Caro Feltri, «Absit iniuria verbis». Da Sorrento l’intervento di Aniello Clemente
«La parola sia lontana dall’offesa», è un po’ come dire, alla napoletana, senza offesa alcuna. Anzi, le chiedo scusa per come hanno mal interpretato i suoi interventi a “favore” dei meridionali e, umilmente, mi permetto di associare al mio umile balbettio un gigante della filosofia, della letteratura: il prof. Aldo Masullo che da oggi discetta con i grandi del pensiero europeo lungo i Campi Elisi. La vedo sorpreso, abbacinato oserei dire, rifacendomi all’incubo di don Rodrigo: «… eran tutti visi gialli, distrutti, con cert’occhi incantati, abbacinati» (A. MANZONI, Promessi Sposi, XXXIII) perché mai si aspetterebbe che un “meridionale”, volutamente virgolettato, abbia saputo scoprire il suo fine ultimo, amorevole, compassionevole, nei confronti dei “terùn”. Tanti si stanno chiedendo perché non tenti di scusarsi dalle accuse di “razzismo” e antimeridionalismo, ma so bene che lei quando lanciava quelle invettive pensava: «alea iacta est» (il dado è stato tratto), frase pronunciata da Caio Giulio Cesare nel 49 a.C. sulle sponde del Rubicone, alludendo ad una scelta dopo la quale non si può più tornare indietro. E lei non deve farlo, perché il suo breve monologo non era «ad ùsum delphìni» (per uso del “Delfino”, il primogenito del re di Francia), come erroneamente ha inteso il conduttore che si è profuso in maldestre scuse, ma le farei torto se la accomunassi, seppur per un attimo, a frammenti di meteore che si credono comete. Lei è di ben altro spessore e mai crederei che si è venduto per un tozzo di pane. Non dimentico che in un passato non troppo remoto lei fu indicato come possibile Presidente della Repubblica Italiana. Sì, non cisalpina, transalpina, padana, ma italiana! Questo ricordo e questa è la chiave di lettura per interpretare il sottile e grandioso suo scopo di “indicare” i meridionali come artefici della nuova Italia che risorgerà come Araba Fenice dalle ceneri del coronavirus. Certo dovevamo prima ricompattarci, sentirci protagonisti di una nuova Storia da riscrivere. Lei ci ha detto che «siamo nani sulle spalle di giganti» e ci siamo ricordati di quando eravamo capitale d’Europa, quando gli altri trascinavano i loro stivali nel fango e noi avevamo i primi treni; che venivano da ogni dove per lavorare nelle nostre industrie. Mario Merola non avrebbe mai potuto cantare Lacreme napulitane (scritta da Libero Bovio per il testo e da Francesco Buongiovanni per la musica), perché «emigrare» era un verbo a noi sconosciuto. Lei, grato per essere stato “indicato” quale timoniere delle italiche sorti, non potendolo fare di persona, rimembro di «A Comedy and a Philosophy» di Bernard Shaw, ha parafrasato Don Juan che esalta il potere salvi-fico delle idee della ragione, e ha “indicato” nei meridionali i «timonieri della natura». Per far capire il suo nobile tentativo devo attingere alle categorie che mi sono proprie e, quindi, dire che, grazie a lei, “quell’additarci” vuol dire che noi siamo chiamati, come il profeta Giovanni, a indicare al mondo un nuovo corso, e non si tratta di indicarlo con le parole ma con la vita, spendendo tutte le nostre energie per farlo. E lei, visto il fallimento di una presunta supremazia nordica e l’efficienza del popolo meridionale, bene ha fatto a riunirci. Certo sarà dura perché adesso entrambi, lei e noi, dobbiamo dimostrare il valore dell’agnello sacrificale, ruolo che lei si è scelto e a noi appiccicato addosso come una seconda pelle. L’agnello è simbolo di docilità, di purezza, ma altresì di capro espiatorio, di colui che prende su di sé tutto il male del mondo, il Vangelo di Giovanni scrive «toglie» (Gv 1,29). Il verbo che viene tradotto con “toglie” significa letteralmente “sollevare”, “prendere su di sé”. Esportando il modello “Napoli” dobbiamo dimostrare che sarà possibile guardare con serenità al futuro. In che modo? Amando! Non c’è altro modo di vincere se non con l’amore che spinge al dono della propria vita per gli altri. L’agnello non è un dominatore, ma è docile; non è aggressivo, ma pacifico; non mostra gli artigli o i denti, ma sopporta ed è remissivo, così non solo noi meridionali, ma tutti “i Sud” del mondo. Non si schernisca ma da umile teologo vedo nel suo tentativo la grande scelta di Giuda che non tradì il suo amico, anzi grazie al suo sacrificio permise che la «storia della salvezza» trovasse compimento. Solo un grande amico poteva sacrificarsi così, esponendosi alle ingiurie e alle vessazioni. L’amore al prossimo è un atteggiamento talmente fondamentale che tutte le religioni arrivano ad affermare che il nostro rapporto con il Trascendente non può essere sincero se non vogliamo fare pace con il prossimo. Per questo ho litigato e ragguardito quanti si sono permessi di postare una sua immagine dove si vede che, forse, non è riuscito a trattenere la minzione. In quella immagine ci sono tutti i nonni d’Italia, i nostri anziani scampati alle guerre per morire in un ospizio! I nuovi martiri sbranati negli omonimi anfiteatri dalle fauci dell’egoismo e dell’indifferenza. Certo lei potrebbe ribattermi che quanto ho scritto è frutto di una mente di poeta, di scrittore e lei sinceramente, convintamente ci “schifa”, almeno me lo dico alla Biagio Izzo. E quantunque? Quello che ho scritto non perde valore solo perché la premessa non era pertinente. Veda anche se lei non mi è amico io lo sono e può non interessarla ma va bene lo stesso perché l’amore vero non è nella reciprocità, ma è preveniente e incondizionato, asimmetrico. La sua forma più perfetta è quella dell’amore per i nemici. Si tratta dell’amore creativo che ci rende responsabili nei confronti dell’altro, chiunque egli sia. Chi risponde al male con il bene non si limita a reagire, ma produce qualcosa di nuovo. «Quando si amano i nemici non ci si chiede più come difendersi da essi, in che modo scoraggiarli dall’attaccare, quando invece come togliere loro questi sentimenti di inimicizia […]. Questo modo di amare, dunque, è tutt’altro che etica dei sentimenti, ma vera e propria etica di responsabilità” . La saluto cordialmente dichiarandomi a incontrarla dove preferisce e nell’attesa mi permetto di ricordarci che «Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo imparato l’arte di vivere come fratelli» (Martin Luther King).
Aniello Clemente