Sorrento . Il mondo scientifico e «le» diversabilità . “L’arte è bellezza e ognuno di noi è abile nel suo modo a essere artista”

28 novembre 2019 | 19:53
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Sorrento. Questa mattina l’inaugurazione dell’evento seguito da Positanonews con Lucio Esposito e Sara Ciocio. Ho ripetuto il titolo del manifesto aggiungendo l’aricolo al plurale “le diversabilità” perché le vite disabili sono tante quante gli individui che le vivono. A prima vista, vedendo la locandina, ho pensato: «Ma che sfrontati mettere un simbolo di orgogliosa vanità per una rassegna artistica che parla di disabilità». Il pavone, infatti, per la bellezza delle sue piume è anche un simbolo di orgoglio e vanità, ma per i Sufi, è un animale prezioso per comprendere la natura umana e superare, se possibile, le proprie meschinità. Allora mi sono vergognato di me stesso e ho guardato meglio e mi sono accorto che il dipinto di Rita Cuciniello è intitolato “Occhi sul mondo” per evidenziare che l’importante non è il pavone in sé, ma due penne che osservano come occhi sbarrati. In Alchimia, la coda del pavone simboleggia uno dei passaggi necessari per compiere la trasmutazione di se stessi. Il pavone, quindi, cela le potenzialità dell’uomo non realizzate totalmente, tanto più simbolo dei disabili, dei portatori di handicap. La scienza consente una gamma di possibilità prima sconosciute e insperate e m’interessa precisare che il binomio tecnica e scienza ha anche la finalità di far evolvere e migliorare il livello di efficacia nel campo della disabilità. Offre un contributo fattivo per aiutare a migliorare la vita delle persone in difficoltà, nell’ottica della massima autonomia possibile, come un esoscheletro che aiuta coloro che hanno subito traumi spinali e cronici, lesioni con sclerosi multipla, a ricominciare ad utilizzare gli arti inferiori. Il suo nome è Lokomat, sì perché bisogna essere necessariamente o “loco” o “matt”, per orbitare intorno al fantastico mondo della diversità . Ma la scienza non si occupa solo del campo motorio, la disabilità comunicativa rappresenta una condizione molto complessa in quanto la difficoltà di una comunicazione efficace lede le persone nel loro modo di essere e relazionarsi. Sono costrette a un notevole sforzo per essere riconosciute nei loro tentativi di comunicazione, perché il non poter comunicare risulta difficilmente accettabile e rappresenta uno degli aspetti più drammatici della malattia. La scienza ha ideato uno strumento molto semplice, chiamato ETRAN, capace di rispondere a bisogni importanti come quello di interloquire in modo rapido e quanto più possibile “naturale” con familiari e amici . Può sembrare una cosa banale, ma proprio oggi che siamo immersi in un mondo super tecnologico per velocizzare la comunicazione, ci siamo dimenticati come si fa a guardare una persona negli occhi. Vorrei far evidenziare che la scienza non chiede l’inclusione delle persone disabili come irruzione nella società civile, la loro assimilazione e accettazione in un insieme di norme e codici comportamentali stabiliti da persone abili. La scienza investe tutti i campi del sapere affinché l’inclusione sia l’interazione di piene espressioni personali, di differenze. La scienza ci abilita a pensare che le differenze non appaiono riducibili a una questione di gerarchia ontologica del tipo: «Cosa conta prima di qualsiasi altra cosa?», e ci dice che la disabilità è l’esserci delle differenze come quotidianità, nel corpo, nel desiderio, nell’emozione, nella convivenza, nella fragilità . La scienza a servizio della disabilità deve far sì che non bisogna più pensare che nella malattia esista solo la sopravvivenza, ma serve cominciare a riflettere che l’affermazione dei propri desideri e delle proprie scelte sia fondamentale alla stessa stregua. Un vecchio rabbino domandò una volta ai suoi allievi da che cosa si potesse riconoscere il momento preciso in cui finiva la notte e cominciava il giorno. “Forse da quando si può distinguere con facilità un cane da una pecora?”. “No”, disse il rabbino. “Quando si distingue un albero di datteri da un albero di fichi?”. “No”, ripeté il rabbino. “Ma quand’è, allora?”, domandarono gli allievi. Il rabbino rispose: “È quando guardando il volto di una persona qualunque, tu riconosci un fratello o una sorella. Fino a quel punto è ancora notte nel tuo cuore”. Sarà ancora notte se non metteremo tutte le nostre energie, per finanziare la ricerca scientifica affinché sempre più ci possa essere un mondo di uguali nelle proprie diversità.
Aniello Clemente