Per chi suona la campana? Purtroppo oggi anche per noi!
Aniello Clemente
Un grave lutto ha colpito la famiglia del nostro Presidente Luciano Russo, privandolo dell’adorata mamma. Dovremmo fare nostro un adagio latino: «Tacit satis, laudant tacent» (Il silenzio è spesso la miglior risposta), ma ben conoscendo il cuore di Luciano, poiché siamo impossibilitati a farlo, desideriamo con queste parole“accompagnare” la signora con il linguaggio che ci è congeniale, e le fa da “Caronte” Ernest Hemingway. La vita della signora è stata degna di essere vissuta con la dignità de «Il vecchio e il mare», certa che questo non è un «Addio alle armi», anzi, ci dice che «Il sole sorgerà ancora», senza chiederci più «Per chi suona la campana?».
Per chi suona la campana (For Whom the Bell Tolls) è un romanzo del 1940 di Ernest Hemingway. Il titolo è ricavato da un famoso sermone di John Donne, poeta e religioso inglese; in relazione al concetto secondo cui nessun uomo è un’isola e cioè non può considerarsi indipendente dal resto dell’umanità[1], egli disse: «Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare, l’Europa ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio, come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi, o la tua stessa casa. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te»[2]. «…And therefore never send to know for whom the bell tolls. It tolls for thee» («E allora, non chiedere mai per chi suoni la campana. Essa suona per te»). Che sottile ironia… In inglese, il verbo to toll indica appunto il rintocco lento delle campane, usato soprattutto nelle cerimonie funebri. Se avessimo potuto ascoltare le sue ultime parole ci avrebbe raccontato che: «Una vecchietta serena, sul letto d’ospedale, parlava con il parroco che era venuto a visitarla. “Il Signore mi ha donato una vita bellissima. Sono pronta a partire”. “Lo so” mormorò il parroco. “C’è una cosa che desidero. Quando mi seppelliranno voglio avere un cucchiaino in mano”. “Un cucchiaino?”. Il buon parroco si mostrò autenticamente sorpreso. “Perché vuoi essere sepolta con un cucchiaino in mano?”. “Mi è sempre piaciuto partecipare ai pranzi e alla cene delle feste in parrocchia. Quando arrivavo al mio posto guardavo subito se c’era il cucchiaino vicino al piatto. Sa che cosa voleva dire? Che alla fine sarebbero arrivati il dolce o il gelato”. “E allora?”. “Significava che il meglio arrivava alla fine! E proprio questo che voglio dire al mio funerale. Quando passeranno vicino alla mia bara si chiederanno: Perché quel cucchiaino? Voglio che lei risponda che io ho il cucchiaino perché sta arrivando il meglio”». E noi desideriamo ripetere ciò che ci siamo detti stamattina Luciano e io: «Noi non saremo sotto la pietra». Un grande e santo abate giaceva sul letto di morte. Intorno a lui si erano raccolti i suoi monaci e decine di affezionati studenti che si erano ispirati alla sua vita e alle sue idee luminose. I più vicini a lui sussurrarono: «Maestro, quando tu sarai morto, metteremo una grande e magnifica pietra sul tuo sepolcro … ». «Che cosa vuoi che le scriviamo sopra?» Il vecchio saggio tacque un po’ e poi sorrise: «Scrivete: Io non sono sotto la pietra». Noi non saremo sotto la pietra!. Arrivederci, dunque, «In Paradiso ti accompagnino gli angeli, al tuo arrivo ti accolgano i martiri, e ti conducano nella santa Gerusalemme. Ti accolga il coro degli angeli, e con Lazzaro povero in terra, tu possa godere il riposo eterno nel cielo».
Tutti i Soci dell’Istituto Torquato Tasso
[1] Cf. Th. Merton, Nessun uomo è un’isola, Garzanti, Milano, 1995.
[2] J. Donne, Meditazione XVII, in Devozioni per occasioni d’emergenza, (tit. or. Devotions Upon Emergent Occasions [1624]), Editori Riuniti, Roma 1994, 112-113.