Conte possiede questo superpotere della pelle rigida, l’invulnerabilità del corpo e anche dell’animo, un faraone dal cuore che s’indurisce persino quando lo adulano. Quindicimila persone gli votano contro in uno dei sondaggi che la rete digitale rende facili quanto banali, Andrea Agnelli replica che la sua storia juventina e la sua stella sul Viale della Gloria non possono esserne scalfite e lui s’offende. Agnelli peraltro non ha pronunciato una sillaba sull’argomento e questa è solo la posizione ufficiale del club, ma tant’è. Già che siamo qui, Conte si offende anche con i giornalisti che raccontano tali vicende. E con i tifosi che hanno preso male il suo impegno con l’Inter. Legittimo, persino ragionevole. Non è ragionevole definirli deficienti e ignoranti.
E’ una reazione che ha poco senso ed è pure inopportuna. Arriva una partita che raccoglie interesse mondiale e tensioni elevate. L’allenatore della Juve dice che essa non deciderà il destino di nessuno e che non si tratta di Sarri contro Conte. L’altro la innesca creando significati e acide chiavi di lettura.
E’ che Conte non pretende di essere un signor Conte. Non sempre. Queste faccende gli prendono la mano. Non vede i limiti, ignora le frontiere del buon gusto. Porta avanti i suoi ragionamenti fino ai confini del pensiero, dove Chesterton vedeva a un estremo un albero morente e all’altro una torre sinistra. Lui è sempre al centro del villaggio e il villaggio è globale. Lui dimostra chi comanda a giocatori che non lo hanno mai messo in dubbio. Lui insegna le vie dell’educazione a un presidente che lo ha lanciato e sostenuto finché non si è visto sbattere la porta in faccia e anche dopo. Lui decide quali siano le storie degne di essere raccontate sui giornali. Lui pensa a sé stesso come Lui. Sta tracciando la sua strada senza occuparsi d’altro che del punto di partenza e della meta. Del resto lo hanno ingaggiato per questo, all’Inter che cerca la redenzione. Nel suo malumore ha minacciato di prolungare quella strada fino a uscire dal calcio o semplicemente dall’Italia. In tal caso, dispiaciuti, ci rassegneremo. Abbiamo tutti una rilevante capacità di sopravvivere alle nostalgie. Lui, non ne parliamo. La nostalgia è un classico peccato da sconfitti.
Alla fine non c’è da stupirsi se le esperienze professionali di Conte sono tutte fiammanti, controverse e brevi. Quel superpotere logora chi ce l’ha.
Conte o Sarri, ne resterà uno? Il senso del derby d’Italia, in questa direzione, è profondo. Troppo presto per parlare di scudetto, ma il peso psicologico della partita si rivelerà enorme in relazione al risultato. Tra la fuga dell’Inter, il possibile sorpasso della Juve e un pareggio che lascerebbe gli interrogativi e le distanze inalterate, c’è l’indeterminatezza di un campionato finalmente combattuto e destinato a durare, non a spegnersi subito. Stasera le luci di San Siro, vecchio ma ancora pieno di fascino e colorato da 76 mila spettatori, si accenderanno per scoprire in che misura si è riaperto e potrà entusiasmarci nei prossimi mesi. L’ultimo non è mai nato. Un dominio da record. La Juve riuscì a conquistarlo il 20 aprile, vigilia di Pasqua, mancavano altre cinque partite al traguardo e avrebbe potuto festeggiarlo persino con un paio di settimane di anticipo. Allegri aveva cominciato a ipotecarlo alla settima giornata, piegando 3-1 all’Allianz Stadium il Napoli di Ancelotti con la doppietta di Mandzukic e il gol di Bonucci. Quella sera, vincendo, fece il vuoto e con 6 punti di distacco gettò le basi per una galoppata fantastica. Dimostrò subito di essere irraggiungibile. INVULNERABILITA’. Ironia del destino, quest’anno Inter-Juve cade alla settima giornata. Può essere la svolta. Non basta ricordare il peso dei confronti diretti (decisivi in caso di arrivo ex aequo anche per lo scudetto) o l’ipotesi di una mini fuga, ma Conte e Marotta sposando il gruppo Suning hanno messo in valigia un pezzo di anima bianconera e stanno provando a trasferirla ad Appiano Gentile. Nel tempo la Juve ha costruito l’abitudine a vincere, una mentalità d’acciaio, la capacità di rigenerarsi rinnovando il gruppo, gli obiettivi, le ambizioni. Mai appagata, cannibalesca. Da un anno all’altro non si è fermata, scavando un solco sempre più ampio rispetto alle concorrenti, distanti anni luce per fatturato, stipendi, top player. Batterla, per l’Inter, significherebbe infilare il settimo successo consecutivo (non capita dal 1966/67, erano i tempi di Helenio Herrera e Angelo Moratti) e volare a +5 in classifica, ma il valore psicologico sarebbe ancora più grande. Perché Conte, per la prima volta, potrebbe violare quel senso di invulnerabilità che accompagna la Juve da otto anni. Punta a renderla umana, attaccabile, generando dubbi, insicurezze, pressioni. Ecco la missione affidata ai nerazzurri, reduci dalla notte del Camp Nou, in cui l’ex ct azzurro avrebbe voluto vederli assatanati per 95 minuti e non solo nei primi sessanta, come è accaduto sino alla rimonta blaugrana guidata da Messi e Suarez. RISPETTO. E’ come se Inter e Juve si fossero date appuntamento a San Siro. Si annuseranno, si guarderanno negli occhi, si misureranno in attesa di ritrovarsi il primo marzo, tra quasi cinque mesi, all’Allianz Stadium. Conte è temuto, non solo perché ha vinto alla guida della Juve i primi tre scudetti della serie portata avanti da Allegri. Buffon e Bonucci, nei giorni scorsi, ne hanno parlato con estremo rispetto. Sanno dove porterà l’Inter. Intuiscono un duello sino all’ultima giornata. Sarri, per lo stesso motivo, ha rinviato qualsiasi riflessione, ma vincendo darebbe una botta tremenda alle ambizioni di Conte e Marotta, consolidando l’idea dello strapotere sabaudo. Il Comandante è stato l’ultimo allenatore a dare la sensazione di poter sfilare lo scudetto alla Signora. Due anni fa, all’ottava giornata, il suo Napoli si ritrovò a +5, dando corpo al sogno. Il gol di Higuain al San Paolo permise ad Allegri di accorciare lo svantaggio a un solo punto a inizio dicembre. I bianconeri tennero duro, tornando al comando dopo 28 giornate ma tremando sino al colpo di testa di Koulibaly all’Allianz. La rimonta di Sarri si fermò a Firenze, il suo campo maledetto, lo stesso dove ha perso i due punti che oggi lo separano dall’Inter. La Juve non muore mai. Andiamo a vedere.
Sarri ruota tanto, Conte di meno gli interisti in campo 32’ in più
Il serbatoio è pieno, dice Conte, ma la strada per contendere lo scudetto alla Juve è segnata e prevede il coivolgimento di alcuni giocatori, sinora utilizzati meno e in ritardo di condizione. L’Inter, lungo il percorso, dovrà moltiplicare le soluzioni e aumentare il ricambio. E’ inevitabile. I numeri lo confermano e partoriscono una piccola sorpresa. Sarri sta ruotando molto più di Conte i suoi giocatori, contribuendo a demolire il pregiudizio costruito ai tempi del Napoli. Dopo la prima sosta di campionato, è diventato meno allergico al turnover. Merito di una rosa profonda, ricca di alternative, e del processo di adattamento della Juve, ora disposta con il trequartista (4-3-1-2) e non più con due attaccanti esterni (4-3-3) che rendevano il modulo “asimmetrico” per l’anarchia tattica di Ronaldo. DIFFERENZA. Sei partite di campionato e due nei gironi di Champions. Dopo otto impegni ufficiali e il primo mini-ciclo, come l’ha definito Conte, le cifre rendono chiaro il quadro generale. L’Inter ha utilizzato 20 giocatori distribuendo complessivamente 7876 minuti alla media di 394’ a testa. La Juve ne ha impiegati ben 22 per un totale di 7958 minuti in campo alla media di 362’ per ciascuno divisa sull’intera rosa. Una differenza teorica di 32 minuti in meno rispetto agli interisti. E’ come se Conte, moltiplicando il surplus per una formazione di undici giocatori, avesse “caricato” i suoi uomini in questo inizio di stagione con uno sforzo equivalente a quattro partite in più nel confronto con la Juve. CHE RICCHEZZA. Un dato di cronaca riporta alla preparazione della super sfida di San Siro. Sarri ha affrontato il Bayer Leverkusen martedì all’Allianz, niente trasferta e la Juve il giorno dopo stava già smaltendo la fatica sopportata con i tedeschi. L’Inter è rientrata alla Pinetina dal Camp Nou di Barcellona all’alba di giovedì e ha avuto 36 ore in meno per prepararsi e recuperare le energie. Conteranno i nervi, la fame, ma soprattutto il contributo delle panchine. Ecco dove il Comandante ha trovato le risorse per cominciare a modellare la Juve, in crescita esponenziale dopo il bruttissimo pareggio di Firenze. Ha esordito Ramsey, è entrato Dybala, ha preso confidenza Bentancur, Cuadrado si è riconvertito al ruolo di terzino. I bianconeri hanno contrastato gli infortuni di Chiellini, De Sciglio e Douglas Costa attraverso la ricchezza di una rosa ancora più abbondante tra centrocampo e attacco. I punti fermi ci sono, ovvio. Ma guardate come è stato gestito Khedira, cinque volte sostituito e subentrato a Brescia nell’ultima mezz’ora. Il tedesco, sempre presente come Pjanic e Matuidi, ha giocato 545 minuti ed è ben distante dai 720 di Bonucci, l’unico a tempo pieno tra i bianconeri. C’è stato spazio per Rabiot e persino Emre Can, escluso dalla lista Champions. Bernardeschi è entrato in campo per la prima volta da titolare con il Bayer Leverkusen. Persino Ronaldo è stato già tenuto a riposo. Gli impegni più morbidi con Verona, Brescia e Spal hanno facilitato le rotazioni di Sarri. OSSATURA. Handanovic, accanto a Skriniar, è l’unico interista sempre presente: 720 minuti per 8 presenze. Conte deve gestire De Vrij e l’età di Godin, bloccato all’inizio di agosto da un infortunio. Crede tantissimo nella crescita di Bastoni (lo ha già sganciato a Marassi con la Samp), il cui talento diventerà fondamentale per creare un’alternativa al muro arretrato. Per questo motivo il jolly D’Ambrosio (centrale e tre o esterno a cinque) è diventato il settimo giocatore della rosa per minutaggio dietro ad Handanovic, Skriniar, Brozovic, Asamoah, Sensi e Lukaku. Sono questi i punti fermi dell’Inter, a cui ora si è aggiunto Barella. Conte ha formato un’ossatura di 7-8 giocatori. Vecino e Gagliardini danno respiro ai mediani. Lazaro stenta, Candreva ha ingranato, Biraghi (solo 90 minuti con la Lazio) è arrivato all’inizio di settembre. Lautaro Martinez e Sanchez dividevano il peso dell’attacco al Camp Nou. Politano è l’asso degli ultimi venti minuti. Servirà più panchina, nel complesso, per contrastare la Juve sino a maggio.
fonte:corrioeredellosport