In memoria di Adriano, un grande imprenditore
Spesso mi sono domandato perché un’esperienza così bella come quella del “Movimento Comunità” dell’ing. Adriano Olivetti in questo Paese fosse stata relegata ai margini, destinata all’oblio o a qualche fiction tv sporadica tanto per. Forse perché dimostrò nei fatti di essere stata un’esperienza rivoluzionaria?, e a noi italiani le rivoluzioni non piacciono, tranne quelle degli altri osservate alla Tv comodamente seduti in poltrona? Ma soprattutto il “Movmento Comunità” rappresentò un’idea per niente campata in aria che aveva dato i suoi frutti. Quando Adriano Olivetti morì improvvisamente il 27 febbraio 1960 (e si sono guardati bene dal fargli l’autopsia, – in questo Paese tacere è sempre stata la prima scelta, la seconda lasciarci nel dubbio, complotto o disgraziata fatalità?) la sua azienda vantava 36mila dipendenti, e a Pozzuoli, dove nel 1953 con l’architetto Luigi Cosenza diede forma e sostanza ai suoi sogni: la fabbrica “green”, dove gli operai erano “felici” e aveva superato in produzione quella dei colleghi di Ivrea. Per questo mi fa piacere segnalarvi due testi, uno fresco di stampa “Storia del Movimento Comunità” del professor Giuseppe Iglieri, (docente di Storia Contemporanea presso l’Università di Cassino) edito da Edizioni di Comunità di cui oggi trovate una breve ma esaustiva recensione di Monica Mattioli su “Economia” del Corriere della Sera (25 novembre 2019), l’altro un saggio in trentaduesimi, che s’intitola “La fabbrica felice” (Giannini edizioni) dell’architetto Rossano Astarita, dottore di ricerca in Storia e critica, autore di numerosi testi, scrittore fra i più colti che abbia mai conosciuto, che in questo piccolo libro, come un maestro orafo, ha riassunto, cesellandola alla perfezione, tutta la “maraviglia” che destò e desta ancora oggi l’esperienza della fabbrica Olivetti di Pozzuoli.
//Che diremo al bambino/se vede nella bottiglia/il celeste pensiero/d’ un mare che gli somiglia?// Immeritata la gioia | che non sia di tutti. Alfonso Gatto, Passeggiata fuori porta.
di Luigi De Rosa, libraio