“Il Conde”, vedi Napoli e poi muori di Joseph Conrad
Gustaw Herling confessa nella prefazione a “Il Conde” di averlo letto quando era ancora studente a Varsavia, e che in seguito i romanzi del connazionale Joseph Conrad diventarono il suo pane quotidiano mentre Elena Croce, che, ci teniamo a sottolinearlo, è stata lettrice sempre accorta e perspicace, (a lei si deve la “scoperta” del “Gattopardo”, che era stato rifiutato nel 1957 dalla Arnoldo Mondadori Editore), ricorda che con “Il Conde” entra per la prima volta in letteratura lo scippo napoletano e sostanzialmente la camorra, quella che molti anni dopo ritroveremo descritta in tutta la sua brutalità in “Gomorra” di Roberto Saviano. Perché rileggere oggi “Il Conde”? Perché chi ama Conrad troverà in esso tutte le tematiche care all’autore di origini polacche, da “Cuore di Tenebra a Lord Jim”, perché si respira tra le pagine di questo breve racconto la Napoli di inizio secolo, quella città viva, operosa e brulicante che cominciava ad attirare turisti da tutto il mondo, un po’, ed è lo stesso Conrad a ricordarlo, come quando secoli prima gli antichi romani lasciavano l’Urbe per respirare l’aria salubre dei paesi della penisola sorrentina come Vico Equense e Sorrento. “Il Conde” è anche un’occasione per confrontarsi da lettori forti, come direbbe Carver, con la costruzione di un racconto, la tecnica e l’eleganza di una prosa inconfondibile. L’edizione della Libreria Dante e Descartes poi, ci regala un vero e proprio libricino da collezione, di quelli che è un piacere portare in tasca e leggere in qualche ritaglio di tempo o regalare a un amico come delizioso cadeau.
Luigi De Rosa, libraio