Quando Rino è diventato Ringhio Con Carlo salì sul tetto del Mondo  

11 dicembre 2019 | 08:04
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Quando Rino è diventato Ringhio Con Carlo salì sul tetto del Mondo  
Quando Rino è diventato Ringhio Con Carlo salì sul tetto del Mondo  
Quando Rino è diventato Ringhio Con Carlo salì sul tetto del Mondo  
Quando Rino è diventato Ringhio Con Carlo salì sul tetto del Mondo  

Sono stati otto anni insieme, Gattuso e Ancelotti, gli otto anni di Carletto al Milan. Hanno vinto tutto, scudetto, supercoppe, coppe nazionali, due volte la Champions, un mondiale per club. Era una squadra fantastica, capace di rinnovarsi restando sempre se stessa. Il Milan dei numeri 10, in una stagione Ancelotti ne mise insieme quattro: Pirlo, trasformato in regista, Seedorf, modificato (con mugugni) in mezz’ala, Kakà e Rui Costa. Più un attaccante. Questa impalcatura si reggeva per una sola ragione: i polmoni di Rino Gattuso. Non a caso, quando chiedevano ad Ancelotti chi fosse il giocatore determinante per quella squadra, rispondeva così: «Prima metto Gattuso, poi tutti gli altri».

Questo è il calcio e capirne i misteri è un esercizio inutile e faticoso. Rino Gattuso ha preso il posto di Carlo Ancelotti sulla panchina del Napoli. Come allenatore, l’allievo non ha vinto ancora niente, il maestro ha vinto tutto ma se un giorno, costretto all’addio, potrà dire chi avrebbe preferito come suo successore risponderà allo stesso modo: «Prima metto Gattuso, poi tutti gli altri». Sono diversi, ma sono due persone perbene. Gattuso è rabbia e fatica, Ancelotti distensione e intuizione. Se esistesse il “doppio allenatore” sarebbero una grande coppia.

CORSA E FATICA. «Quando vedevo Pirlo giocare a calcio, mi chiedevo quale fosse il mio sport. Di sicuro non lo stesso di Andrea». Rino corre da quando è nato. Correva nel Perugia e nei Rangers di Glasgow, quando divenne un idolo per i tifosi dell’Ibrox Park e prese il soprannome di Braveheart. Correva nella Salernitana e in quella stagione fu il grande rimpianto di Trapattoni che chiese a Vittorio Cecchi Gori il suo acquisto al mercato di gennaio, con la Fiorentina in testa al campionato, invece Rino rimase dov’era e i viola non vinsero lo scudetto. Ha corso per 13 anni nel Milan, 443 partite e 11 gol, e ha chiuso in Svizzera, col Sion, dove ha iniziato anche ad allenare.

LA “STROZZATA” A LIPPI. Di corsa anche in Nazionale, dalla Under 18 al titolo mondiale di Berlino, passando da Dortmund. Di quella sera resta memorabile la “strapazzata” gioiosa a Lippi, afferrato per il collo e strattonato a destra e manca. Rino in campo non riusciva a trattenersi. Ne sa qualcosa anche Joe Jordan, vice di Redknapp sulla panchina del Tottenham, che prese una manata e una testata da Gattuso (con la fascia di capitano al braccio…) in una gara di Champions. A suo modo storica l’intervista che rilasciò alle Iene, in calabrese stretto: «Jordan mi diceva “fuck, fuck, fuck”. Allora mi è scattata l’ignoranza…». Anche Nedved ha assaggiato la sua grinta. In un Milan -Juve, dopo averlo picchiato per un’ora buona, il ceco andò giù di nuovo e Rino con la mano e le parole gli disse: “Stai su, stai su”, aggiungendo un’altra parolina alla fine dell’invito.

COME DA ALLENATORE. Ci sono ex giocatori che, lasciando il campo per la panchina, cambiano stile, tengono di più all’immagine diventando tante fotocopie, in una specie di imborghesimento calcistico. Gattuso, se possibile, ha seguito il percorso opposto. Ha una visione molto sindacale del ruolo, forse anche perché gli sono capitate spesso situazioni al limite dell’assurdo. In ogni caso, che nessuno tocchi i suoi giocatori. A Palermo inciampò in Zamparini. A Creta, pagò di tasca sua lo stipendio ai giocatori. A Pisa, dove vinse il campionato di Serie C, non riuscì a salvare la squadra in B perché stava succedendo di tutto, come spiegò in una furente conferenza stampa attaccando la società. Il ricordo che ha lasciato sull’Arno è forte ancora oggi. Il giorno di Foggia-Pisa, con la borsa del ghiaccio sulla testa centrata in pieno da una bottiglietta, mentre litigava con De Zerbi correva in campo per respingere l’invasione dei suoi tifosi che avevano scavalcato le recinzioni per difenderlo. All’Arena Garibaldi è un idolo.

AL MILAN. Nel 2017 è tornato a casa, al Milan, come allenatore della Primavera, ma a novembre, esonerato Montella, si è ritrovato sulla panchina della prima squadra. Lo ha promosso Mirabelli, con la società sottosopra. Rino conosceva il Milan della perfezione, con un solo proprietario (Berlusconi) e un solo capo (Galliani), ma ha trovato ugualmente la strada in un club così ingarbugliato. Subito in Europa League e in finale di Coppa Italia, l’anno seguente di nuovo in Europa League, con la Champions persa per un solo punto. Non era stato semplice, in quella squadra c’erano dei giocatori che non sentivano il Milan come lui e questo per Rino è inaccettabile. Si è scontrato con Bakayoko (mai che se la prenda con un piccoletto) e, quando la squadra non andava bene, ha criticato pubblicamente se stesso e i giocatori, alla fine però ha raggiunto il massimo. Aveva altri due anni di contratto, ma era chiaro che nel nuovo Milan non c’era più spazio per lui. Si è fatto da parte, ha lasciato lì un assegno di 4 milioni di euro, così che al club ne ha fatti risparmiare 8, ma ha preteso che tutti i suoi dieci collaboratori venissero pagati fino all’ultimo euro. Questo è Gennaro Gattuso.

fonte:corrieredellosport