A Sorrento per la Caritas è stata fatta ‘a cosa justa
“Stanotte mio figlio dove va a dormire?“, don Carmine Giudici, parroco della Cattedrale di Sorrento, testimonia dal palco del Teatro Tasso, prima del concerto de “La Maschera“, il disagio sociale al quale la Caritas sorrentina ogni giorno cerca di dare una risposta concreta offrendo sia pasti caldi, sia un letto dove dormire a chi ne ha bisogno. Se non fossi partito dalla misericordia, quella che muove anche gli iscritti all’Arciconfraternita di Santa Monica sempre di Sorrento, il concerto tenutosi ieri sera sarebbe potuto passare come uno dei tanti ma non è stato così, e lo testimonia anche il sold out che gli organizzatori della società “Fade In” con Marco Mariconda hanno registrato: prova senza appello che a Sorrento la solidarietà è valore ancora coltivato. Ma veniamo a “La Maschera“, gruppo di giovani musicisti napoletani dal sound melodioso e accattivante introdotti sul palco dalla professoressa Mariella Nica e dal direttore artistico Franco Maresca, salutati dal Sindaco Avv. Giuseppe Cuomo e premiati con un’opera dell’artista sorrentino Toni Wolfe per l’impegno e i successi internazionali raccolti in questi ultimi anni. Abbiamo avuto modo di apprezzarli fin dagli esordi grazie a una felice intuizione di Giuseppe Prudente che definire talent scout sarebbe riduttivo, in quanto è certamente uno dei cardini della promozione della musica napoletana in giro per la penisola italica. Il primo singolo, registrato dalla band nel 2013 è stato Pullecenella, che in nuce contiene tutta la poetica che Roberto Colella, frontman della band, andrà a sviluppare negli album successivi, impreziosita sempre dal sound di Vincenzo Capasso (tromba), Antonio Gomez (basso), Marco Salvatore (il batterista, ieri sostituito da un ottimo Paolo Maurelli e supportato dalla gest star il maestro Michele Maione) e Alessandro Morlando (chitarra elettrica). “Pullecenella chiagne Pullecenella ride Pullecenella è stanco e nun ‘o dice // È cos’ ‘e niente je me ne vaco p’ ‘a strada mia Vieni cu mmé te port’ ‘int’ ‘o vicolo ‘e l’Allerìa“, versi che ci rivelano l’attaccamento alle proprie radici della band nella scelta della lingua napoletana per esprimere emozione e disagio, e l’amore per la tradizione nell’adozione dell’icona più rappresentativa della tradizione artistica e letteraria partenopea Pulcinella: “forward in tradition” dicono gli inglesi. Ma questo “avanti nella tradizione” per un napoletano è soprattutto anche un aprirsi agli altri. Non c’è niente di più lontano dal concetto di sovranismo nelle idee sviluppate e propagandate dalla cultura musicale partenopea e del mezzogiorno d’Italia in generale in questi ultimi anni e anche nel passato recente. Non fanno eccezione i ragazzi de “La Maschera” che con “Te vengo a cercà” accolgono e fanno propri i ritmi e i versi del senegalese Laye Ba rappresentante di un movimento musicale che da Youssou N’Dour a Ismael Lo non cessa di produrre capolavori di world music. La novità di ieri sera in questo viaggio intrapreso da Colella & C nella musica degli altri e nell’accoglienza dell’altro è però rappresentato dall’incontro con il sound portoghese, grazie a una dritta di Daniele Sepe. Vitorino Salomé Vieira, detto semplicemente “Vitorino“, classe ’42, a molti di noi italiani dice poco o nulla, in Portogallo è icona della musica folk e di quel Patrimonio Unesco che è il genere tradizionale dell‘Alentejo (letteralmente Oltre Tago), musicista poliedrico che a vent’anni emigra a Parigi con il sogno di diventare un pittore, e finisce a lavare i piatti nei ristoranti prima che un amico lo scopra cantante, e da allora per 35 anni racconterà l’amore, quello che è somma di mondi diversi del poeta Pessoa, e canzoni di impegno sociale. “Se tu és o meu amor” è la canzone che unisce a filo doppio la melodia del fado e quella de La Maschera. Vitorino, il Cante Alentejano, come lo chiama Saramago, insieme a Colella ci regalano una splendida poesia d’amore e di lotta, ci ricordano, ancora una volta con parole di Pessoa, che l’Arte esiste perché la vita non ci basta. “Chiesi al Sole che scalda il Mondo, il mio bene dove porterà/ Terra estranea nun è cucente/ vorrei andare un po’ più in là // Nella terra dove son nato, dove i campi son della gente e non ci sono padroni e schiavi me ne vac’ ‘e so’ già cuntent’!” Roberto Colella è nato a Villaricca che gli antichi chiamavano Panicocoli, dove si cuoce il pane, non ho idea se come fornaio sia bravo o meno, ma d’impasti poetici, musicali e soprattutto emotivi se ne intende, un vero talento.
di Luigi De Rosa