Napoli, Il pubblico perde la pazienza E il presidente in volo per gli Usa riflette su una situazione inattesa
9 Punti in meno per il Napoli rispetto alla scorsa stagione. Un anno fa, dopo 12 giornate, Ancelotti era secondo in classifica con 28 punti; tra l’altro, proprio alla dodicesima aveva battuto 2-1 il Genoa a Marassi.
E ora, tra le nuvole, in un viaggio da affrontare con se stesso, con i propri pensieri, ci sarà da riflettere eccome: da Roma a Los Angeles è lunga, ma è un volo che Aurelio De Laurentiis avrà modo di riempire, e ne avrebbe fatto a meno, dopo aver (ri)visto il Napoli ed averne colto, di nuovo, disagi che improvvisamente sono apparsi il 30 ottobre, in quel minuto fatale che ha trasformato una partita potenzialmente da chiudere, per il fallo su Llorente, in un 2-2 che ha spalancato ad una crisi d’identità certificata dalla sconfitta all’Olimpico con la Roma, dal pareggio con il Salisburgo e dallo 0-0 con il Genoa. La domanda che s’insegue, bruciante, ruota intorno al destino di Carlo Ancelotti, a una panchina che resta solida, ma che certo rischia di cominciare ad esserlo di meno, ad una fiducia che De Laurentiis pare non ritrovi alterata ma in una realtà ch’è diversa da quella immaginata. Come il, calcio insegna, se ne saprà di più tra un po’: deciderà il campo, ovviamente, per Ancelotti.
RIFLESSIONI. Ma Ancelotti resta inattaccabile, almeno sino a prova contraria, almeno fino al Liverpool. Una fiducia a termine. Però De Laurentiis, in questi dieci giorni americani, tenterà di riuscire a decodificare una situazione divenuta allarmante, con risultati che rischiano di incidere sul futuro, ora avvolto nella nebbia, poi aspetterà la reazione della squadra: la qualificazione in Champions, un’esigenza irrinunciabile, non è compromessa ma può divenire sempre più problematica e la paura di un fallimento agitano.
PROTESTA E PETARDI. Poi c’è il racconto di una serata riempita dal dissenso popolare, già mostrato alla squadra e che ricomincia quando l’orologio segna le ore 20: sembra un concerto di Pino Daniele, quello che va in scena al San Paolo. Sì: è soltanto la voce di Pino, sparata dalle casse, a fare breccia nel gelo della notte di Napoli. La scena è questa: tribune semivuote, i palloni sistemati in campo in attesa dell’ingresso della squadra e i tifosi in silenzio. Un silenzio surreale. Che a dispetto delle premesse poco incoraggianti si tramuta in applausi quando arrivano Meret, Ospina e Karnezis per il riscaldamento. Alé: si comincia per benino. Ma si prosegue male: entrano gli altri, con Insigne in testa a guidare il gruppo, e piovono fischi. Coperti però dal volume sempre più alto della musica degli Opus, quella del famoso riscaldamento danzato da Maradona a Monaco di Baviera, e da una lunga serie di petardi che esplodono in lontananza. All’esterno: un simbolo inequivocabile della protesta popolare già palesata all’arrivo del bus della squadra. “Vergognatevi”, l’urlo ripetibile. L’unico.
ABBRACCIO FISCHIATO. La situazione è complessa, delicata, di certo non il massimo per l’importanza cruciale di questa partita: il Napoli rincorre una carovana di squadre e ora anche la serenità. La tranquillità smarrita dopo la notte di Champions più incredibile della storia. Il grande rifiuto della squadra al ritiro imposto dalla società dopo la sconfitta con la Roma che a questo punto diventa nuovo argomento di discussione. Ma alle 20.29, ricompare l’amore, per vincere serve la spinta, anche se non tutti sono d’accordo: una curva tace per mezzora, l’altra inneggia al rispetto – richiesto anche con uno striscione – e alla maglia. La notte più lunga è appena cominciata, non è ancora finita.
fonte:corrieredellosport