Scopriamo i campi di concentramento in Abruzzo, tra torture e e deportazioni

27 gennaio 2020 | 10:30
Share0
Scopriamo i campi di concentramento in Abruzzo, tra torture e e deportazioni

TERAMO – A partire dal 1938 l’Italia divenne ufficialmente un paese antisemita e il pensiero prevalentemente era di considerare i neutralisti e, poi, gli antifascisti come pericolose categorie da estirpare dal tessuto sociale poiché d’ostacolo alla creazione dell’uomo nuovo vagheggiato dal fascismo, comportò l’assunzione di forme discriminatorie nei confronti di tutto ciò che era diverso o, comunque, percepito come potenziale minaccia.

In tal modo, si finì per avere anche una serie di istituti repressivi che, seppur differenti per finalità e genesi, trovarono la medesima applicazione per diverse categorie di persone, come dimostrano i numerosi campi di internamento sorti in Italia che, benché inizialmente previsti per la detenzione di sudditi nemici e prigionieri, finirono ben presto per accogliere oppositori politici ed ebrei, trasformandosi, per molti di costoro, nell’anticamera della deportazione in Germania.

L’Abruzzo a partire dal 1940 al 1944, per i luoghi impervi, la scarsa concentrazione abitativa, la minore politicizzazione degli abitanti, la scarsità delle vie di comunicazione, rappresentava una delle regioni, che, più delle altre, aveva tutti i requisiti richiesti dal Ministero dell’Interno per poter istituire campi di concentramento e località d’internamento.Nel corso della II guerra mondiale infatti, in Abruzzo saranno ben 15 i campi attivati e 59 le località d’internamento:

Casoli, il campo per gli ebrei; il campo di concentramento nell’asilo infantile “Principessa di Piemonte” a Chieti; il campo per gli italiani “pericolosi” di Istonio Marina (Vasto);  il campo di smistamento di Lama dei Peligni; il campo femminile di Lanciano, a Tollo il campo per i comunisti Jugoslavi; il campo di concentramento nella città fortezza di Civitella del Tronto; il campo di concentramento nella Badia Celestina di Corropoli;  i cinesi internati nella Basilica di S.Gabriele a Isola del Gran Sasso; il campo di concentramento di Nereto; il campo di concentramento di Notaresco; i campi di concentramento di Tortoreto Stazione (Alba Adriatica) e Tortoreto Alto; i rom internati nel campo di concentramento di Tossicia.

Il campo di concentramento di Corropoli venne istituito nel monastero dei frati Celestini denominato Badia, a circa un chilometro dal paese in contrada Colli.

Prima di essere attivato, poiché si trovava in uno stato di inabitabilità, subì vari lavori di adattamento, che si protrassero per quasi tutto il 1940; tanto che i primi internati vi vennero inviati, dal Ministero dell’Interno, solo all’inizio del 1941.

Il 3 marzo 1941 il campo di Corropoli contava 18 internati; nel corso dei mesi successivi ci furono nuovi arrivi, e il campo, nell’agosto del 1941, raggiunse le 64 presenze. Questi primi internati erano in maggioranza irredentisti slavi e comunisti italiani che, in seguito alla condanna del Tribunale Speciale dello Stato, erano già stati confinati in precedenza. Tra gli internati civili italiani, erano presenti anche delle donne che, dopo pochi giorni passati nel campo, vennero trasferite.

Nel febbraio 1942, un anonimo riferì alla Prefettura di Teramo, che gli internati di Corropoli godevano di troppa libertà. Dopo alcuni sopralluoghi della stessa Prefettura,  si giunse alla conclusione gli internati presenti a Corropoli essendo elementi prevalentemente sovversivi, dovevano essere tenuti a bada con “strumenti più efficaci”.

Da quel momento si registrarono maltrattamenti e torture di vario genere, che mai nessuno è riuscito a documentare fino in fondo, considerato che i campi di concentramento abruzzesi non erano noti all’epoca e successivamente come quelli di Auschwitz o Belzec.

Il campo di concentramento di Corropoli fu chiuso nel maggio del 1944 come la maggior parte dei restanti campi abruzzesi.