Calcio a rischio default

21 aprile 2020 | 05:39
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Calcio a rischio default

In Germania 13 società possono saltare con lo stop È allarme anche in Italia

Solo 6 club su 20 in Serie A hanno chiuso l’ultimo bilancio in attivo Le perdite, che superano i 340 milioni di euro, sono state ripianate con ricapitalizzazioni o con l’indebitamento finanziario (come i bond) Poche proprietà possono reggere l’urto. E la partita con le tv è aperta

Il calcio italiano deve tornare in campo, perché la sospensione definitiva della stagione (come paventata dal ministro della Salute, Roberto Speranza) esporrebbe al default almeno l’85% dei club di Serie A, con un rischio fallimento per molte di queste realtà. In Germania, sistema più solido di quello tricolore (sotto il profilo della sostenibilità finanziaria) la Federcalcio (DFB) ha lanciato l’allarme: se non si termina il campionato spariranno 13 club della Bundesliga 1.

Se si sposta il focus in ambito domestico, lo “stato dell’arte” è ancora più preoccupante. Solo 6 dei 20 club di “A” (partendo dall’analisi dei bilanci 2019) hanno presentato risultati finanziari positivi. In molti casi grazie esclusivamente alla leva delle plusvalenze. Il resto del plotone, di cui fanno parte anche società del calibro di Juventus, Inter, Milan e Lazio, hanno pubblicato conti in “rosso”. Complessivamente il 66% delle società ha fatto registrare perdite pari a 344,97 milioni di euro. La stragrande maggioranza di queste realtà si è trovata a dover ricapitalizzare o a a scegliere la strada dell’indebitamento finanziario per riequilibrare i conti (come nel caso del bond non convertibile emesso, nei mesi scorsi, dalla Roma). Manca liquidità nelle casse delle società e senza le plusvalenze la quasi totalità dei club presenterebbe dati fortemente negativi. Con conti così fragili il sistema calcio nazionale ha necessità di terminare il campionato, anche perché mancano all’appello ben 124 gare ufficiali.

Diritti tv in aula. Ad oggi la Serie A ha disputato il 67% di quanto previsto contrattualmente, incassando l’80% degli introiti da diritti audiovisivi. Sky e Dazn si trovano in una situazione di totale sbilancio, con contratti stipulati a livello pubblicitario che non possono essere onorati proprio per lo stop forzoso della massima serie. A metà febbraio le reti tv hanno pagato ai club la quinta delle sei rate (bimestrali anticipate) previste per la stagione in corso.
Mancano, nelle casse dei club, ben 223 milioni di euro, senza considerare l’eventuale quota collegata alle gare non disputate. Considerando anche i diritti esteri (gestiti da Img) si arriva ad una cifra vicina ai 340 milioni di euro. Più in generale, Deloitte, nello scenario peggiore (studiato per la Lega), ha stimato perdite complessive non inferiori a 720 milioni di euro (includendovi i ricavi da stadio, le sponsorizzazioni e le plusvalenze).
La Lega calcio, da diverse settimane, sta rassicurando i 20 presidenti rispetto all’eventualità di una causa legale. Il contratto tra le parti, infatti, è nettamente a favore della “Confindustria del pallone”. In diverse clausole l’impossibilità sopravvenuta risulta a carico solo dei broadcaster (diversi dirigenti sottolineano come le stesse siano state «accettate consapevolmente»). I club però hanno bisogno dei soldi delle televisioni, perché molte di queste realtà lamentano problemi di liquidità.

Errori nel tempo. La Serie A paga, a distanza di anni, la mancanza di una visione di scenario. La Lega ha scelto di ancorarsi solo ai ricavi da diritti audiovisivi (non investendo su altre aree). L’eventuale controversia legale, in caso di braccio di ferro con Sky-Dazn, la espone ad una serie di interpretazioni civilistiche. Anche perché i legali dei due broadcaster sarebbero pronti a contestare, in caso di sospensione definitiva del campionato, l’intero valore del format. La tesi è semplice: fermata la stagione non si potrebbe parlare di un vero e proprio campionato regolare. Le emittenti avrebbero pagato per un prodotto diverso da quello stabilito in partenza (sotto il profilo contrattuale).
La Serie A, pur potendo vantare un contratto tecnicamente “blindato”, non può alzare troppo la voce, perché si avvicina il calciomercato estivo. I club, come avviene ogni anno, attendono le ultime rate dei diritti tv proprio per fare cassa e operare sui mercati. Ci si troverebbe di fronte ad una situazione “cristallizzata” con ulteriori effetti negativi sui bilanci. Già da diversi anni, infatti, le plusvalenze sono lo strumento primario per sistemare contabilmente i conti aziendali.

Stipendi. C’è poi un ulteriore rischio collegato al tema dei pagamenti degli stipendi. Le mensilità di gennaio, febbraio e marzo devono essere pagate entro il prossimo maggio. I club potrebbero essere chiamati ad onorarle dai loro stessi tesserati (senza considerare l’ipotesi “svincolo). Le società di appartenenza sarebbero poi costrette a regolarizzare le posizioni nei successivi 60 giorni (dall’eventuale messa in mora).

Proprietà solide. In attesa della ripartenza, dovranno intervenire, con mezzi propri, le proprietà dei club, soprattutto se la querelle dei diritti tv dovesse finire nelle aule di tribunale. A fare la differenza, nei prossimi mesi, pertanto sarà la solidità dei patron di molte squadre tricolori.
Juventus (forte della presenza della holding Exor), Inter (nell’orbita di Suning holdings group), così come Atalanta (legata agli interessi della famiglia Percassi), Udinese (Pozzo) Napoli (De Laurentiis), Bologna (Saputo), Cagliari (Giulini) e Lazio (gestita con attenzione da Claudio Lotito) possono resistere (non senza difficoltà) all’impatto negativo dell’emergenza sanitaria da Covid-19, ma in caso di sospensione definitiva non è possibile quantificare gli effetti negativi di una scelta così drastica, oltre che scellerata sotto il profilo politico.

fonyte:corrieredellosport