3 MARZO 1944 BALVANO

2 marzo 2020 | 17:59
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Il 3 marzo 1944 la tragedia ferroviaria  di Balvano, anche la penisola sorrentina ricorda i suoi morti , in totale furono forse 626, come riporta wikipedia . Il comune di Meta, nel 2009, con una lapide commemorò i morti della Penisola Sorrentina, della tragedia di Balvano.La Lapide è posizionata non a caso nell’aiuola di fronte al Parco San Francesco, proprio sul tunnel della ferrovia.

Il comune di Piano di Sorrento pone una lapide in cristallo il 2005, posizionata nel cimitero.

Betti Edmondo, 35 anni, di Sorrento

Gargiulo Salvatore, 34 anni, di Sorrento

Ioviero Pasquale, di Piana di Sorrento

Luna Salvatore, 38 anni, di Sorrento

Russo Mario, 21 anni, di Piano di Sorrento

Parlato Caterina, 53 anni, di Vico Equense

Martorelli Antonino, 16 anni, di Sant’Agnello

Anna Orbino Meta 

«Nella galleria delle Armi, situata tra le stazioni di Balvano e di Bella-Muro Lucano, morirono asfissiate dai gas venefici prodotti dal treno più di 600 poveri disperati viaggiatori clandestini (anche se “stranamente” molti di loro avevano idoneo titolo di viaggio), provenienti soprattutto dai grossi centri del napoletano, che avevano preso il treno merci 8017, di responsabilità Alleata, solo per fame, per tentare di raggiungere terre dove poter racimolare cibo per se stessi e per le proprie famiglie». Era il 3 Marzo 1944.

Le cause della tragedia

Le cause della tragedia furono molteplici: mancando un efficiente drenaggio dei fumi, all’apertura della bocca di lupo del forno i gas ritornavano in cabina, intossicando il personale e rendendo difficile la regolazione del forno, una situazione che poteva causare improvvisi cali di pressione alla caldaia. A questo si aggiunse la mancata vigilanza delle autorità competenti che avevano permesso il sovraccarico del treno e la presenza a bordo di viaggiatori clandestini. Inoltre, per una serie di cause contingenti, il treno era stato composto con due locomotive in testa, invece che con una in testa e una in coda come nelle composizioni tipiche.

Una tragedia che si poteva evitare

Anche solo aver posto le locomotive separate, avrebbe potuto contribuire ad evitare la tragedia. «La responsabilità della tragedia venne imputata alla scarsa qualità del carbone fornito dal Comando Militare Alleato – spiegano ancora Sica e Aprea – Questo carbone, di qualità nettamente inferiore a quello usato in precedenza, conteneva molto zolfo e ceneri, che rendevano poco affidabile il tiraggio dei fumi ostruendo le tubature della caldaia». In realtà «a questi morti non fu data degna sepoltura ma, dietro ordine degli Alleati, furono scaricati in una fossa comune.

Nessun responsabile

Questa tragedia non ha avuto ufficialmente responsabili ed è rimasta totalmente impunita, le forze Alleate hanno fatto in modo da insabbiare e liquidare tutto come una tragica fatalità, nonostante approfondite indagini».

Anche Castellammare di Stabia ha avuto le sue vittime.

Sica e Aprea : «L’unica giustizia che queste vittime possono avere è quella della memoria. E’ d’obbligo ricordare queste vittime e soprattutto le 27 vittime di Castellammare, persone semplici vittime della fame. Come FdI proponiamo che venga affissa una targa commemorativa all’interno o all’esterno della stazione ferroviaria di Castellammare di Stabia».

Sotto i morti della Costiera amalfitana. Da Maiori a Minori e Agerola sui Monti Lattari.

Luigi Iaccarino: ” A Piano, quando fui Sindaco ( 2001-2006) nel nostro Cimitero fu posta una lapide per i nostri Concittadini che persero la vita nella suddetta tragedia di Balvano. Ci fu un momento di qualificante ricordo al Comune con esperti e studiosi e poi la conclusione del tutto avvenne con doveroso raccoglimento proprio al Cimitero”

A 76 anni dalla tragedia, Agerola ricorda con una commemorazione e deposizione di alloro in Largo Vittime di Balvano.

Agerola, commemorazione del Disastro di Balvano

https://www.facebook.com/raistoria/videos/10155568173627565/

La storia di questa immane tragedia con circa 500 morti è raccontata su Wikipedia:

Disastro di Balvano
Incidente ferroviario

Vittime del disastro ammassate sul marciapiede della stazione di Balvano

TipoAvvelenamento da monossido di carbonio
Data3 marzo 1944
00:50 – 01:20 (UTC+1)
LuogoGalleria delle Armi
InfrastrutturaFerrovia Battipaglia-Potenza-Metaponto
StatoItaliaItalia
ProvinciaPotenzaPotenza
ComuneBalvano
Coordinate40°40′09.4″N15°30′06.77″ECoordinate40°40′09.4″N15°30′06.77″E (Mappa)
Mezzo coinvoltoTreno merci speciale 8017
Conseguenze
Morti517
Feriti90
Mappa di localizzazione

Mappa di localizzazione: Basilicata

Il disastro di Balvano fu un incidente ferroviario avvenuto il 3 marzo 1944 nella galleria “Delle Armi” nei pressi della stazione di Balvano-Ricigliano, in provincia di Potenza. È anche conosciuto come “Sciagura del treno 8017” dal numero del convoglio coinvolto. Secondo i dati forniti dal Consiglio dei ministri, la tragedia provocò 517 morti, benché le stime siano tuttora oggetto di discussione e il numero potrebbe essere maggiore, arrivando a oltre 600 vittime. Il disastro di Balvano è il più grave incidente ferroviario per numero di vittime accaduto in Italia e uno dei più gravi disastri ferroviari della storia.[1]

Storia

Nel primo pomeriggio del 2 marzo 1944, il treno merci 8017, partì da Napoli con destinazione Potenza. Nella stazione di Salerno, la locomotiva elettrica E 626 fu sostituita da due locomotive a vapore poste in testa al treno, per poter percorrere il tratto che all’epoca (e fino al 1994) non era elettrificato. Il treno arrivò nella stazione di Battipaglia poco dopo le 6 del pomeriggio.

Alle 19:00, il treno 8017 partì dalla stazione di Battipaglia, in direzione di Potenza, trainato dalle due locomotive a vapore FS476.058[2] e 480.016 assegnate al deposito di Salerno. Era composto da 47 carri merci[3] e aveva la ragguardevole massa di 520 t.

In origine non era prevista la seconda locomotiva, ma la necessità di spostare la 480 da Battipaglia a Potenza spinse ad aggiungerla in testa al treno per rendere più facile il duro valico tra Baragiano e Tito. Come tutte le locomotive delle Ferrovie dello Stato dell’epoca, entrambe le macchine avevano la cabina aperta e un equipaggio di due persone: un fuochista per spalare il carbone e un macchinista per la conduzione.

Sul treno salirono centinaia di viaggiatori clandestini provenienti soprattutto dai grossi centri del napoletano, stremati dalla guerra, che nei paesi di montagna lucani speravano di poter acquistare derrate alimentari in cambio di sigari e caffè distribuiti dagli statunitensi. Sul treno erano presenti anche alcuni ragazzi. Il carico di persone influiva notevolmente sul peso del treno, portandolo a superare le 600 tonnellate.[senza fonte] Alla stazione di Eboli alcuni abusivi vennero fatti scendere, ma più numerosi ne salirono alle stazioni successive, fino ad arrivare a un numero di circa 600 passeggeri.

Il treno arrivò circa a mezzanotte alla stazione di Balvano-Ricigliano, dove registrò 37 minuti di ritardo per manutenzione alle locomotive. Da lì, alle 0:50 del 3 marzo, ripartì per un tratto in notevole pendenza con numerose gallerie molto strette e poco aerate. Sarebbe dovuto arrivare venti minuti dopo alla stazione successiva, Bella-Muro, ma alle 2:40 non era ancora stato segnalato.

Nella galleria “delle Armi”, a causa dell’eccessiva umidità, le ruote cominciarono a slittare e la perdita dell’aderenza rallentò il treno fino a fermarlo all’interno della galleria. La galleria è situata tra le stazioni di Balvano e di BellaMuro Lucano, e si estende per 1.968,26 metri con una pendenza media del 12,8‰ (0,73° di inclinazione) e punte del 13‰. Il treno si fermò a 800 metri dall’ingresso, con i soli due ultimi vagoni fuori.

La galleria, dotata di scarsa aerazione, presentava già una significativa concentrazione di gas monossido di carbonio a causa del passaggio poco prima di un’altra locomotiva. Gli sforzi delle locomotive per riprendere la marcia svilupparono a loro volta grandi quantità di monossido di carbonio, facendo presto perdere i sensi al personale di macchina. In poco tempo anche la maggioranza dei passeggeri, che in quel momento stava dormendo, venne asfissiata dai gas tossici che, in assenza di vento, potevano uscire dalla strettissima galleria solo tramite il piccolo condotto di aerazione.

L’unico fuochista che sopravvisse, Luigi Ronga, dichiarò che il macchinista suo compagno – Espedito Senatore – che guidava la locomotiva di testa tipo Gr.480 prima di svenire tentò di dare potenza per superare lo stallo e cercare di uscire dalla galleria. Invece le condizioni della seconda macchina 476.058 indicano che il suo personale, il macchinista Matteo Gigliano e il fuochista Rosario Barbaro, tentarono di invertire la marcia per retrocedere. In questo modo nel momento critico i due macchinisti agirono in modo opposto, il primo per cercare di avanzare e il secondo per cercare di tornare indietro. In realtà la potenza erogata dalla locomotiva 476.058 e l’inclinazione avrebbero forse permesso di sopravanzare la macchina tipo Gr.480, ma il macchinista perse i sensi prima di aprire completamente la valvola di regolazione, particolarmente dura su quelle macchine. La posizione dei treni e dei comandi confermò in seguito questo racconto.

Essendo le locomotive Gr. 476 di costruzione austriaca, previste per circolare su linee con segnali a destra e con i comandi di guida su quel lato (diversamente dalle locomotive italiane) i due uomini non poterono incrociare gli sguardi né comunicare rapidamente durante i minuti critici e prima di essere sopraffatti dai gas. Inoltre, a complicare la situazione e a rendere del tutto inamovibile il treno, accadde che il frenatore del carro di coda Giuseppe De Venuto, che insieme al penultimo carro erano gli unici rimasti fuori dalla galleria, e il manovratore dell’ultimo vagone, rimasto fuori dalla galleria, quando constatarono che il treno stava iniziando a retrocedere nella salita applicarono il regolamento che gli imponeva di manovrare il freno manuale per bloccare la marcia.

De Venuto si salvò, insieme al fuochista della locomotiva di testa, e riuscì, camminando lungo i binari, ad avvisare alle ore 5:10 il capostazione di Balvano che nella galleria era presente un treno con numerosi cadaveri a bordo. Il capostazione di Balvano, alle 5:25, fece sganciare la locomotiva del treno 8025, giunto in stazione e in attesa della via libera, e dispose una ricognizione alla galleria indicata.

Ai soccorsi arrivati sul posto la situazione apparve subito molto grave, al punto da non poter rimuovere il convoglio a causa dei corpi abbandonati anche sulla banchina. Furono loro a soccorrere una novantina di superstiti nelle vetture più arretrate, tutti recanti forti sintomi di intossicazione da monossido di carbonio. Con l’arrivo di una seconda squadra di soccorso, alle ore 8:40 venne liberata la linea e il treno finalmente recuperato.

Cause

Le cause della tragedia furono molteplici: la giornata era poco ventosa, per cui la galleria non godeva della normale ventilazione naturale, e l’umidità della foschia notturna aveva bagnato i binari, rendendoli scivolosi e ardui da percorrere per un treno così pesante. A questi si affiancava la mancata vigilanza delle autorità competenti, che avevano improvvidamente tollerato il sovraccarico del treno e la presenza a bordo di viaggiatori clandestini.

Inoltre, per una serie di cause concorrenti, il treno era stato composto con due locomotive in testa, invece che con una in testa e una in coda come nelle composizioni tipiche. Essendo rimasti fuori dalla galleria gli ultimi due vagoni, aver posto le locomotive separatamente una in testa e una in coda avrebbe potuto contribuire a evitare la tragedia dal momento che la quantità di gas di monossido di carbonio sarebbe potuta essere decisamente minore.

Soprattutto però la responsabilità della tragedia venne imputata alla scarsa qualità del carbone fornito dal Comando Militare Alleato. Questo carbone, di qualità nettamente inferiore a quello tedesco usato in precedenza, conteneva molto zolfo, che genera il solfuro di carbonile quando brucia in forte difetto d’aria e in presenza dell’ossido di carbonio.

Mancando un efficiente drenaggio dei fumi, all’apertura della bocca di lupo del forno, i gas ritornavano in cabina, intossicando il personale e rendendo difficile la regolazione del forno, una situazione che poteva causare improvvisi cali di pressione alla caldaia. Senza uno stretto controllo dell’alimentazione, la capacità di trazione scadeva notevolmente, fino a far fermare la macchina in salita e a rendere impossibile la compensazione dello slittamento sulle rotaie.

Bilancio

«Nessuna Spoon River dei poveri ha mai raccontato le loro storie.»
(Antonio Manzo, su Il Mattino, 29 febbraio 2004)

Il bilancio della tragedia è ancora oggi impossibile da accertare e oggetto di controversie: quello ufficiale parlava di 501 passeggeri, 8 militari e di 7 ferrovieri morti, ma, alcune ipotesi arrivano a considerarne oltre 600. Molte vittime tra i passeggeri non vennero riconosciute. Furono tutti allineati sulla banchina della stazione di Balvano e poi sepolti senza funerali nel cimitero del paesino, in quattro fosse comuni. Gli agenti ferroviari invece vennero sepolti a Salerno. Molti dei sopravvissuti riportarono lesioni psichiche e neurologiche.

Numero delle vittime secondo diverse fonti[4]:

  • 626 vittime secondo il volume “Balvano 1944 – Indagine su un disastro rimosso”
  • 402 persone, di cui 324 uomini e 78 donne sepolti nelle fosse comuni a Balvano
  • 427 vittime secondo il processo[5]
  • 500 vittime secondo i quotidiani La Stampa, il Corriere della Sera e Il Giornale d’Italia
  • 509 vittime, di cui 408 uomini e 101 donne secondo la lapide del cimitero di Balvano
  • 509 vittime secondo il quotidiano La Gazzetta del Mezzogiorno
  • 517 vittime totali secondo il bilancio ufficiale del verbale del Consiglio dei ministri[6]
  • 549 vittime, di cui 472 uomini e 77 donne secondo il quindicinale potentino Il Gazzettino

Elenco vittime per città, tratto dal libro di Patrizia Reso “Senza ritorno. Balvano ’44, le vittime del treno della speranza.“:

Precedenti

Un mese prima, in una galleria sulla tratta BaragianoTito, immediatamente successiva a quella della tragedia e con pendenze superiori al 22‰, un treno dell’autorità militare statunitense aveva subito un incidente simile, dove il personale era rimasto intossicato dai gas di scarico del carbone di scarsa qualità. Il macchinista Vincenzo Abbate era svenuto ed era rimasto schiacciato tra la motrice e il tender.

Per ridurre l’eventualità di questi incidenti, riducendo gli sforzi e le emissioni delle macchine, era stato disposto il limite di 350 tonnellate per questa tratta, e l’utilizzo di locomotori diesel-elettrici americani nei casi di doppia trazione, con eventualmente una locomotiva a vapore italiana posta in coda e invertita per scaricare con il fumaiolo in coda. Venne stabilito a Battipaglia il punto di applicazione di queste normative, per evitare di dover compiere operazioni di separazione sulla linea montana. Questi limiti rimasero per molto tempo in vigore, fino al 1996, quando la linea Battipaglia-Metaponto venne tutta elettrificata.

Inoltre, nell’uscita sud della galleria “Delle Armi”, fu istituito un posto di guardia in cui l’operatore a ogni passaggio di treno doveva avvertire telefonicamente la stazione di Balvano quando poteva vedere la luce in fondo, segno che nella galleria non vi erano più gas di scarico. Queste disposizioni rimasero in vigore fino al 1959, quando su questa linea vennero vietate le locomotive a vapore.

Responsabilità

La commissione parlamentare non rilevò alcuna responsabilità per l’accaduto, che venne ritenuto una sciagura per cause di forza maggiore. Tuttavia vennero avanzate ipotesi per alcune infrazioni secondarie. Il treno avrebbe dovuto essere fermato a Battipaglia nonostante le due locomotive fossero nominalmente sufficienti al traino, e avrebbe dovuto essere messo in regola con le nuove normative; era noto inoltre che il carbone fornito non era in grado di sviluppare sufficiente potenza per mantenere le massime prestazioni delle macchine.

Vennero sollevati dubbi sulla tempestività dei soccorsi e sull’operato dei capistazione di Balvano e Bella-Muro, che non accertarono subito la posizione del treno quando questo apparve in ritardo sulla tabella di marcia. Tuttavia nella confusione postbellica era normale che le comunicazioni fossero intermittenti, e i treni portassero grande ritardo. Non era raro che ci volessero oltre due ore per percorrere i 7 km della tratta. Inizialmente venne anche supposto che i macchinisti non avessero adeguatamente regolato le sabbiere, che avrebbero potuto evitare lo slittamento delle ruote.

Infine la catastrofe venne attribuita principalmente a[7]:

«una combinazione di cause materiali, quali densa nebbia, foschia atmosferica, mancanza completa di vento, che non ha mantenuto la naturale ventilazione della galleria, rotaie umide, ecc., cause che malauguratamente si sono presentate tutte insieme e in rapida successione. Il treno si è fermato a causa del fatto che scivolava sulle rotaie e il personale delle macchine era stato sopraffatto dall’avvelenamento prodotto dal gas, prima che avesse potuto agire per condurre il treno fuori del tunnel. A causa della presenza dell’acido carbonico, straordinariamente velenoso, si è prodotto l’avvelenamento dei passeggeri clandestini. L’azione di questo gas è così rapida, che la tragedia è avvenuta prima che alcun soccorso dall’esterno potesse essere portato.»

Venne notato che le disposizioni per la costituzione del treno venivano direttamente dal Comando Alleato, e che comunque il personale di stazione e viaggiante non avrebbe potuto fermare il treno e chiederne la modifica. Lo stesso comando organizzò un treno per verificare le condizioni dell’incidente, con il personale dotato di maschere ad ossigeno, che rilevò l’effettivo sviluppo di quantità anomale di gas tossici.

Molti dei parenti delle vittime intentarono causa alle Ferrovie dello Stato, che declinarono ogni responsabilità, sostenendo che su quel treno non avrebbero potuto trovarsi passeggeri di alcun tipo e che, a causa della complicata situazione dell’equilibrio dei poteri tra le amministrazioni italiane e il comando statunitense, non era immediato nemmeno risalire a chi avesse la responsabilità della gestione di quella particolare tratta. Tuttavia, non bisogna dimenticare che in quel periodo, tra Napoli e Potenza, esisteva solo una relazione per viaggiatori, il treno 8021, che partiva dal capoluogo campano due volte alla settimana, il mercoledì e il sabato. Per spegnere sul nascere una vertenza che avrebbe potuto trascinarsi per anni, il Ministero del tesoro sancì l’emissione di un risarcimento come se si trattasse di vittime di guerra (risarcimento che venne erogato dopo oltre 15 anni).

Peraltro, alcune fonti[8] indicano che molti dei passeggeri a bordo del treno fossero in possesso di un regolare biglietto ferroviario, che li qualificava quindi come passeggeri e non come clandestini.[Secondo chi? Come giustamente fatto notare più avanti, era un treno merci, biglietto o meno non poteva avere passeggeri] Questa eventuale condizione, che implica la possibilità di richiedere cospicui risarcimenti all’ente che gestisce la linea, sarebbe stata fatta passare sotto silenzio durante le inchieste ufficiali sulla tragedia. In ogni caso, le fonti ufficiali fanno riferimento a coloro che si trovavano sul treno, eccetto il personale ferroviario, solo con il termine di “clandestini”. Questa posizione è supportata dal fatto che il treno era classificato come “merci” e quindi non autorizzato al trasporto di passeggeri paganti. La questione non risulta essere mai stata chiarita in modo definitivo.

Commemorazione

  • Il comune di Meta di Sorrento ha dedicato una lapide ai caduti a Balvano che risiedevano nella costiera sorrentina.
  • Il comune di Sant’Egidio del Monte Albino ha istituito il giorno 3 marzo Giorno della memoria cittadina e ha dedicato una lapide alle 14 vittime santegidiane del disastro.
  • Nel 1972 Salvatore Avventurato, figlio e fratello di due vittime, fece costruire una cappella nel cimitero di Balvano, per ricordare le vittime della tragedia.
  • Il comune di Vietri sul Mare ha dedicato un pannello in ceramica ai caduti alla sciagura del treno 8017 di Balvano.
  • Nel 2017 Michelina Oliviero, che ha perso nel disastro il nonno paterno Luigi Oliviero insieme a 3 suoi nipoti (Oliviero Pasquale, Nocerino Ciro e Filippo), si è prodigata affinché fosse costruita una lapide commemorativa nei confronti degli 82 caduti della città di Ercolano. La richiesta è stata accolta con la realizzazione dell’opera nel cimitero della città di Ercolano avvenuta il giorno 2 novembre dello stesso anno.

Influenza culturale

  • L’episodio è citato nel libro Gesù fate luce (1950) di Domenico Rea.
  • La storia è stata ripresa nel 1996 dal cantante country statunitense Terry Allen nella ballata Galleria dele Armi.[9]
  • Il disastro ha ispirato un giallo sociologico di Alessandro Perissinotto dal titolo Treno 8017, pubblicato nel 2003.
  • Volevo solo vivere, treno 8017 l’ultima fermata (2013), narra la storia della tragedia; la pellicola è stata diretta da Antonino Miele e Vito Cesaro; nel cast Carlo CroccoloAlfredo Li Bassi Stefano Simondo, Ciro Petrone
  • Nel 2015 il canale Rai Storia ha realizzato un documentario sulla tragedia dal titolo Balvano. Il Titanic ferroviario di Brigida Gullo per la regia di Graziano Conversano.

Note

  1. ^Treno 8017. Il più grave disastro ferroviario italiano, su trenidicarta.it. URL consultato l’8 settembre 2016.
  2. ^G. Cornolò, Locomotive di Preda Bellica, Ermanno Albertelli Editore, p. 54.
  3. ^Treno 8017 in galleria, 70 anni fa 520 morti, su ANSA, 5 gennaio 2014.
  4. ^Lucania, 3 marzo 1944
  5. ^Nel tragico merci 8017
  6. ^Consiglio dei ministri seduta 9 marzo 1944Archiviato il 1º agosto 2013 in Internet Archive.
  7. ^Il Corriere della Sera – Salerno, 23 marzo 1944, p. 2.
  8. ^Giulio Frisoli, Treno 8017. Il più grave disastro ferroviario italiano, in L’Europeo, marzo 1956. URL consultato il 6 settembre 2016.
  9. ^il titolo è errato nell’originale. Il brano è contenuto nel disco Human Remains, 1996, Sugar Hill Records.

Bibliografia

  • Gianluca Barneschi, Balvano 1944: I segreti di un disastro ferroviario ignorato, Milano, Mursia, 2005, ISBN88-425-3350-5.
  • Gianluca Barneschi, Balvano 1944. Indagine su un disastro rimosso, Gorizia, LEG Libreria Editrice Goriziana, 2014, pp. 340, ISBN978-88-6102-151-8.
  • Salvio Esposito, Galleria delle Armi, Napoli, Marotta & Cafiero, 2012, pp. 148, ISBN978-88-88234-99-1.
  • Vincenzo Esposito, 3 marzo’44. Storia orale e corale di una comunità affettiva del ricordo, Salerno/Milano, Oèdipus edizioni, 2014, ISBN978-88-7341-210-6.
  • Gennaro FrancioneCalabuscia, Roma, Aetas Internazionale, 1994.
  • Gordon Gaskill, La misteriosa catastrofe del treno 8017, in Le 33 storie che hanno commosso il mondo, XXIX, nº 166, Selezione dal Reader’s Digest, luglio 1962 (XV), pp. 11-16.
  • Alessandro Perissinotto, Treno 8017, Palermo, Sellerio Editore, 2003, ISBN88-389-1878-3.
  • Patrizia Reso, Senza ritorno. Balvano ’44, le vittime del treno della speranza, Maiori, Terra del Sole, 2013, ISBN978-88-903277-6-6.
  • Mario Restaino, Un treno, un’epoca: storia dell’8017, Melfi, Arti grafiche Vultur, 2004, SBNIT\ICCU\BAS\0180024.

Filmografia

  • 3 marzo’44. Storia orale e corale di una comunità affettiva del ricordo, Salerno/Milano, di Vincenzo Esposito, Oèdipus edizioni, 2014, DVD, documentario antropologico allegato al volume omonimo.
  • Filmato audio Alesandra Gigante, Balvano 1944, il silenzio di una strage, Storia in rete, 2005.
  • Filmato audio Brigida Gullo, Balvano: il titanic ferroviarioRai Storia, 3 marzo 2015.

Voci correlate

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