Gianni Aversano e i Damadakà al Teatro delle Rose di Piano di Sorrento
Gianni Aversano è artista poliedrico, sul palco dà vita a personaggi mistici così come a guitti e masanielli, i suoi spettacoli raccontano di Madonne incantate di fronte alla bellezza della natura, di alberi senzienti, che scelgono tra il bene e il male, di strani briganti che lottano per la libertà, di goffi personaggi vittime di donne crudeli, di arcangeli che rinunciano alle proprie ali perché alla fine per volare se ne può fare a meno, di ladri che mettono in crisi i santi e di santi che mettono in crisi il Padretèrno. Da Pergolesi a Donizetti, dalla poesia di fine Ottocento fino alla odierna musica nel cemento di Enzo Avitabile, Aversano mette in scena uno Zibaldone di poesie e canti popolari che proprio come il grande poeta che lui chiama il Gobbo Snob alla base di tutto ha la ricerca spasmodica della Verità . Ieri sera Gianni Aversano, dal palco del Teatro delle Rose, mentre presentava i musicisti, ha spiegato il lavoro di ricerca e catalogazione che li tiene impegnati da anni. Canti antichi della nostra cultura, canti popolari di Terra di Lavoro, del Cilento, di tutta la Campania e oltre, un immenso patrimonio letterario, di importanza antropologica, etnografica e artistica che in poche generazioni sarebbe andato perso per sempre, e con esso le nostre radici, la nostra identità. In un mondo sempre più globalizzato è bello ascoltare artisti che durante la loro esibizione non hanno cantato canzoni in lingua straniera. Sembra una cosa fuori dal mondo per noi completamente colonizzati dall’inglese. C’è una frase che ha usato Gianni Aversano che mi è piaciuta molto “amore per quello che facciamo, serietà nel voler capire la profondità di quello che c’è nei testi che poi andremo a presentare al pubblico”. Ebbene questa ricerca, questa profondità si percepisce nell’arte dei Damadakà e di Aversano. Una profonda ricerca si nota anche nel suo approccio religioso, una religiosità che è soprattutto riflessione sul mistero, un porsi domande come quelle che Enzo Avitabile rivolge a Don Salvatore (Padre Eterno): “Ma a che ci serve la fede, la speranza, se tutto muore, se tutto si fa vecchio?” “Il miracolo”, avrebbe risposto don Giussani, “è la realtà umana vissuta quotidianamente, senza enfasi eccezionali, senza necessità di eccezioni, senza fortune particolari, è la realtà del mangiare, del bere, del vegliare e del dormire investita dalla coscienza di una Presenza che ha i suoi terminali in mani che si toccano, in facce che si vedono, in un perdono da dare, in soldi da distribuire, in una fatica da compiere, in un lavoro da accettare”. Spesso i racconti dei nostri avi nella loro semplicità le risposte a certe domande provavano a darle, cosa che oggi noi da tempo abbiamo smesso di fare, impegnati come siamo a vivere in un mondo digitalizzato. – C’era una volta una vecchia che aveva perso un ago, lo cercava alacremente nel patio della propria casa senza darsi pace. Pulcinella, che passava da quelle parti, la vide e ne ebbe pietà. Si fece in quattro per cercare l’ago alla donna, rovistò ogni centimetro del patio senza riuscire a trovarlo. Alla fine Pulcinella stanco morto, con la pancia che reclamava la solita marenna, chiese alla vecchia se ricordava con precisione il posto dove l’aveva perduto, in modo da ricominciare la ricerca proprio da lì. La vecchia lo guardò come se stesse cadendo dalle nuvole e confessò a Pulcinella di averlo perduto dentro casa. Pulcinella, sbalordito, le chiese perché allora l’aveva cercato nel patio. La vecchia gli rispose candidamente che nel patio c’era più luce che in casa! Per comodità, cerchiamo altrove ciò che invece risiede in noi. Sono quasi sicuro che c’è gente oggi che, come la vecchia della favola, è convinta che per trovare la felicità basti googlarne la parola in un qualsiasi motore di ricerca e aspettarne i risultati, quello più laiccato rappresenta la felicità! Mah…Il giorno che avrò dimenticato chi era Pulcinella avrò perso più della metà di quello che sono, meno male che ogni tanto ci sono Gianni Aversano, Paolo Propoli, Michele De Martino, i Damadakà: Daniele e Dario Barone e Margaret Ianuario a ricordarmi chi era Puccio d’Aniello, perché il lupino è amaro e i pinoli sono dolci. Anche questo è il progetto “Cultura delle origini e luoghi di culto” del Comune di Piano di Sorrento. Un ringraziamento va a Antonio Mirone che ha proposto e portato al Delle RoseAversano e i Damadakà, al Sindaco Vincenzo Iaccarino, all’Assessore alla Cultura Carmela Cilento, e al dirigente del settore cultura Giacomo Giuliano.
di Luigi De Rosa