C’era una volta ad Atrani …..
Gentile direttore
Sono un assiduo lettore del Suo giornale perché da sempre mi fornisce notizie sugli avvenimenti della divina costiera. Le sarei grato se volesse pubblicare lo scritto di seguito riportato.
“Cànt’r fetùs. ”
Ma che cos’è? che significa?
Questa strana domanda mi è stata rivolta recentemente da un amico di vecchia data.
Passato il primo momento di stupore, mi sono chiesto: ” Ignora uno degli episodi del passato di Atrani fra i più famosi, figuriamoci gli altri meno noti. E i giovani? Conoscono ” e fattarièll e nà vòt” ? Temo proprio di no.
La maledetta globalizzazione, infatti, sta fagocitando ogni cosa e, così facendo, distrugge le nostre radici. Un popolo che non ha passato non ha futuro. Occorre, dunque, ricordare per conoscere la nostra identità.
Senza scomodare l’arte delle grandi civiltà o di determinati periodi storici, arte intesa in tutte le sue espressioni ( pittura, musica, scrittura, poesia etc.), restiamo nel cortile di casa nostra per rievocare le umili storie di una piccola comunità come Atrani estrapolate dal vivere quotidiano di personaggi semplici. Anche, così, si fa la Grande storia!
Senza contare che è un sistema pratico per contrastare la globalizzazione.
Una specie di ” c’era una volta” …
Perciò, partendo da questi presupposti e rispondendo alla domanda del mio amico, ho deciso di rievocare un qualche racconto dell’Atrani che fu. Non li rievocherò tutti ma solo i più noti e lo farò uno alla volta, a puntate, per non stancare il lettore.
Fin d’ora sono sicuro, inoltre, di incappare in tante critiche (spero non troppo cattive) sia per gelosia ed invidia sia perché alcuni si dichiarano “negazionisti” dei fatti narrati sia perché tanti altri conoscono una dinamica diversa degli stessi episodi. Infatti, non esiste certezza né documentazione scritta, ma è solo tradizione orale, leggenda. Dunque, un altro motivo per tenere vivo il ricordo.
Partiamo dal : ” cànt’r fetùs”
Traduzione del titolo:
cànt r = vaso da notte, pitale, cantero.
fetùs = sporco, puzzolente. Agg. qualificativo. Nel nostro caso sta per ingrato
Antefatto
Fino a qualche decennio fa, quasi tutte le abitazioni erano sfornite dei servizi igienici. E’ facile immaginare i disagi soprattutto per noi, uomini del due mila, abituati ad ogni comodità! All’epoca, invece, per i bisogni corporali venivano usati ” e cànt’ r” (i pitali), appunto. Di notte, poi, l’oggetto veniva sistemato sotto il letto per essere adoperato al momento opportuno senza doversi alzare. Questa era l’usanza in tutti i paesi e città; non solo in Costiera ma ovunque. Una volta utilizzato, bisognava, poi, svuotare il recipiente e lavarlo per potersene servire ancora. Solitamente l’operazione avveniva ogni giorno all’alba, era una mansione tipicamente femminile ( mi perdonino le femministe, ma è la realtà!) e veniva svolta, quasi sempre, servendosi dell’acqua del fiume o del mare, come qui ad Atrani.
” O’ fàtt è chist” :
Spiaggia di Atrani, primo mattino di un certo giorno di un anno sconosciuto.
Si racconta che una popolana del posto, intenta all’opera di svuotamento e pulitura insieme ad altre comari, si sia distratta per un attimo a causa dei soliti pettegolezzi lasciandosi sfuggire il pitale dalle mani. L’oggetto, così, finisce in acqua ed il movimento del mare lo allontana talmente dalla riva che la poveretta non riesce più a recuperarlo, nonostante numerosi tentativi. Allora, infuriata, la donna si mette ad inveire e più volte grida: ” cànt’r fetùs” t’ aggio lavato e t’aggio stregat e mo te ne vai luntan! si vien terr te sciacc. (= pitale ingrato, ti ho lavato e ti ho strofinato per bene ed ora ti allontani. Se torni a riva ti prenderò a sassate!). Il tutto ovviamente pronunciato nel tipico dialetto locale che sa tanto di cantilena.
Ilarità generale e presa in giro dalle altre donne presenti. Non solo. La notizia si diffonde in un battibaleno e diviene, presto, lo sfottò con cui gli abitanti di Amalfi iniziano a burlare gli atranesi. Nasce così la leggenda del “cant’r fetùs”
Gli Atranesi, però, partono al contro attacco e rispondono per le rime sbeffeggiando i vicini con la frase :” pasta e’ pummaròl luss luss (= pasta con il pomodoro rosso rosso). Si dice che gli amalfitani, nel giorno del loro santo patrono, S. Andrea, erano soliti sporcarsi la camicia bianca con il rosso del sugo per dimostrare di aver pranzato con pasta al pomodoro rispettando la tradizione culinaria legata alla festa. Poi, incontrandosi con amici e conoscenti, mostravano orgogliosamente la camicia sporca di sugo pronunciando la frase: ” pasta é pummaròl luss luss”.
Dunque, botta e risposta! Questa la leggenda.
Qualche breve riflessione: quanta semplicità!
Siamo in presenza di un sfottorio ingenuo, senza pretese e senza conseguenze, una goliardia alla buona, una derisione simpatica. A ben guardare, poi, è anche la dimostrazione di una quotidianità genuina e schietta.
Altri tempi, altro modo di vivere la vita!
Senza contare che la satira e l’autoironia sono sinonimo di intelligenza e sagacia dell’essere umano preso sia singolarmente che in comunità. I paesi della costiera ( tutti, nessuno escluso) abbondano di simili leggende perciò, sillogisticamente, intelligenza e sagacia abitano anche qui da noi.
Continua
Atrani, 13 maggio 2020 Andrea Cavaliere