UK fuori dalla UE: le conseguenze

1 febbraio 2020 | 10:37
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Londra, 1 Febbraio 2020 – Dopo mille rinvii e bocciature, è arrivato il Brexit Day. A partire da oggi, l’Ue è più piccola: ha 66 milioni di cittadini in meno, passando così a 446 milioni, così come l’Europarlamento, che perde 73 deputati. A perdere pezzi sono soprattutto i partiti che a maggio si resero protagonisti dell’exploit: i liberali di Renew Europe e i Verdi. Gli unici a beneficiare dell’addio dei britannici sono soprattutto i Popolari (che otterranno 5 parlamentari) e i sovranisti di Identità e Democrazia con tre deputati. Tra gli italiani, entreranno Salvatore De Meo (Forza Italia), Sergio Berlato (Fratelli d’Italia) e Vincenzo Sofo (Lega). Inoltre la UE perderà il 5,5% della porzione del territorio.

LE ISTITUZIONI – Si stima che nel Regno Unito risiedano oggi 3,6 milioni di cittadini di Paesi Ue, inclusi quasi 400mila italiani registrati all’anagrafe consolare (oltre 700mila calcolando a spanne anche i non registrati). Mentre i britannici sparsi per il continente sono indicati in 1,2 milioni. In base dell’accordo di divorzio, tutti gli espatriati registrati come residenti già oggi o durante la fase di transizione e fino al 30 giugno 2021, manterranno – da una parte e dall’altra – i diritti odierni nei rispettivi Paesi di accoglienza: quasi come se la Brexit per loro non ci fosse. Le cose cambieranno tuttavia per gli ingressi successivi, con lo stop alla libertà di movimento nel 2021 e l’introduzione di nuove regole secondo un regime d’immigrazione che in Gran Bretagna significherà sostanziale equiparazione fra europei ed extracomunitari, passaporti obbligatori e non più carta d’identità per entrare, norme più stringenti per restare a lavorare, visti (per quanto facilitati) per i turisti.

PASSAPORTI E VISTI – Per tutto il 2020 non cambierà nulla. I turisti italiani che intendono visitare il Regno Unito (milioni ogni anno) potranno farlo senza alcun problema, carta d’identità alla mano. Per i prossimi 11 mesi non serviranno dunque
né passaporto, né visto. Dal 2021 invece il Regno Unito sarà a tutti gli effetti un Paese extracomunitario, alla stregua di Usa o Giappone. Chi vorrà andare in Gran Bretagna dovrà dotarsi di passaporto. Non solo, sarà necessario avere anche un visto turistico che si potrà richiedere online fino a tre giorni prima della partenza.

IL LAVORO – Le autorità britanniche negano “espulsioni”, ma è stata istituita una piattaforma online, Settlement Scheme, a cui i lavoratori stranieri sono tenuti ad iscriversi per mantenere la residenza. L’80% delle richieste di residenza ha ottenuto l’ok. Resta però un 20% di esclusi, di cui non è chiaro il destino. Per chi intende trasferirsi in Gran Bretagna, la prospettiva è ancora più grigia. Mentre la legge inglese non prevede limiti per chi ha uno stipendio di almeno 30mila euro l’anno, è probabile che diventerà molto più difficile l’ingresso per i non specializzati.

SANITA’ – Chi risiede a Londra e dintorni da più di 5 anni avrà diritto al Settle Status, vale a dire alla residenza permanente, che garantisce l’accesso alla sanità pubblica e alla sicurezza sociale. Chi invece vive nel Regno Unito da meno tempo riceverà un permesso temporaneo.

UNIVERSITA’ – Dopo il 2020, a meno di futuri accordi, gli studenti italiani (ed europei) diventeranno extracomunitari e potrebbero dunque veder lievitare le tasse da pagare all’Università. L’importo potrebbe salire da circa 9 mila sterline l’anno a 10 mila e fino a 38mila per le specializzazioni più elevate.

ERASMUS – L’intenzione è quella di confermarlo anche oltre il 2020, ma tutto dipenderà dalle intese che saranno negoziate per i prossimi mesi. Per quest’anno comunque non cambia nulla: chi ha già in programma di andare a studiare nel Regno Unito potrà farlo senza problemi.

ESPORTAZIONI – L’import dall’Italia è di 3,4 miliardi, di cui circa il 30% è costituito da prodotti a indicazione geografica protetta. Senza un accordo commerciale tra Ue e Gran Bretagna i prodotti provenienti dall’Unione europea dovranno passare una dogana e pagare dazi potenzialmente elevati.

IL NEGOZIATO BIS – Esaurite le trattative sulla separazione, il team negoziale europeo di Michel Barnier dovrà nei prossimi mesi discutere le relazioni future a passo di carica con la nuova task force di Downing Street guidata da David Frost. I colloqui entreranno nel vivo a marzo, ma Barnier già prevede un calendario fitto d’incontri continui. In ballo c’è, in primis, il dossier dei rapporti commerciali. Johnson punta a un trattato di libero scambio con i 27, a “zero dazi e zero quote”; ma i tempi sono stretti, i dettagli tecnici complessi, gli ostacoli e i potenziali conflitti numerosi.

I cittadini dell’Ue e del Regno Unito, però, non percepiranno subito il cambiamento, perché il periodo di transizione durerà almeno 11 mesi, fino alla fine di quest’anno.