Ronaldo? No, il principe d’Arabia si chiama Lulic, lo stesso capace di spedire al tappeto la Roma nel derby di Coppa Italia del 2013. Sei anni dopo, con un destro al volo, ha firmato il colpo del ko e ha steso la Juve nella finale di Riyad. Si trovava al posto giusto e nel momento giusto, il minuto 73, solo due di ritardo rispetto al guizzo che lo aveva fatto entrare nella leggenda biancoceleste. Gol bellissimo per gesto tecnico, decisivo e travolgente. Era destino fosse proprio il capitano bosniaco ad alzare, sotto il cielo dell’Arabia Saudita, la quinta Supercoppa nella storia della Lazio. È la terza di Lotito, l’eroe dei due mondi, dieci anni dopo aver piegato a Pechino l’Inter di Mourinho che poi avrebbe vinto il triplete. Questa volta è toccato a Sarri perdere il primo trofeo stagionale e chissà se i bianconeri arriveranno sino alla finale di Champions. La sensazione è che dovranno superarsi per conquistare il nono scudetto di fila difendendosi dall’assalto dell’Inter di Conte e adesso anche dalla scalata maestosa della Lazio, da considerare outsider credibile. Lo raccontano il campo e i risultati, sarebbe un torto trascurarli, anche se il vero scudetto per ora si chiama Champions. Una squadra infinita, piena di classe e di personalità, condotta da un trascinatore come Inzaghi. È il suo terzo trofeo, ha strappato di nuovo la Supercoppa alla Juve pochi mesi dopo la finale di Coppa Italia vinta con l’Atalanta. A Riyad ha compiuto un capolavoro, dando altri tre gol a Sarri, l’ultimo ancora in pieno recupero. È finita come all’Olimpico due settimane fa. La poesia di Luis Alberto, il piattone di Lulic e il sigillo con una punizione all’incrocio di Cataldi. Vittoria schiacciante. La Juve ha faticato per l’intera partita, rimasta in bilico solo perché Dybala aveva acciuffato il pari a un sospiro dall’intervallo. L’unica distrazione della Lazio dentro una partita perfetta e in cui tutti, dal primo all’ultimo, sono stati protagonisti. Luiz Felipe fantastico come Acerbi, capace di cancellare Higuain. Travolgente Lazzari, sontuoso il trio di centrocampo, bravo Immobile in costruzione, un demonio Correa con i suoi strappi a intimidire Bonucci e Demiral. E poi le mosse illuminate di mago Simone, perché ci voleva coraggio a togliere due come Luis Alberto e Leiva, seppur ammoniti. Parolo è stato decisivo con l’assist di testa a Lulic, Cataldi ha chiuso il conto.
PALLEGGIO. La Lazio è salita in cattedra dai primi minuti, sorretta dal senso tattico di Leiva e dalla classe di Luis Alberto, entrato con la personalità giusta per non farsi intimidire da Bentancur. Poca Juve, distanze lunghe tra i reparti, la linea difensiva non saliva, preoccupata di concedere campo a due scattisti come Immobile e Correa. Una contraddizione rispetto alla scelta di confermare le tre punte. Ronaldo era il più vivace, Dybala qualche segnale lo riusciva a dare quando riceveva palla sul centro-destra, Higuain era assorbito dal controllo di Acerbi. Il tridente da bar si è ritrovato isolato. Giocava solo la Lazio e si apriva a ventaglio con tempi e sincronie da orologio svizzero. Uno spettacolo assistere al palleggio di Milinkovic, Correa e Luis Alberto. Lo spagnolo ci ha provato per primo, steso al limite da una legnata di Matuidi. Niente intervento Var, eppure sarebbe stato da rosso.
ALLA RIVERA. Lazzari e Lulic attaccavano con eccessiva libertà. Solito difetto del 4-3-1-2, i terzini della Juve rinculavano, esposti all’uno contro uno. E proprio così è arrivato il gol della Lazio, costruito dal bosniaco. Ha messo a sedere De Sciglio e ha scodellato il cross su cui Alex Sandro ha bucato. Milinkovic ha appoggiato indietro per Luis Alberto: piatto in rete “alla Rivera”. La Juve ha faticato a riprendersi, era lenta e involuta nel suo palleggio, la Lazio si chiudeva bene e ripartiva dando la sensazione di poter trovare il raddoppio e invece si è fatta riprendere un attimo prima di rientrare negli spogliatoi. Azione costruita e conclusa da Ronaldo, Dybala è stato il più rapido ad arrivare sulla respinta di Strakosha. Radu lo teneva in gioco.
DOPPIETTA. Dove la Juve poteva riprendersi la finale, è venuta fuori la lucidità, la spirito di sacrificio dei biancocelesti. Inzaghi ha aspettato poco più di un quarto d’ora per togliere Leiva e Luis Alberto, ha perso classe e palleggio acquistando sostanza e contrasto con l’ingresso di Parolo e Cataldi. Sarri, invece, ha tolto Higuain e ha inserito Ramsey. Solo Dybala è andato vicino al gol. Ronaldo si scuoteva invano. Acerbi non lo faceva passare, Strakosha era pronto sui cross e la Lazio ripartiva con Lazzari, un motorino inesauribile. Sul suo cross, Cuadrado (subentrato a De Sciglio) si è dimenticato Lulic. L’attimo decisivo della finale. È entrato anche Douglas Costa. Tutti all’attacco, a caccia dei supplementari, ma rischiando il contropiede. Gol annullato a Correa e l’ultimo brivido con la punizione di Dybala, murato dalla barriera. Un minuto dopo, invece, Cataldi avrebbe infilato la palla all’incrocio scatenando la festa della Lazio e una notte da sogno in Arabia.