Piano di Sorrento – In un video sulla Pagina Facebook della Parrocchia della SS. Trinità, Don Antonio dava delle indicazioni per il raccoglimento di preghiera in questo periodo di quarantena, conciliando le direttive governative, con la vita della Fede. Di seguito riportiamo il video e i sussidi per la preghiera in famiglia:
LA STORIA DELLA BASILICA – Alla fine della salita del Cavone si arriva a questa chiesa che rappresenta un’altra parrocchia carottese. A tre navate, con porticato interno. La Sua edificazione risale al 1543, con il contributo di molti fedeli e soprattutto della famiglia Califano con Jus patronatum per la nomina dei cappellani.
In tale anno, infatti, Raffaele Califano e Nardello de Polo, acquistano dal monastero della SS. Trinità di Sorrento un pezzo di terreno per edificarvi il nuovo edificio di culto, a condizione che portasse il nome della SS Trinità.
Sulla bella facciata esterna si legge la scritta “lateranensi basilicae aggregata”, in riferimento all’aggregazione alla Basilica romana di San Giovanni in Laterano che avvenne per evitare la sottoposizione ad ogni giurisdizione, se non a quella della Sede Apostolica. In seguito fu formata la nota confraternita della Santa Trinità, che eleggeva essa stessa i parroci.
Nel 1573, annesso alla chiesa fu fondato l’oratorio dell’arciconfraternita dei Pellegrini e ei Convalescenti.
Nel 1616 furono qui portate nella chiesa le reliquie dei santi Valeriano, Abaudio, Servilliano, Castolo, Ponziano, ed Anastasia, provenienti dalla chiesa dei padri gesuiti di Massa Lubrense con celebrazione dell’arcivescovo Angrisani. Il campanile a pianta quadrata, presenta un orologio ed un portico laterale ricavato dalla struttura nel 1816 per far trovare riparo ai fedeli. All’interno della Chiesa della SS. Trinità, dietro l’altare maggiore del 1743, con balaustra di marmi policromi, vi è il coro ligneo ed una tela raffigurante la Santissima Trinità dell’artista Giuseppe Mancinelli e risalente al 1871.
La chiesa è con pianta a croce latina. Nella navata centrale il pulpito con baldacchino in marmo policromo, proveniente dalla chiesa napoletana di San Francesco di Paola. Il soffitto è a cassettoni ed è arricchito da quattro splendidi dipinti settecenteschi con cornici in legno di ottima fattura tra cui la Santissima Trinità attribuito a Paolo De Matteis e Abramo visitato dagli angeli del pittore Nicola Parise. Di rilievo la cantoria dell’organo che è in legno stuccato e dorato, di fattura barocca napoletana del ‘600, ornata da nicchie con statue e tele raffiguranti Sant’Anastasia, San Ponziano, San Davide.
Nella navata di sinistra sono collocate due tele di stile veneziano raffigurante Sant’Andrea e la Resurrezione di Lendro Bassano del 1610. In fondo alla navata destra, vi è la cappella della natività con una tavola lignea raffigurante il mistero della natività e l’adorazione dei pastori, con una lunetta raffigurante il mistero dell’Annunciazione, del 1589, attribuita al pittore Giovanni Antonio D’Amato.
Nella sagrestia (per accedere alka quale si passa sotto un interessante portale in pietra intagliata) vi è un quadro del 1612 della pittrice bolognese Lavinia Fontana, raffigurante la vergine con bambino e San Francesco. Sempre nella sagrestia troviamo in una teca un corredo di paramenti sacri di seta con ricami in oro. Una tela del 1743 di autore ignoto è posto sopra la cappella del Crocefisso raffigurante le due Marie, San Giovanni , oltre allo stesso crocefisso dello scultore Giacomo Gallo del XVII secolo.
Presso la cappella della Beata Vergine del Rosario (costruita agli inizi del ‘700), si notano marmi pregiati., una tavola lignea con predella del ‘500 trasferita dalla Badia di San Pietro e raffigurante la Madonna del Rosario incoronata da due angeli e vari santi contornata dai 15 misteri, attribuita a Giovan Bernardo Azzolini In questa chiesa il 26 settembre del 1773 si ebbe la cerimonia di incoronazione della Vergine del Rosario. Il 9 ottobre del 1774 la chiesa della Trinità diventò parrocchia sotto l’egida dell’Arcivescovo di Sorrento Mons. Silvestro Pepe.
Nel 1957 sulla facciata della basilica viene collocata un’immagine a mosaico della Santissima Trinità. Sul lato destro della chiesa vi è un lavamani di marmo bianco degli inizi del ‘500.
ALTRE CAPPELLE – Legata al complesso conventuale degli agostiniani, fondato nel 1300, in quello che fu lo storico rione di Sant’Agostino, la cappella fu edificata intorno al 1400. Sull’altare di questa cappella è collocato un quadro del 1589 di un tal S. Chiano, raffigurante la Madonna con Bambino, Sant’Agostino e San Biagio.
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Questo Borgo, tra i più antichi della Penisola, è chiaramente intitolato al Santo, Dottore della Chiesa, è tardiva, rispetto all’origine dell’abitato; Agostino, vescovo di Ippona, visse dal 354 al 430 e la fama della sua santità, i suoi scritti, il suo pensiero cominciarono ad esser noti nel mondo cattolico solo gradualmente. Sorge spontaneo chiedersi quale fosse la primitiva denominazione dell’abitato e l’ipotesi più suggestiva e più attendibile è proprio Vico Alvano, ovvero il villaggio che si trova dove sorge il sole, nome che poi sarebbe rimasto alla vicina montagna. Resta da capire come, perché e chi abbia scelto di assegnarlo all’antico casale. Secondo il mio parere il toponimo risale ai benedettini dell’Abbazia di San Pietro a Cermenna, i quali davano alle loro proprietà, fondi o grancie nomi eruditi di santi padri della Chiesa: San Gregorio Magno (San Liborio), San Pietro (Petrulo), Sant’Agnello ed anche Sant’Agostino.Una seconda ipotesi porterebbe a considerare un convento di monaci agostiniani con annessa cappella ed il culto per il Santo Vescovo di Ippona. Le due ipotesi non sono antitetiche, gli agostiniani avrebbero potuto fondare una casa in una località già chiamata col nome del fondatore.
L’antichità di Sant’Agostino è testimoniata anche altre due importanti considerazioni. La prima, avvalorata dallo studio e dalle ricerche degli archeologi, ritiene che la popolazione, ivi stanziata, poco alla volta abbia colonizzato la piana, in epoca arcaica, popolando il luogo delle grotte (Carotto) e che abbia fondato Galatea. Infatti, nel XVI secolo, quando i turchi la distrussero, gli abitanti trovarono rifugio nel luogo di origine che era proprio Sant’Agostino.
La cappella del rione, tante volte restaurata nel corso dei secoli, sembra risalire al tre-quattrocento, ma ha subito importanti rifacimenti, gli ultimi nel 1858 e nel 1980. Ebbe un ruolo di primo piano fino a quando non fu costruita, a metà del XVI secolo, la vicina Basilica della Santissima Trinità. Un’antica lapide, ora in sacrestia, documenta la presenza di un sepolcreto o terra santa, ancora utilizzato nell’Ottocento per riporvi le vittime del vaiolo e del colera. La grande tela dell’altare rappresenta la Vergine con il Bambino con ai piedi Sant’Agostino e San Biagio e porta una data, il 1589 che si riferisce, sicuramente ad un intervento di restauro.
Sul fianco destro della cappella c’è un massiccio fabbricato che presenta, al primo piano, delle camere allineate come celle di un antico convento. Che sia stato una dipendenza dell’Abbazia benedettina di San Pietro a Cermenna? È mistero fitto, ma la presenza monastica aleggia in questo luogo e nulla esclude che, nel lento trascorrere dei secoli, abbia potuto ospitare anche una comunità di agostiniani che molta affinità avevano con i benedettini, nel dedicare il loro tempo alla preghiera ed al lavoro. Non a caso le celle affacciavano su un piccolo cortile con alberi da frutta, quasi un chiostro per la preghiera, la meditazione ed il contatto con la natura. L’Ordine di Sant’Agostino, già detto degli Eremitani, sorse nel 1244, ma solo alla fine di quel secolo fondò case anche nell’Italia Meridionale. Nella dottrina della scuola di spiritualità dell’Ordine risultano chiari il primato dell’amore, della grazia e di Gesù Cristo. È tipica la devozione dell’Ordine all’umanità di Cristo e al mistero dell’incarnazione. Maria, patrona dell’Ordine, è tradizionalmente invocata anche come Nostra Signora di Grazia, titolo tanto caro agli abitanti del Piano!
Un fatto è certo: l’importanza e la dignità date a questa chiesetta nel corso dei secoli attestano o la presenza di una comunità monastica, come punto focale del territorio, o la sede di una parrocchia, se non entrambe. L’antico convento, se non proprio un fortino, certo doveva essere atto a sostenere l’onda d’urto delle soldataglie saracene, con mura spesse, grate di ferro alle finestre e portoni in legno massiccio e ferro. Raccolti gli allarmi provenienti dalla vicina torre di Cermenna, collegata con segnali di fuoco e fumo con le altre del territorio, i monaci provvedevano ad allertare la popolazione con particolari e martellanti rintocchi di campana, per poi asserragliarsi tutti nell’edificio, anche per giorni, fino al cessato pericolo (
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