FLAVIO BUCCI LASCIA UN VUOTO PESANTE NEL MONDO DELL’ARTE DRAMMATICA…
Mi dispiace molto della scomparsa dell’attore Flavio Bucci, che da anni risiedeva a Passoscuro. Tutti lo ricordano in alcuni suoi ruoli memorabili in film altrettanto indimenticabili: penso a Il Marchese del Grillo, accanto a Sordi, a Suspiria del maestro del terrore Dario Argento, a Il divo di Paolo Sorrentino, solo per citarne alcuni. Un grande caratterista, di quelli che hanno fatto grande la cinematografia italiana. Esprimo le condoglianze mie e dell’Amministrazione ai familiari e amici”.
“Il vangelo secondo Mattei”, ecco una clip del film con Flavio Bucci
Nato a Torino nel 1947 da una famiglia molisano-pugliese originaria di Casacalenda, in provincia di Campobasso, e di Orta Nova in provincia di Foggia, si è formato presso la Scuola del Teatro Stabile di Torino fino a quella grande chiamata che capita una sola volta nella vita: Elio Petri lo sceglie come protagonista del suo La proprietà non è più un furto nel 1973. “Nel lavoro c’è un posto di rigore per un maestro come Petri e per vari registi, tra cui Mattolini”, raccontava a La Repubblica, “se ci penso, la vita me la sono goduta, e mi piace ancora. Le pare poco? Se faccio un esame di coscienza, ho commesso tanti errori e stupidaggini, ma niente è accaduto invano collezionando la bellezza degli incontri, l’umanità in generale, e m’è andata bene perché non sono mai stato perfetto ma l’attività artistica m’ha stimolato a lungo la fantasia, e grazie alla professione mi sono identificato in più vite, ho avuto il cervello continuamente in moto, conoscendo un destino non normale, sublime, appagante”.
Come spesso accade, è il piccolo schermo a dargli la notorietà: con la sua indimenticabile interpretazione del pittore Ligabue, nello sceneggiato televisivo diretto da Salvatore Nocita nel 1977, con il quale tornerà a lavorare ne I promessi sposi nel 1989 tutta l’Italia ha modo di apprezzarne le qualità di un grande trasformista. Sempre per il piccolo schermo, ha recitato anche ne La piovra (1984) di Damiano Damiani e in L’avvocato Guerrieri – Ad occhi chiusi (2008) di Alberto Sironi mentre diede la voce a uno dei personaggi più iconici del cinema, il Tony Manero-John Travolta ne La febbre del sabato sera.
Dopo aver lavorato con Giuliano Montaldo nei film L’Agnese va a morire (1976) e Il giorno prima (1987), i suoi ruoli per i grande schermo restano legati a quelli di grande caratterista: in primis il prete Don Bastiano in Il marchese del Grillo di Mario Monicelli (1981) che, prima di essere impiccato, sul patibolo, mette insieme uno dei discorsi più potenti e divertenti del cinema: “Adesso, pure io posso perdonare chi mi ha fatto male: in primis, al Papa, che si crede il padrone del cielo, in secundis, a Napulioune, che si crede il padrone della Terra, e per ultimo al boia, qua, che si crede il padrone della morte, ma soprattutto, posso perdonare a voi, figli miei, che non siete padroni di un ca**o!”. Seguirono, nel 1985, Tex e il signore degli abissi, Secondo Ponzio Pilato nel 1987, Teste rasate nel 1993, Il silenzio dell’allodola nel 2005 e Il divo di Paolo Sorrentino nel 2008.
Parallelamente a quella cinematografica e televisiva, Bucci porta avanti una fervida carriera teatrale, sempre di primo piano: Opinioni di un clown di Heinrich Böll; Le memorie di un pazzo; Uno, nessuno e centomila; Il fu Mattia Pascal e Chi ha paura di Virginia Woolf? e Riccardo III.
Con due matrimoni finiti e tre figli, che nel 2019 era tornato nel suo paese d’origine accolto dall’amministrazione comunale che gli conferì la cittadinanza onoraria, la vita di Bucci fu molto tortuosa: la notorietà lo portò a tanti di quegli eccessi da ridurlo in povertà. In una intervista raccontava, senza inibizioni, la vita dissoluta condotta da quando iniziò ad avere successo: “In teatro guadagnavo anche due milioni al giorno. Per fortuna ho speso tutto in donne, manco tanto, che me la davano gratis, vodka e cocaina. Scarpe e cravatte che non mettevo mai. Mi sparavo cinque grammi di coca al giorno, solo di polvere avrò bruciato sette miliardi. L’alcol mi ha distrutto? Mah, ha mai provato a ubriacarsi? È bellissimo. E poi cos’è che fa bene? Lavorare dalla mattina alla sera per arricchire qualcuno? Non sono stato un buon padre, lo so. Ma la vita è una somma di errori, di gioie e di piaceri, non mi pento di niente, ho amato, ho riso, ho vissuto, vi pare poco? Non è stato facile starmi vicino, alcuni hanno resistito e altri meno, si vede che era il mio destino. Io sono come sono. Non mi voglio assolvere da solo e non voglio nemmeno andare in Paradiso”. Ironicamente, un epilogo dissacrante quasi come quello recitato da Don Bastiano nel suo discorso finale.
Fonte “La Repubblica”