Io vado, madre. Se non torno, sarò fiore di questa montagna*
Le donne curde combattono l’Isis, la dittatura di Assad e la Turchia di Erdogan, per difendere la loro terra e la loro libertà. Fiere, indomite e coraggiose hanno scelto di darsi da fare con l’arma della scrittura e dell’arte. Una di loro è la pittrice Zehra Doğan, trentuno anni, rinchiusa per tre nelle carceri turche (fino al febbraio 2019). La sua colpa? Aver mostrato la violenza dell’esercito di Erdogan con una sua opera, una vignetta ispirata alla foto di un giornalista turco che mostrava la città di Nusaybin distrutta dall’esercito nazionale nel giugno 2016, nella vignetta i blindati turchi sono scorpioni che entrano trionfanti in città. Il disegno fu postato su Twitter e questo non piacque a Erdogan, che fece chiudere in carcere la ragazza curda. La prigionia però non ha fermato Zehra Doğan, che rinchiusa in cella, continuò a dipingere dove poteva, e usando come colori quello che aveva a disposizione. In questo modo sono state realizzate opere fatte su lenzuola, asciugamani, fogli di giornali e pacchetti vuoti, adoperando come colore soprattutto il caffè, che gli veniva dato una volta al giorno e, in alcuni casi, il sangue mestruale, come gesto estremo di protesta. Tutti i lavori di Zehra Doğan sono stati portati fuori dalle carceri dove è stata rinchiusa, da sua sorella che, rischiando a sua volta l’arresto, fingeva fossero panni sporchi da lavare. Le 60 opere realizzate Zehra Doğan nei tre anni di carcere, sono in esposizione fino al primo marzo 2020 a Brescia, al Museo di Santa Giulia. La mostra è curata da Elettra Stamboulis.
“Quando la terra scrisse i suoi diari, tutti i diari parlavano della libertà” Sherko Bekas (1940 – 2013)
a cura di Luigi De Rosa
- verso del poeta curdo Abdulla Goran (1904 – 1962)
info www.bresciatourism.it o
www.bresciamusei.com
(www.lepoint.fr – Zehra Dogan enfin libre ! di Valérie Marin La Meslée)