Fendi e Yves Saint Laurent: così gli operai schiavi «creavano» griffe nel Napoletano
In un laboratorio per la lavorazione del pellame e il confezionamento di scarpe a borse Fendi e Yves Saint Laurent, ubicato a Melito, arrivano i carabinieri del Nas e l’ispettorato del lavoro di Napoli per un banale controllo. E allora per sfuggire alla verifica il titolare della «Moreno Srl» non trova di meglio che nascondere, segregandoli per sei ore in una sorta di bunker, ben 43 operai che lavoravano al nero, tra i quali una donna in avanzato stato di gravidanza e due apprendisti minorenni, uno di sedici e l’altro di 17 anni. Per sei ore, queste 43 anime disperate, attaccate all’obiettivo di venti euro di paga per nove ore di lavoro, non hanno emesso un fiato, ne fatto il minimo rumore. Chiusi nel caveau del laboratorio, senza finestre, senza servizi igienici, al buio, nel luogo dove vengono custoditi i costosi pellami e le stoffe delle griffes, davanti a loro una pesante porta blindata, in qualche modo hanno sperato che a nessuno dei carabinieri e agli ispettori del lavoro venisse in mente di dare un’occhiata dentro. Perché, una volta scoperti, avrebbero perso anche quella misera paga. E invece, poco prima delle tre del pomeriggio, gli inquirenti che avevano effettuato l’accesso nel laboratorio alle nove del mattino hanno scoperto l’esistenza della porta blindata, e se la sono fatta aprire. Dentro, stremati e terrorizzati, i poveri lavoratori. Alcuni dei quali hanno chiesto di poter andare in bagno prima di essere identificati. «Ho sbagliato», è stato l’unica cosa che è riuscito a mormorare l’imprenditore di Melito, arrestato sul posto dai carabinieri del Nas di Napoli, diretti dal colonnello Vincenzo Maresca, che con il personale dell’Ispettorato del Lavoro napoletano diretto da Giuseppe Cantisano, avevano proceduto a un controllo di routine per ispezionare la mensa del laboratorio, presente sulla carta ma inesistente nei locali della «Moreno Srl». Per l’arresto la procura di Napoli Nord, diretta da Francesco Greco, ha immediatamente chiesto la convalida al gip del Tribunale di Napoli Nord, che ha disposto per l’imprenditore i domiciliari, confermando i capi di accusa che vanno dallo sfruttamento del lavoro (caporalato) al sequestro di persona e all’intermediazione illecita. Contestualmente è stato confermato il sequestro dell’intero laboratorio, compresi i sofisticati macchinari dal valore di due milioni e mezzo di euro, e sono state comminate multe e sanzioni per circa 600mila euro. Al vaglio degli inquirenti anche la documentazione contabile, e soprattutto quella relativa alla commissione degli ordini da parte delle griffes internazionali al laboratorio di Melito. E anche se da una prima verifica non sembrano rivelarsi profili penali per le imprese committenti, desta scalpore che borse e scarpe prodotte a Melito da operai senza copertura assicurativa né contributiva e con una paga davvero misera (2,5 euro all’ora) finiscano poi in vetrina con prezzi intorno alle migliaia di euro. Sotto la lente degli inquirenti anche il registro della gestione dei rifiuti, per lo più scarti di pellame e contenitori di colle con solventi.
La «Moreno Srl» ufficialmente occupa 21 operai inquadrati. A questi vanno aggiunti altri 14, al nero, sorpresi a lavorare al momento dell’accesso dei carabinieri e degli ispettori del lavoro, e i 43 tenuti segregati, per un totale di ben 78 operai. Il ragionamento degli inquirenti è questo: la produzione possibile con 21 operai è ben diversa da quella realizzabile con 78. E maggiore produzione significa anche maggiore quantità di scarti, che devono essere smaltiti illegalmente per evitare riscontri incrociati. Peraltro proprio a Melito in questi giorni sono state decine le denunce di cittadini e comitati, che segnalavano la presenza di decine di discariche illegali disseminate ovunque. Gli accertamenti perciò continuano, e non è detto che le cattive sorprese siano finite.
Questa assurda vicenda dai mille risvolti è venuta fuori nella maniera più banale possibile. Nas e Ispettorato del Lavoro dovevano solo verificare se la mensa della «Morena Srl» funzionava secondo gli standard di legge. E invece la mensa non esisteva proprio e il controllo di routine sui 35 operai che erano al lavoro ha evidenziato che 14 di essi – che l’imprenditore evidentemente non aveva fatto in tempo a sequestrare insieme agli altri 43 – erano impiegati al nero, e che le misure di sicurezze erano inesistenti, ed era vicino allo zero lo stato igienico-sanitario dell’intero laboratorio. Poi uno dei carabinieri ha scoperto quella porta e lo scandalo che vi era nascosto.