Esame avvocati, la rivelazione del pentito: «Tangenti da 4mila euro per superarlo»

5 novembre 2019 | 08:18
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Esame avvocati, la rivelazione del pentito: «Tangenti da 4mila euro per superarlo»

Due ex affiliati alla camorra egemone al Vasto, entrambi oggi collaboratori di giustizia. Due ex esponenti del clan Contini, che hanno consentito di aprire un’inchiesta sull’esame di Stato per diventare avvocato. Hanno fatto nomi, hanno indicato due soggetti in grado di fare «una serie di imbrogli» nella pubblica amministrazione, dando alcuni particolari utili a proposito di quanto sarebbe avvenuto – tra passione, lacrime e abnegazione di tanti – negli stand della Mostra d’Oltremare, che ospitano a dicembre di ogni anno le prove scritte per l’abilitazione alla professione forense. Si chiamano Umberto Schettino e Marco Polino, nomi poco conosciuti nel panorama criminale cittadino, che da qualche tempo hanno deciso di firmare la svolta della loro vita, lasciando il sistema criminale del clan Contini e passando dalla parte dello Stato.Clan del Vasto, la zona che ospita il Palazzo di Giustizia, non del tutto impermeabile – sembra di capire – alle pressioni criminali. Fatto sta che, dalle accuse dei pentiti, si passa alle intercettazioni telefoniche, che hanno captato uno spaccato di contatti ritenuti quanto meno sospetti. Ed è così che vengono captate alcune conversazioni tra dipendenti del Palazzo di giustizia e uno dei genitori di un candidato avvocato: quanto basta a spingere gli inquirenti a ipotizzare una sorta di tariffario per avere l’elaborato giusto a superare la prova ministeriale.Ma facciamo chiarezza, provando a mettere insieme i tasselli di questa vicenda: ci sono due pentiti, accuse messe nero su bianco, alcune intercettazioni telefoniche. E un’ipotesi di fondo: una copia dell’elaborato scritto costa fino a quattromila euro, soldi messi nelle mani di due impiegati tuttora in servizio presso la Corte di appello. Parole che hanno spinto la Procura ad imprimere un’accelerata, con la decisione di sequestrare tutti i compiti consegnati a dicembre del 2017 da migliaia di praticanti napoletani.

Un’inchiesta ora approdata dinanzi al Tribunale del Riesame, al quale si sono rivolti i difensori di alcuni indagati per ottenere la revoca del sequestro di computer e documenti messo a segno alcune settimane fa. Ma proviamo a fare un passo indietro, per ripercorrere le tappe di questa storia. Inchiesta condotta dai pm Alessandra Converso e Ida Teresi, sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli, si parte dal racconto dei due pentiti. Uno dei due in particolare è legato da rapporti di parentela con un impiegato del Tribunale. È da questo rapporto che si fa riferimento allo schema «soldi in cambio della prova vincente». Fatto sta che nel giro di pochi giorni si passa da un’indagine per fatti di camorra a un’inchiesta che non ha più alcun legame con il crimine organizzato, in cui si batte l’accusa di corruzione. Ed è così che un mese fa è arrivata la svolta, con i pm che hanno mandato i carabinieri a sequestrare gli elaborati (ne sono migliaia) della prova datata dicembre del 2017. Un episodio più unico che raro, con i carabinieri che hanno prelevato tracce e resoconti imbustati e ormai da tempo analizzati. Stando a quanto si legge negli atti calati al Riesame in questi giorni dalla Procura di Napoli, ci sono anche i primi nomi iscritti nel registro degli indagati. Oltre ai due impiegati, ci sono spiccano i riferimenti ai nomi di un candidato e del suo genitore. In sintesi, padre e figlio si sarebbero lagnati perché la prova era andata male, tanto da chiedere la restituzione di una presunta tangente. I due, a leggere gli atti, avrebbero preteso la restituzione di quei quattromila euro messi sul tavolo per ottenere la certezza del superamento della prova. Uno snodo decisivo dell’inchiesta, anche per valutare l’attendibilità delle accuse rese dai due collaboratori di giustizia e per stabilire l’aderenza alla realtà di certe esternazioni captate finora dalla Procura. È il presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati Antonio Tafuri a chiedere chiarezza e trasparenza in questa vicenda: piena fiducia nell’operato degli inquirenti – ha spiegato in questi giorni il presidente Tafuri – ma anche determinazione nell’isolare eventuali pratiche illegali, qualora venissero confermate dalle stesse indagini.

Non è il primo caso che ha investito l’esame degli avvocati, un appuntamento che coinvolge almeno quattromila praticanti per la prova scritta, in uno scenario che ora deve fare i conti con intercettazioni della Dda e con le accuse iniziali di due pentiti di camorra.
di Leandro Del Gaudio IL MATTINO