Da Positano al Canada. Enzo e Florence si incontrano dopo 20 anni per scrivere un fumetto
I ricordi sono il senso della vita, trasformano in storie, da aggiungere all’infinita storia dell’uomo, anche il transito di esistenze apparentemente insignificanti. Ma i ricordi svaporano: la vecchiaia ci assale, spesso impietosa. E c’è qualcosa di più temibile della demenza senile: l’alzheimer dell’era di internet, i ricordi corrosi e divorati in pochi attimi. Sbiadiscono così e si perdono anche le tracce della memoria collettiva travolte da presenti senza futuro, rimozioni, paure. Narcotizzati da internet, costretti a un oblio forzato che azzera la coscienza, il buio dentro che ci divora.
Affascinante l’operazione, riportata dal quotidiano de Il Mattino, compiuta dal salernitano Enzo Lauria: illustratore, sceneggiatore, autore di corti di animazione, insieme all’amica canadese Florence Bolté, sceneggiatrice e autrice di film di animazione e di libri per l’infanzia. Si sono conosciuti vent’anni fa al Cartoon on the Bay di Positano dove lei faceva un master con il marito André Leduc, non si sono mai persi di vista e si sono recentemente ritrovati, durante una vacanza in Spagna. «Con Florence, fondatrice della casa editrice «Piroulì» nel Québec – confida Lauria – abbiamo deciso di realizzare un graphicnovel sulla sua famiglia». È nato «Megan», una novella illustrata dallo struggente sapore di fiaba e dalla semplicità incisiva (da acquistare su Amazon per ora), una splendida storia di umanità per i giovani – come sottolineano i due autori «da 0 a cento anni e più».
Sessantasette pagine che «galoppano come i cavallini di una giostra», proprio come il vortice dei racconti che l’ancora effervescente Megan, dall’alto dei suoi cent’anni vissuti a tutto ritmo, snocciola al bisnipotino Pierrot. Tra il bambino e l’anziana si instaura un legame intenso, un innesto di emozioni che piantano nell’anima ricordi che si fanno identità da trasmettere. C’è complicità tra il ragazzino curioso e quell’anziana ancora attraente con i suoi capelli biancoazzurri legati a coda di cavallo e i grandi occhi verdi, che beve sorbetti e ascolta la Carmen di Bizet sull’elegante poltrona a dondolo liberty affacciata sul giardino profumato di nasturzi. C’è complicità, sì. Malgrado il terzo protagonista, sempre presente ma il cui nome non viene mai pronunciato: l’alzheimer «Pierrot – spiegano Lauria e Bolté – va a trovare ogni settimana Megan, la sua bisavola di origine creola, una donna che ha molto vissuto e molto amato. Da questo affettuoso e tenero scambio tra generazioni molto lontane, sotto i nostri occhi sfilano frammenti di vita». Una vita più che avventurosa. Scorrono epoche e immagini. Tra divertimento e riflessione, sulla scia della dedica che Boltè fa ai suoi antenati – «a chi prima o poi è emigrato» – e che risuona come un monito per noi, perché come in tutte le fiabe che si rispettano c’è una morale: non esiste il diverso, siamo tutti meticci, felice miscuglio di etnie e culture. Il nostro viaggio con Megan parte da Giava, nel 1883: qui conosciamo il suo futuro papà, Portalis, scienziato costretto alla fuga dal terribile cataclisma del Krakatoa. Approderà ad Haiti, la perla delle Antille, dove si innamorerà di Julia. Ecco Megan con le sue sorelle, eccola bambina a Carnevale travestita da dinosauro, tigre, elefante o cucciolo di leone e poi quindicenne al lido con i suoi coetanei, le serate danzanti e il colpo di fulmine per un pilota di aerei. Eccoli volare nei cieli col paracadute sognando di atterrare in selvagge savane. Non sposerà il suo Jules, troppo trasgressivo ma il rigido Georges imposto dai genitori; nasceranno quattro figli, lei lo lascerà per noia, desiderosa di volare ancora con la fantasia. E, complice gli acquerelli, soffici come una nuvola di Lauria ed il suo tratto onirico tra Chagall e Fellini, voliamo anche noi con Megan e Pierrot verso luoghi lontani ed esotici.