Antonio Marra: «Mio figlio Nico morto per l’alcol, unica soluzione chiudere i locali che ne vende ai minorenni»

27 gennaio 2020 | 18:07
Share0
Antonio Marra: «Mio figlio Nico morto per l’alcol, unica soluzione chiudere i locali che ne vende ai minorenni»

Riportiamo l’intervista realizzata ad Antonio Marra da “Il Mattino”, di Maria Chiara Aulisio, sulla tragedia che ha visto coinvolto il figlio Nicola.

Antonio Marra è il papà di Nicola, per tutti Nico, il ragazzo che perse la vita nel 2018, la notte prima di Pasqua, a Positano, dopo una serata in discoteca. Stordito dall’alcol, Nico, 19 anni appena compiuti, si incamminò lungo un sentiero impervio: era solo, finì in un dirupo battendo forte la testa. Suo padre – a distanza di quasi due anni – racconta quello che vide la notte successiva alla scomparsa del figlio, quando ancora sperava di trovarlo in vita, e andava e veniva senza sosta da quel locale dove, nel frattempo, era stata organizzata un’altra serata, identica a quella a cui, solo poche ore prima, aveva partecipato anche Nico.

Che cosa ci faceva lì?
«Cercavo mio figlio, lo cercavo ovunque. Quando seppi che nello stesso locale dove era stato visto l’ultima volta, si ballava di nuovo, pensai di andare anche lì. Raccoglievo indizi, informazioni, qualcuno che sapesse dirmi dove era finito Nicola».

Invece che cosa trovò?
«Uno scenario apocalittico, molto simile a quello che si è visto a Roccaraso, la notte di Capodanno, in quel locale dove era stato organizzato il veglione per i ragazzini».

Racconti.
«Ricordo che mi fermai all’esterno della discoteca, volevo parlare con i ragazzi, li aspettavo all’uscita. Fu quasi impossibile. Erano distrutti, vomitavano ovunque, mezzi spogliati, alcuni portati a braccio dagli amici. Li guardavo e non potevo crederci, mai vista roba simile».

Anche quella notte a Positano c’erano molti minorenni?
«Tanti, e tante ragazzine. Tutti ubriachi. Pieni di vodka».

Bevanda killer.
«Pericolosissima. È dolce, la servono ghiacciata, la bevono come se fossa acqua, e poi vanno fuori di testa. Robaccia di pessima qualità venduta a caro prezzo a questi ragazzini che non sono certo in grado di distinguere la qualità: vanno per la quantità».

Gestori nel mirino, insomma.
«Certo, su questo non c’è dubbio».

E i genitori?
«Responsabili, ci mancherebbe. Devono fare la loro parte – che vuol dire seguire e controllare i propri figli – ma le regole vanno rispettate, e se la legge vieta la vendita di alcol ai minori, non si può pensare di fare diversamente».

I rischi sono altissimi.
«Ogni fine settimana è una estrazione a sorte. Si aspetta di vedere chi esce. È una ruota che gira, a un certo punto si ferma e tutti sperano che non tocchi ai propri figli. A me è andata male».

Che fare?
«Controlli innanzitutto. Basterebbe una volante nei pressi dei locali dove si organizzano le feste per costituire un deterrente. Se chi gestisce questi locali sapesse che c’è la polizia a due passi, forse ci penserebbe prima di vendere bottiglie di vodka ai quindicenni».

I gestori si difendono dicendo che a prenotare i cosiddetti tavoli sono ragazzi maggiorenni.
«C’è da credergli. Ma quando arrivano i componenti del tavolo non lo vedono che sono bambini? Lo vedono eccome, ma poco gliene importa: devono guadagnare e va bene così».

La chiusura dei locali a chi vende alcolici ai minorenni potrebbe rappresentare una soluzione?
«Secondo me l’unica possibile, insieme con multe salate. Se qualcuno chiudesse per tutta la stagione quel locale di Roccaraso dove la sera di Capodanno è successo quello che tutti sanno, potete essere sicuri che il titolare, l’anno prossimo, si regolerà diversamente. E questo vale per tutti».

Torniamo alle responsabilità dei genitori.
«Mai fare troppo gli amici, è il mio consiglio. I ruoli vanno rispettati altrimenti si crea confusione. E poi l’esempio è fondamentale. È chiaro che un ragazzino che vede la madre, o il padre, sempre con un bicchiere in mano, non riceve un buon esempio e il rischio emulazione è dietro l’angolo».

Lei che cosa si rimprovera?
«È una domanda che mi sono posto tante volte, ma Nicola era un ragazzo sano, studioso, sportivo e responsabile. Una sera, ricordo, chiamò la madre per dirle che lasciava l’auto e tornava in taxi: aveva bevuto un po’ e non voleva rischiare».

Un bravo ragazzo, insomma.
«La conferma, purtroppo, che i nostri giovani sono tutti a rischio».