Frane e alluvioni, nel nostro Paese, possono aspettare. Perché in Italia i finanziamenti pubblici producono frutti tardivi, anche quando dovrebbero prevenire i rischi idrogeologici. L’ennesimo episodio di una narrazione duratura è descritto dalla Corte dei Conti, nella relazione appena depositata in Parlamento sul “Fondo per la progettazione degli interventi contro il dissesto idrogeologico (2016-2018)” e pubblicata pochi giorni fa. In sintesi: su 75 milioni disponibili per progettare nuove opere, le Regioni sono state capaci di ottenere solo i 20 milioni della prima quota (automatica). La Campania tiene la scia, avendo ricevuto 3,2 milioni sui 12,5 autorizzati, per attività che interessano Sarno e Amalfi. In sostanza nessuno ha completato il primo step. Il bilancio nazionale è aggiornato al 21 maggio 2019 per tutte le Regioni, ma il punto di partenza è stato differenziato. Il Ministero dell’ambiente, titolare del portafoglio, ha cominciato a decretare i finanziamenti nelle ultime settimane del 2017, ma la Campania è stata autorizzata nell’estate del 2018. Inoltre lo “stato di avanzamento”, necessario per ottenere la seconda tranche, dev’essere vistato dalla Ragioneria dello Stato. Tutto sommato, viene da chiedersi se i ritardi debbano essere attribuiti interamente alle Regioni. Il dubbio trapela anche nel documento che stiamo ripercorrendo.
Carte al Parlamento. La Corte dei conti pubblica numerosi rapporti che esaminano determinati aspetti della pubblica amministrazione. Tali atti sono prodotti a beneficio di senatori e deputati, visto che la Cdc è anche organo ausiliario del Parlamento. Gli estensori non sono sempre magistrati di concorso e di carriera, perché una parte della Corte, nella componente dei “consiglieri”, è costituita per nomina governativa. Questa caratteristica spiega, forse, perché i rapporti, quasi sempre di mood negativo, si susseguono senza conseguenze sulle catene di responsabilità e sull’architettura della governante pubblica.
La Citta