROVVEDIMENTO. Dei 38 Daspo, 15 sono con obbligo di firma mentre 23 no. Questi ultimi hanno durata quadriennale e sono stati emessi nei confronti di persone indagate in stato di libertà per violenza privata o associazione a delinquere. Tra i 15 provvedimenti che richiedono la comparizione in concomitanza di eventi sportivi, 12 riguardano tifosi a cui è stata applicata una misura cautelare (per il reato di estorsione e, per alcuni di loro, anche per associazione a delinquere e auto riciclaggio). Quattro appunto comportano il divieto di accesso allo stadio per 10 anni; otto vanno dai 6 ai 7 anni. I restanti tre provvedimenti hanno colpito soggetti denunciati in stato di libertà (per violenza privata o associazione a delinquere) ma già destinatari di Daspo pregressi: resteranno lontano dagli impianti sportivi per 5 anni. «Il regolamento d’uso dell’impianto sportivo ci aiuta ad applicare costantemente sanzioni amministrative a chi non viene allo stadio per tifare – spiega il dirigente della Digos di Torino, Carlo Ambra – Questo è il punto di non ritorno: altre condotte in curva non saranno più accettate. Il Daspo è un provvedimento importantissimo perché toglie la leadership ai capi ultrà».