Presepe napoletano, la storia. Quali sono i personaggi e che significano

26 dicembre 2019 | 10:38
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Presepe napoletano, la storia. Quali sono i personaggi e che significano

Il presepe napoletano è una delle tradizioni natalizie più consolidate e seguite che si è mantenuta inalterata per secoli.

Il termine presepe deriva dal latino prasaepe che vuol dire mangiatoia.

Il primo presepio a Napoli viene menzionato in un documento che parla di uno allestito nel 1025 nella Chiesa di S. Maria del presepe.

Ad Amalfi, secondo varie fonti, già nel 1324 esisteva una “cappella del presepe di casa d’Alagni”.

Nel 1340 la regina Sancia d’Aragona (moglie di Roberto d’Angiò) regalò alle Clarisse un presepe per la loro nuova chiesa, di cui oggi è rimasta la statua della Madonna nel museo di San Martino.

Altri esempi di presepe napoletano risalgono al 1478, con un presepe di Pietro e Giovanni Alemanno di cui ci sono giunte dodici statue, e il presepe di marmo del 1475 di Antonio Rossellino, visibile a Sant’Anna dei Lombardi.

Nel Seicento il presepe allargò il suo scenario.

Non venne più rappresentata la sola grotta della Natività, ma anche il mondo profano esterno: in puro gusto barocco, si diffusero le rappresentazioni delle taverne con ben esposte le carni fresche e i cesti di frutta e verdura e le scene divennero sfarzose e particolareggiate, mentre i personaggi si fecero più piccoli: manichini in legno o in cartapesta saranno preferiti anche nel Settecento

Nel Settecento il presepe napoletano visse la sua stagione d’oro, uscendo dalle chiese dove era oggetto di devozione religiosa per entrare nelle dimore dell’aristocrazia.

Nobili e ricchi borghesi gareggiarono per allestire impianti scenografici sempre più ricercati.

Giuseppe Sanmartino, forse il più grande scultore napoletano del Settecento, fu abilissimo a plasmare figure in terracotta e diede inizio ad una vera scuola di artisti del presepio.

La scena si sposta sempre più al di fuori del gruppo della sacra famiglia e più laicamente s’interessa dei pastori, dei venditori ambulanti, dei re Magi, dell’anatomia degli animali.

Benché Luigi Vanvitelli definì l’arte presepiale “una ragazzata”, tutti i grandi scultori dell’epoca si cimentarono in essa fino all’Ottocento inoltrato.

Nel Novecento questa tradizione è gradualmente scomparsa, ma oggi grandi presepi vengono regolarmente allestiti in tutte le principali chiese del capoluogo campano e molti napoletani lo allestiscono ancora nelle proprie case.

Benino è il pastorello che solitamente viene collocato sulla collina più alta della scena presepiale.

Viene raffigurato con la testa poggiata su una pietra e nelle sue vicinanze viene posto un albero la cui chioma gli fa ombra sul capo; intorno a lui vengono poste alcune pecorelle bianche.

La tradizione popolare vuole che Benino dorma e nel sonno sogni il Presepe “Guai! a svegliarlo. Di colpo sparirebbe il Presepe.”

I pastori rappresentano un gruppo vario e sono ritratti in vari atteggiamenti e non esiste alcun limite al loro numero.

Vengono posti nei pressi della capanna, portano i doni al Bambinello, percorrono i sentieri della scena, conducono le pecore al pascolo, ecc.

Il vinaio e Cicci Bacco: il percorso del presepe napoletano è anche rappresentazione della “rivoluzione religiosa” che avverrà con la morte del Messia.

Difatti il vino e il pane, saranno i doni con i quali Gesù istituirà l’Eucarestia, diffondendo il messaggio di morte e resurrezione al Regno dei Cieli.

Ma contrapposto a ciò, c’è la figura di Cicci Bacco, retaggio delle antiche divinità pagane, dio del vino, che si presenta spesso davanti alla cantina con un fiasco in mano.

La donna col bambino è diffusissima sul presepe e viene posta nei pressi della grotta. La tradizione popolare narra che una giovane vergine chiamata Stefania, saputo della nascita del Redentore, si incamminò verso la grotta per adorarlo ma gli angeli la bloccarono in quanto non era permesso alle donne non sposate di far visita alla Madonna.

Il giorno dopo Stefania prese una pietra, l’avvolse nelle fasce come se si trattasse di un bambino e, ingannando gli angeli, riuscì a raggiungere la grotta.

Alla presenza della Madonna, miracolosamente, la pietra starnutì e si trasformò in un bambino che ebbe nome Stefano e così, da allora, il 26 dicembre, si celebra la festa di Santo Stefano.

Altro personaggio che è presente nel presepe napoletano è il Pescatore: è simbolicamente il pescatore di anime.

Il pesce fu il primo simbolo dei cristiani perseguitati dall’Impero Romano.

Infatti l’aniconismo, cioè il divieto di raffigurare Dio, applicato fino al III secolo, comportò la necessità di usare dei simboli per alludere alla Divinità.

Tra questi c’era il pesce, il cui nome greco (ikthys) era acronimo di “Iesùs Kristhòs Theoù Yiòs Sotèr” (Gesù Cristo Figlio di Dio e Salvatore).

I due compari: i due compari, zi’ Vicienzo e zi’ Pascale, sono la personificazione del Carnevale e della Morte.

Infatti al cimitero delle Fontanelle in Napoli si mostrava un cranio indicato come “A Capa ‘e zi’ Pascale” al quale si attribuivano poteri profetici, tanto che le persone lo interpellavano per chiedere consigli sui numeri da giocare al lotto.

Gli artigiani rappresentano tutte le professioni, i più classici sono il fabbro, il falegname, la lavandaia, il bovaro, l’arrotino, il fornaio, il macellaio, il pescatore ecc.

Come i pastori non esiste alcun limite al loro numero e sono rappresentati mentre svolgono le loro attività.

Il fruttivendolo, che, nella sua bancarella piena di variegati prodotti, ha il significato augurale di ricchezza e abbondanza.

Ancora, nel presepe napoletano non posso mancare i Re Magi: rappresentano il viaggio notturno della stella cometa che si congiunge con la nascita del nuovo “sole-bambino”.

In questo senso va interpretata la tradizione cristiana secondo la quale essi si mossero da oriente, che è il punto di partenza del sole, come è chiaro anche dall’immagine del crepuscolo che si scorge tra le volte degli edifici arabi.

In origine rappresentati in groppa a tre diversi animali, il cavallo, il dromedario e l’elefante che rappresentano rispettivamente l’Europa, l’Africa e l’Asia.

La parola magi è il plurale di mago, ma per evitare ambiguità si usa dire magio.

Si trattava di sapienti con poteri regali e sacerdotali.

Il Vangelo non parla del loro numero, che la tradizione ha fissato a tre, in base ai loro doni, oro, incenso e mirra, cui è stato poi assegnato un significato simbolico.

Le soluzioni estetiche adottate per il posizionamento dei Magi sulla scena sono molteplici, spesso originali ma tutte artisticamente valide

La zingara: è una giovane donna, con vesti rotte ma appariscenti. La zingara è un personaggio tradizionalmente in grado di predire il futuro.

In questo caso la sua presenza è simbolo del dramma di Cristo poiché porta con sé un cesto di arnesi di ferro, metallo usato per forgiare i chiodi della crocifissione.

L’osteria: riconduce, in primo luogo, ai rischi del viaggiare.

Di contrasto, proprio perché i Vangeli narrano del rifiuto delle osterie e delle locande di dare ospitalità alla Sacra Famiglia, il dissacrante banchetto che in esse vi si svolge è simbolo delle cattiverie del mondo che la nascita di Gesù viene ad illuminare.

La meretrice: simbolo erotico per eccellenza, contrapposto alla purezza della Vergine, si colloca nelle vicinanze dell’osteria, in contrapposizione alla Natività che è alle spalle.