20/2/20 Carnevale a Napoli “Origini e tradizioni”.
La festa del Carnevale ha origini molto antiche e nella storia di Napoli ha sempre avuto una grande importanza. Nel diciottesimo secolo, infatti, il re Carlo di Borbone organizzava grandi festeggiamenti in tutta la città, molto attesi dal popolo e dalla nobiltà.
Il Carnevale, ha radici molto antiche, che si diramano un po’ ovunque e in modo simile. A Napoli il giorno di Sant’Antuono (Sant’Antonio Abate, 17 gennaio) segnava l’ingresso di Carnevale e in questa occasione si dava fuoco a cataste di roba vecchia.
Il marchese Giovan Battista del Tufo in una sua opera racconta che nel XVI secolo, il travestirsi era una festa esclusiva di nobili cavalieri, delle dame, duchesse e di tutta l’alta aristocrazia napoletana, che partecipava ai tornei, ai balli e ai ricevimenti pomposi della Corte Aragonese. Ma attorno al 1600 qualcosa iniziò a mutare: le mascherate avevano affascinato anche la plebe tanto da spingere pescatori, macellai, pescivendoli e contadini ad organizzare un Carnevale del popolo. Quindi il Carnevale antico di Napoli era caratterizzato da questa duplice faccia: una nobile, dei sovrani, delle autorità ecclesiastiche e l’altra popolana e più privata.
Il periodo più glorioso per il Carnevale fu con i Borbone, infatti veniva festeggiato con sfilate, mascherate, carri allegorici sfarzosi, addobbati in occasione della festa di Piedigrotta. Questi carri erano arricchiti con vivande, cibo, salumi e formaggi e spesso erano preda di violenti saccheggi da parte dell’affamato popolo napoletano. A Carnevale, si affiancava la “Vecchia ‘o carnevale”, dalle giovani e prorompenti curve, ma con il viso da anziana, che trasportava a cavalcioni o sulla gobba un piccolo Pulcinella.
Siccome il saccheggio dei carri provocava spesso dei gravissimi incidenti, nel 1746 re Carlo di Borbone stabilì che i carri–cuccagna, invece di attraversare le strade cittadine, dovevano essere allestiti nel largo di Palazzo e che fossero guardati a vista da truppe armate fino all’inizio dei festeggiamenti. I carri, durante i secoli XVII e XVIII, furono sostituiti dall’ “albero della Cuccagna” o “palo di sapone” che veniva reso scivoloso grazie al sapone, in modo da rendere più difficile l’arrampicata dei concorrenti per arrivare alle vivande poste in cima. Da qui trae origine anche l’espressione “cuccagna” inteso come “paese delle meraviglie, del piacere e delle delizie”. Il gioco era finalizzato all’“abbuffata“, che a Napoli era l’usanza da parte del popolo di saziarsi abbondantemente prima di iniziare il lungo digiuno quaresimale.
A poco a poco i festeggiamenti del Carnevale si ridussero a feste rionali. Su un carro troneggiava un grasso Carnevale, ornato dei soliti provoloni e prosciutti e al seguito sfilavano donne in lacrime per la sua pessima salute, recitando le infelici diagnosi dei medici dei tre rioni più popolari (il Mercato, il Pendino e il Porto) alle quali contrapponevano un generale e buon augurio di lunga vita: “E vuje ca l’avite visto st’anno/lu puzzate vedé ‘a ccà a cient’anne” (“e voi che l’avete visto quest’anno, lo possiate vedere da qui a cent’anni”). Interveniva quindi “‘O mast’ ‘e festa“ ( il maestro della festa) che andava in giro per le botteghe per racimolare qualcosa come rimborso delle spese sostenute.
Tra le maschere più accreditate tra il popolo erano il celebre Pulcinella, simbolo del Carnevale partenopeo ma anche della sua cultura, ricordiamo altre “mezze maschere” popolari come la già citata Vecchia del Carnevale, la Zeza, Don Nicola e Don Felice Sciosciammocca.
Alla Vecchia del Carnevale sono stati attribuiti numerosi significati allegorici, la parte deforme ed invecchiata del corpo rappresenta il tempo passato negativamente, l’inverno e la natura appassita, mentre la parte giovanile e prosperosa simboleggia la primavera, l’arrivo del nuovo anno ricco e fecondo. La Zeza, invece, è la moglie di Pulcinella, Lucrezia ed è un personaggio del teatro popolare napoletano, protagonista di una commedia molto antica diffusasi nel 1600 che racconta dell’amore contrastato tra la loro figlia Vincenzella e Don Nicola, uno studente di origine calabrese.
Oggi del Carnevale come veniva concepito dai nostri antenati rimane ben poco, anche se in Italia continua ad essere una festa molto sentita. Anche in cucina i napoletani non perdono occasione per esibire la propria ricca gastronomia, dalla lasagna al sanguinaccio (crema di cioccolata che una volta veniva fatta col sangue di maiale ed oggi vietata dalle norme sanitarie), dalle castagnole al migliaccio, per terminare con le famose e gustose “chiacchiere“.
Oggi, come in molte altre parti del mondo, anche a Napoli i bambini si travestono a Carnevale. E’ molto divertente camminare per le vie della città durante la settimana di Carnevale ed osservare i travestimenti mai banali dei bambini. I napoletani hanno grande fantasia ed i travestimenti dei piccoli sono spesso sorprendenti.
Ma nella settimana di Carnevale bisogna stare molto attenti anche agli scherzi degli “scugnizzi” napoletani. La regola è “a Carnevale ogni scherzo vale” ed i bambini si divertono a fare scherzi divertenti ed originali agli adulti. Non indossate i vostri abiti migliori, potreste sporcarvi!
Oggi il carnevale è una lettera minuscola, rispetto ai fasti di un tempo. Una festa nella quale resistono alcune tradizioni di stampo rionale, e che in Campania raggiunge picchi di successo lontano dalla nostra città. Cosa permane, allora, di tutto questo bagaglio irripetibile di tradizioni popolari e nobiliari? Poco o nulla!
I miei ricordi del Carnevale? Correva l’anno 1951, avevo tredici anni e con i miei amici facevamo scherzi ingenui; ritagliavamo un pezzo di stoffa nera a forma di pesce e lo coprivamo col gesso che prendevamo dalla lavagna di scuola. E sotto al portone dove abitavamo aspettavamo che passava qualche signora con cappotto scuro; lanciavamo il pezzo di stoffa ritagliato contro il cappotto della passante e questi lasciava l’impronta di gesso bianco. Oppure prendevamo una banconota da una lira la legavamo con un filo di nylon invisibile e la mettevamo a terra davanti al portone tenendo in mano l’altro capo del filo e quando qualche passante si chinava per raccogliere la banconota, noi la tiravamo verso di noi lasciando il passante a bocca asciutta. Negli anni a seguire correvano gli anni 1955/56, avevo 17/18 anni e iniziavo ad avere qualche fidanzatina. Andavamo a qualche ballo in maschera oppure in qualche Circolo Nautico che organizzava qualche festa in maschera o in abito da sera. Io indossavo lo smoking di mio padre e la mia ragazza un abito da sera della sorella o della mamma. Con la mia ragazza andavamo presso qualche Circolo e li ci divertivamo a ballare. I miei Carnevali terminarono con l’anno 1956 quando andai a studiare a New York e dopo due lauree e diplomi, feci domanda di assunzione al Dipartimento di Stato a Washington da cui fui assunto ed lì iniziò la mia carriera di giornalista ed altro.
Alcune notizie e foto tratte da Internet.
Alberto Del Grosso
Giornalista Garante dei Lettori
del giornale Positanonews