Castellammare. La morte del medico Tommasino “Tempi lunghi della burocrazia, è morto da solo con le foto dei figli in mano”
Castellammare di Stabia ( Napoli ) . La morte del medico Tommasino “Tempi lunghi della burocrazia, è morto da solo con le foto dei figli in mano”
Il calvario di un uomo che «è andato in guerra senza armi». Giovanni Tommasino era un medico di base e dopo una settimana di ricovero nella rianimazione del «Mauro Scarlato» di Scafati il suo cuore ha smesso di battere. L’infezione da Covid-19 lo ha strappato dall’abbraccio delle sue donne: la moglie Elvira, le figlie Maria e Ilenia. La primogenita, biologa e mamma di un bambino, racconta gli ultimi giorni di vita del papà morto a 61 anni, uno dei 107 medici italiani uccisi dal virus, lo srive Fiorangela d’Amora su Il Mattino di oggi
Fino a quando suo padre ha lavorato?
«Era il 14 marzo, nonostante fosse sabato visitò un’anziana che lamentava problemi respiratori. La sera salì la febbre, che non è mai più scesa».
Fu il primo sintomo?
«No, prima aveva avuto raffreddore e tosse, ma senza rialzi febbrili. Ricordo bene il 13 marzo, fu l’ultimo giorno in cui si sentì davvero bene. Il malessere sembrava svanito e invece la sera successiva si sentì male».
Pensò di essere positivo?
«All’inizio fu lui stesso a dire che si trattava di un’infezione ma non di Covid. Intanto, avevamo chiesto che facesse il tampone. Ma sono passati altri giorni. Il 17 ha fatto l’esame, l’esito è arrivato il 21 sera».
Intanto è rimasto a casa?
«Dopo il tampone avvertì le prime serie difficoltà respiratorie. Provò a curarsi in casa, consigliandosi con amici medici. Del resto, senza l’esito del tampone non si sarebbe potuto ricoverare in un ospedale Covid. Avemmo notizie ufficiose della positività, ma non servì ad accelerare il ricovero».
Però la situazione precipitò e il 21 marzo papà fu ricoverato a Sorrento, dove rimase un giorno. Poi fu trasferito al primo centro Covid disponibile.
«Avrebbe voluto ricoverarsi al Rummo di Benevento, invece l’unico ospedale pronto ad accoglierlo fu quello di Scafati. Ricordo la disperata ricerca di un’ambulanza attrezzata per il biocontenimento. Per un medico sempre disponibile con tutti, quando per lui c’è stato bisogno la burocrazia ha creato solo problemi».
Durante il ricovero aveva contatti con la famiglia?
«Quando era a Sorrento si preoccupava per noi, ci chiedeva di inviargli le nostre foto. Voleva vedere le nostre facce. Avete pianto, si vede, non dovete farlo, io guarirò, ci diceva. A Scafati, dalla pneumologia passò subito in rianimazione. Erano le undici di sera. Non lo abbiamo più sentito».
Ha pensato che sarebbe potuta andare diversamente?
«È andato tutto storto. La burocrazia lunga, i tempi che hanno ritardato il ricovero in un centro Covid e quindi anche le cure. Allo studio, durante le visite, la sua unica protezione era una mascherina chirurgica. A metà marzo non si trovavano dispositivi di protezione né l’Asl ha distribuito materiale».
Sabato scorso fu lei a ricevere la telefonata della morte di papà. E fu lei a comunicarlo a sua madre e sua sorella, che sono ancora in isolamento perché positive.
«Avevo lasciato all’ospedale il mio recapito. Alle sette di sabato mattina mi hanno informato, la prima cosa che ho chiesto è se avesse sofferto. Era morto venti minuti prima, dopo un arresto cardiaco. Non ha sofferto e questo ci consola. Ma dirlo a mia madre e mia sorella è stato un dolore ancora più forte. Chiamai un amico di papà, uno psichiatra, che ci ha aiutate mentre eravamo in videochiamata. Ricordo i minuti interminabili, il malore di mia sorella e l’ambulanza che non arrivava. Dopo tre quarti d’ora ne è giunta una da Vico Equense perché quella di Castellammare non aveva il medico a bordo. Ora mamma e Ilenia sono alle prese con gli effetti collaterali di potenti antimalarici che hanno assunto per guarire».
Sua sorella ha scritto un post su Facebook che ha commosso centinaia di persone. L’eco delle sue parole è arrivata in tutta Italia.
«Ilenia ha esternato sentimenti che io ancora non riesco a esprimere. Le sue parole hanno commosso tutti, ci sono arrivate testimonianze anche da Bergamo e Como. Tanti giovani che hanno perso entrambi i genitori, figli di medici, tutti uniti dallo stesso tragico dolore. Sentire tanto affetto attorno a noi ci aiuta a elaborare il dolore, a capire che in un modo o nell’altro dovremo riuscire ad andare avanti».
La morte di Giovanni Tommasino ha scosso le coscienze in città. Lei come vorrebbe che venisse ricordato?
«Come un eroe che ha fatto il suo dovere fino all’ultimo. Lo chiamavano a qualsiasi ora del giorno. Nonostante noi cercassimo di fermarlo, soprattutto negli ultimi tempi quando si cominciava a percepire la preoccupazione per la facilità dei contagi, lui non si è mai tirato indietro. La sua soddisfazione era aiutare il prossimo e stargli vicino, spero che ora tutti lo ricorderanno per il suo gran cuore».