Zlatan al Milan e’ un’operazione in discontinuità rispetto alla linea tracciata. Non soltanto per una questione anagrafica. Con i suoi 38 anni in America ha comunque giocato 31 partite, tutte da titolare, mai sostituito, 31 gol. Toccava in media una cinquantina di palloni perdendone 14. Ibrahimovic ha giocato la sua ultima partita il 25 ottobre e non si confronta con un campionato ruggente quanto lui dal dicembre del 2017. I primi a saperlo lavorano al Milan. Boban e Maldini non stanno comprando l’Ibrahimovic dello scudetto 2011 con Allegri. Sarebbe folle crederlo, saremmo ingenui a ritenerli tanto sprovveduti. Sanno che prendono soprattutto una suggestione, nel migliore dei casi perfino capace di lasciare un segno. Il punto è un altro: stabilire che cosa se ne farà il Milan dei gol di Ibrahimovic – otto, dieci, dodici – nei suoi piani a media-lunga scadenza. È vero che non si può rinunciare a una stagione già a gennaio, ma è francamente da sognatori pensare di recuperare con lui 14 punti sulla zona Champions, avendo fra sé e il quarto posto sei squadre, non una.
Se il Milan ha il dovere di guardare a oggi pensando a domani, cosa c’entra Ibrahimovic? Gazidis immaginava di acchiappare un giorno la Juventus con i giovani e la sostenibilità. O ha cambiato idea o non sta decidendo lui. Con il suo arrivo, un anno fa Elliott modificava la propria idea di gestione del Milan, rinunciando a una timeline di uscita per abbracciare una target line, l’idea cioè di lasciare il club a dei nuovi proprietari una volta riacquisita l’antica centralità. È ancora così? O esiste già una sorta di disimpegno da quei propositi? Gazidis rimprovera al calcio italiano di avere avuto il mondo in mano venti anni fa e di averlo gettato per poca fame di progresso, per paura del futuro. Ma riabbracciare Ibrahimovic significa proprio consegnarsi a un calcio dal respiro corto. È come prendersi una vacanza di sei mesi da un grande viaggio immaginato, nel quale non c’era posto per Cutrone e dove una rifondazione (con Giampaolo) è durata 7 partite. Se nel calcio ci fosse ancora spazio per la leggerezza, si potrebbe almeno scherzare, dicendo che il Milan alla fine ha preso un attaccante che voleva il Monza.
Ibra ha detto sì. Lo svedese, a distanza di sette anni e mezzo dall’addio, tornerà ad indossare i colori rossoneri. L’ottimismo fatto trapelare dal Milan negli ultimi giorni, insomma, ha trovato conferma nei fatti. Boban e Maldini contano di sistemare gli ultimi dettagli in queste ore e poi scatterà l’ufficialità. C’è voluto più del previsto e ad un certo punto i segnali non erano più così positivi, ma alla fine lo svedese si è convinto, accettando l’ultima proposta del Diavolo. Già, perché proprio a cavallo della batosta rimediata con l’Atalanta c’è stato l’aggiornamento dell’offerta decisivo per sbloccare la situazione.
Non sono stati rivisti gli aspetti economici. Vale a dire che sul tavolo sono rimasti i 3 milioni di qui a giugno e gli eventuali 6, compresi bonus, per la prossima stagione. L’eventuale rinnovo automatico, però, non sarà più legato unicamente agli obiettivi raggiunti dal Milan – ballava la qualificazione in Champions, vista la classifica però… -, ma si baserà sul rendimento e le prestazioni dell’attaccante, tra gol, presenze ecc. Nulla di complicato da ottenere, comunque. Anzi, le parti avranno piena libertà di proseguire assieme o di interrompere il rapporto, a prescindere da qualsiasi obiettivo raggiunto.
MOTORE DA RIAVVIARE. In ogni caso, sarà il campo a stabilire se si tratta dell’innesto giusto per risollevare le sorti del Diavolo. Lo svedese, pur essendo uno straordinario campione, per di più con una strabordante personalità che a Milanello si augurano possa trasmettere anche ai compagni, ha comunque compiuto i 38 anni, lo scorso 3 ottobre. E, alla fine dello stesso mese (il 25), ha anche giocato l’ultima gara vera con i Los Angeles Galaxy. Insomma, è di fatto fermo da due mesi e, dando per scontato, conoscendolo, che non abbia mai smesso di allenarsi, il suo motore deve comunque essere riavviato all’attività agonistica. Quanto impiegherà? In casa rossonera si augurano che possano bastare due-tre settimane, quindi è difficile immaginarlo già titolare per il match con la Sampdoria del 6 gennaio, ma chissà che un’apparizione in panchina non possa già farla. Evidentemente, dipende da quando sbarcherà in Italia. Questo è proprio uno dei dettagli ancora da sistemare. La squadra tornerà a lavorare agli ordini di Pioli lunedì prossimo, ma non è detto che Ibra si aggreghi immediatamente. Di fatto, sarà lui a decidere. Il Diavolo lo ha voluto con tale intensità che gli ha concesso anche questa libertà. La curiosità è che potrebbe tornare ad indossare il numero 11. Era la sua maglia nelle prime due stagioni in rossonero. Ecco, qualora Borini dovesse partire in tempo (c’è il Genoa in pole), il passaggio sarebbe automatico.
DOVE GIOCHERÀ? Un altro dei nodi da sciogliere sarà l’impianto tattico all’interno del quale andrà a “incastrarsi” Ibra. Pioli, infatti, potrebbe insistere con il tridente avanzato e, a quel punto lo svedese non farà altro che piazzarsi in mezzo, tra Suso e Calhanoglu, ovvero gli esterni offensivi al momento titolari. Ed, evidentemente, quando comincerà dall’inizio, sia Piatek sia Leao andranno ad accomodarsi in panchina. Sempre che, ovviamente, uno dei due non faccia le valigie. Più facile, però, che Rebic torni in anticipo all’Eintracht Francoforte. Un’altra soluzione tattica potrebbe essere quella di rispolverare il rombo e, quindi, le due punte con alle spalle un trequartista. Ibra, insomma, avrebbe come partner uno tra Piatek o Leao e Calhanoglu (più facilmente adattabile di Suso, mentre Paquetà potrebbe partire) a trasformarsi in rampa di lancio.
fonte.corrieredellosport