Alcuni esempi di buona sanità
Le buone notizie
Angeli e Demoni ci sono sempre stati, ma mentre i secondi ottengono le prime pagine dei giornali, non sempre accade lo stesso per chi lavora, spesso in silenzio, senza sosta in una sanità che procede con il freno tirato. Le notizie dell’assalto alle autoambulanze e della devastazione del pronto soccorso dell’ospedale Pellegrini sono state diffuse ovunque, quelle dei casi di buona sanità molto meno. La recente notizia di Paolo Ascierto, direttore all’istituto partenopeo Pascale del dipartimento Oncologia Clinica Sperimentale Melanoma Immunoterapia e Terapie Innovative, relativa all’utilizzo di un farmaco utilizzato contro l’artrite reumatoide per evitare il ricovero dei pazienti affetti dal coronavirus in terapia intensiva, è uno splendido risultato ottenuto dalla sanità campana. In genere si pensa alla sanità del Mezzogiorno come a qualcosa di inefficiente e disorganizzato. In parte c’è del vero, ma non sempre è così. I centri di eccellenza esistono e funzionano molto bene come possono testimoniare moltissimi degenti curati e guariti. Solo per soffermarci a Napoli, queste alcune eccellenze: la chirurgia toracica dell’ospedale Monaldi per i trapianti di cuore, introdotti in Italia da Maurizio Cotrufo; la cura dei tumori con i protocolli più avanzati dell’istituto Pascale; Giulio Tarro, virologo di fama internazionale del Cotugno; Roberto Cerio, che per oltre quaranta anni si è occupato degli anziani e ha diretto e portato a termine il Centro Colonia Geremicca dell’Asl 1; all’ospedale Cardarelli la soluzione delle emergenze nel padiglione di Pronto Soccorso, che porta il suo nome di Pasquale Buondonno, presidente emerito degli Ospedali Riuniti. Nel momento in cui tutta la sanità pubblica è impegnata per fronteggiare l’emergenza coronavirus, questo un esempio di buona sanità: la Divisione di Medicina DEA del Cardarelli (dipartimento d’emergenza e accettazione), dove in operosa attività una équipe di medici, infermieri ed ausiliari che ad uno sguardo d’insieme di un non addetto ai lavori, hanno dato l’idea di “api in un alveare”. Ciascuno con il suo compito, in un via vai di pazienti afflitti da mali molto seri. Il primario, Mariano Carafa, dirige un reparto di eccellenza, dove si salvano vite umane con fermezza, decisione e rapidità. Il personale medico è altamente specializzato e di vasta esperienza, orientato ed organizzato dalla Direzione Strategica. Il dottor Carafa, con la sua attività ultra trentennale, è specialista in cardiologia, medicina interna e medicina del lavoro. Tutti i suoi colleghi vantano curriculum di livello. Il reparto interviene su un ampio spettro di malanni, tutti in grado di mettere in pericolo la vita dei pazienti: insufficienza respiratoria, renale e cardiaca; sepsi; polmonite semplice; embolia polmonare; malattie cerebrovascolari acute, ischemiche ed emorragiche. L’unità operativa di medicina DEA è il centro di riferimento per le malattie tromboemboliche, con un elevato numero di pazienti ricoverati con tale patologia ed un ambulatorio dedicato a pazienti dimessi, o inviati dal pronto soccorso, che necessitano di valutazione clinica, strumentale e terapeutica. Vengono assistiti, in particolare, pazienti in trattamento con i nuovi anticoagulanti (NAO). Dopo questa attenta considerazione, non si può, però, sottacere l’atteggiamento di alcuni visitatori del reparto, parenti ed amici di pazienti ricoverati. C’è chi, forse per partito preso, ha sempre da ridire e da criticare: «questo non va, quest’altro andrebbe fatto in altro modo, il personale è distratto e se la prende con comodo !…». Parliamo di un vezzo italico: quello della critica facile e senza fondamento. Ma si rendono conto costoro delle immani difficoltà che dirigenti e collaboratori di un reparto così complesso devono affrontare? Certamente non ne hanno la minima idea. Magari perché sono concentrati soltanto sul loro interesse personale e familiare, una reazione scomposta è umanamente comprensibile ma non plausibile. Costoro con difficoltà accettano l’esigenza di limitare gli accessi alla struttura e alle visite ad amici e parenti in tempi molto difficili e pericolosi per il contagio del coronavirus. Per fortuna la capacità e l’azione prevalgono su ogni meschina critica, come testimoniano le migliaia di pazienti guariti e dimessi ogni anno. Gli operatori della sanità non si definiscono eroi ma delle persone normali che lottano in prima linea. Non è il coronavirus che fa paura ma la mancanza di posti in terapia intensiva, specialmente nei nosocomi del Sud del nostro Paese. L’Italia bella è l’Italia che ce la farà contro questo virus, ma per uscire dall’emergenza tutti devono rispettare le regole imposte dal governo. Si assiste oggi ad una gara di solidarietà: alcune pizzerie hanno offerto la pizza a chi lavora negli ospedali senza sosta e alcuni studenti della facoltà di medicina hanno raccolto fondi.
H di P