Quando Napoli sognava Messi foto

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La casa di Maradona. La culla di Maradona. Il tempio di Maradona. Il santuario di Maradona. Eccolo il San Paolo nei titoli di queste ore, in Spagna e in Sudamerica, adesso che si prepara a far entrare per la prima volta Messi. Chi sta scrivendo che Maradona è il padre, chi scrive che Maradona è Dio. Napoli condivide con gli ispanofoni questa grande fatica a trattenere le parole. Quando sei alla Philarmonie di Berlino, sai che lì dirigeva von Karajan. Se passi dal Globe di Londra, sai che ci lavorava Shakespeare. Se agli argentini questo stadio fa un effetto mistico, qualcosa di vero dev’esserci. Tutti raccontano la stessa cosa, a tutti sembra di essere stati come alla messa di Natale al Vaticano. “La prima volta cominciai a piangere per l’emozione sulle scalette”: parole di Hernan Crespo. “Tutti mi chiedevano di lui. Ho capito che qui è come Dio”: questo invece è il Kun Agüero, per qualche anno di Maradona il genero. “Sentivo i brividi pensando che Diego aveva giocato lì”: il freddo Higuaín. Il Papu Gómez si presentò con una fascia da capitano che aveva i colori dell’Argentina e la scritta D10S. De Paul ha rivelato che “in albergo a Napoli mi lasciano dei regali solo perché sono argentino come Maradona”. La delegazione del suo paese ha sfilato alle Universiadi dell’estate scorsa sventolando la 10 bianca e celeste.

 

Ci siamo arrivati poco alla volta, e adesso tocca a lui, Leo, il più simile e allo stesso tempo il più distante da Maradona, sosia e contrasto, il grande genio del calcio capace di fare le stesse cose di altre migliaia di giocatori e in modo diverso da tutti, da tutti tranne che da Diego, come ha detto lo scrittore Martín Caparrós, sancendo che in fondo questa è stata una condanna. La celebrazione anticipata del primo passo di Messi al San Paolo potrebbe sembrare una nuova puntata dell’ombelicalismo con cui la città di Napoli vive spesso le proprie cose, grandi e piccine, se non fosse che in rete è stato il Barcellona a diffondere un video con le magie dei due numeri 10 una dietro l’altra. “Com’è la gente di Napoli me lo ha spiegato Lavezzi, molto passionale, mi ha detto che è bello averli come tifosi”. Messi parla di rado e tra le sue parole d’archivio si trova questo passaggio sul San Paolo e la sua gente. Quella felice di sentir girare la voce che Yaya Touré, dopo una sconfitta del City, era rimasto 5 minuti a godersi lo spettacolo dei festeggiamenti. Una leggenda, probabilmente. Ora, bisogna sapere che già prima di Diego, Omar Sivori, arrivato dalla Juventus, aveva avuto modo di dire: “Tutti i calciatori del mondo dovrebbero provare che cosa significa giocare a Napoli”. Nel 1982, quando Maradona era ancora in Catalogna e il Napoli una squadra più spesso settima in classifica che terza, lo scrittore argentino Roberto Fontanarrosa pubblicava L’Area 18, un fantastico romanzo in cui si sarebbe dovuta giocare una partita di calcio in uno stadio ricavato dentro un vulcano, “un clima emotivo, un ambiente di tensione e pressione” giudicato superiore – scrive – persino al Maracanã, allo stadio del Celtic, alla Bombonera del Boca e al San Paolo di Napoli.
Quando Messi metterà davvero piede a fine febbraio sul prato, al San Paolo mancherà la visione di un solo Pallone d’oro del Duemila: Michael Owen. Quanto alle altre icone del passato, Eric Cantona è passato in amichevole con la Francia nel 1994, Johann Cruyff con il Barcellona nel maggio del 1978 (in Coppa Uefa con l’Ajax nel 1969 non c’era), Pelé con il Santos per due esibizioni nella primavera del 1972. Cinque anni fa, Messi venne da turista, con un volo privato fino a Pontecagnano, poi a bordo di uno yacht da 60 metri, il Givi, si spinse a Capri. Forse non sa che il San Paolo decantato da Fontanarrosa a Lavezzi, a Maradona, non esiste più. Dei tre sacri palcoscenici della città – il teatro San Ferdinando di Eduardo, il teatro San Carlo e il “teatro” San Paolo – lo stadio è quello normalizzato: qualche anno fa Napule è fu cancellata come inno perché “non dà la carica, è moscia, porta sfortuna”. ‘O Surdato ‘Nnammurato, che Maradona canta ancora in macchina, è uscita dalla playlist. Forse a Messi la Diego Experience piacerà lo stesso, o lo dirà per gentilezza, per soggezione verso una dimensione a lui sconosciuta, l’idolatria, fatta del capello nella teca, i murales, il museo in casa della vecchia tata. Tutta quella maradonità o maradoneria che è stata insieme eredità e zavorra.

fonte:corrieredellosport

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