C’era una volta ad Atrani : .… E’ sàngu nùost
Ecco un altro dei “fattarielli” dell’Atrani che fu.
” E’ sàngu nùost ” (= è sangue nostro), un episodio conosciuto da molti e che spiega la speciale empatia esistente fra gli abitanti di Atrani e quelli di Maiori.
E’ leggenda, non supportato, cioè, da dati scientifici, ma è solo tradizione orale, impressa nei ricordi delle generazioni passate.
Prima del racconto, però, come al solito, un pizzico di storia ( vera) per inquadrare meglio l’episodio.
I popoli della divina costiera hanno sempre socializzato con il mondo arabo attraverso rapporti commerciali improntati al reciproco interesse e, di conseguenza, al buon vicinato. Come ovvio, e per fortuna, ai lauti guadagni seguono anche scambi culturali di vario genere.
Le cose cambiano totalmente nel XVI secolo. E’ in questo periodo, infatti, che le sponde del Mare Interno diventano l’obbiettivo principale di conquista delle mire espansionistiche turche.
Grandi squadre navali con ammiragli di valore (famoso l’episodio di Kahir ed din Barbarossa quando solo l’intervento miracoloso di S. Andrea salva la città di Amalfi dal saccheggio e dalla devastazione il 27 giugno 1544) tentano l’impresa con alterna fortuna.
La vittoriosa battaglia della flotta cristiana a Lepanto, nel 1571, però, porta ancora cambiamenti allorché i due maggiori contendenti rivolgono la loro attenzione ad altre terre ( i turchi verso la Persia e l’Oceano Indiano mentre la Spagna verso il Portogallo e l’Oceano Atlantico).
Il Mediterraneo rimane così in balia di piccoli gruppi di predoni in cerca di fortuna. Si sviluppa, cioè, una vera e propria pirateria che si frantuma in tanti piccoli episodi compiuti da disperati che flagellano le coste dell’Italia meridionale, compresa, quindi, la costiera. Niente e nessuno è più al sicuro. Città, paesi, chiese, palazzi nobiliari, monumenti vengono saccheggiati e depredati così come vengono catturati gli uomini per il riscatto e le giovani fanciulle ( sorte ancora peggiore) per essere vendute come schiave a qualche ricco signore arabo. Dunque, non più una vera e propria guerra ma una miserabile rapina.
” O fatt è chist”
In questo clima di paura, saccheggi e morte, avviene l’episodio.
Si racconta che, forse alla fine del XVI secolo, in una sera di primavera, due fratelli ed un loro amico, tutti di Atrani, stanno facendo rientro a terra su di un gozzo, dopo una giornata di pesca non proprio fortunata.
Nella flebile luce della sera che avanza, con la prua puntata verso l’approdo, la barca scivola sicura sull’acqua spinta dalle forti braccia dei tre vogatori. Il fratello maggiore dei due, capobarca perché più esperto in quanto ex marinaio di una nave da guerra, ogni tanto volge lo sguardo a dritta e a babordo per controllare la direzione.
E’ così che, all’improvviso, giunto quasi all’altezza della località Castiglione di Ravello, scorge alla sua sinistra, lontana pochi metri, un’ombra allontanarsi dalla piccola insenatura chiamata Marmorata. Guarda con maggiore attenzione e riconosce una vela latina e, un po’ più distaccata, una massa nera più grande e con più vele. Aguzza gli occhi: riconosce due o tre imbarcazioni. “Sono sbucate dal nulla !” pensa. Senza distogliere lo sguardo, continua a fissare e crede di riconoscere le sagome di una goletta e di una tartana. Nota, pure, che sono in piena velocità, ma che soprattutto non si sentono voci a bordo. Non solo, ma non sono state accese neanche le lanterne di posizione! E’ come se avessero fretta e non vogliono farsi notare.
Tutto molto strano!
Si accorge, infine, che hanno puntato la prua verso la spiaggia di Maiori.
Un sospetto atroce si affaccia alla sua mente: sono pirati! E’ un’incursione e sono pronti all’attacco! Capisce subito il pericolo e si mette ad urlare” I saraceni! I saraceni! Vogliono attaccare Maiori. Lì, lì, a babordo! Sono saraceni! I pirati”. Messi sull’avviso, anche i compagni notano le imbarcazioni. All’unisono, i tre aumentano la voga e si precipitano verso la spiaggia di Atrani.
Scesi a terra, i fratelli si precipitano in giro per il paese e danno l’allarme mentre il terzo accende un grosso falò sulla spiaggia, utilizzando tutto quello che gli capita fra le mani di utile per la combustione. Quindi, fa le segnalazioni convenute per avvertire del pericolo i paesi vicini.
Intanto, richiamati dal frastuono e dalle urla, accorrono i paesani. Appresa la notizia, capiscono la grave situazione ed il potenziale rischio per Atrani.
Un gruppo di giovani, allora, armatisi con coltellacci, arpioni e grosse fiocine, come obbedendo ad un ordine che nessuno impartisce, senza pensarci due volte, spingono diversi gozzi a mare, si imbarcano in fretta e dirigono la prua verso Maiori per portare aiuto. Arrivano giusto in tempo perché i pirati, più numerosi oltre che più esperti nel maneggio delle armi, sono sul punto di avere la meglio. Sbarcati senza farsi notare ed in silenzio, i nuovi arrivati si lanciano come furie sui saraceni che vengono presi alle spalle ed alla sprovvista.
Così, viribus unitis, Maioresi ed Atranesi lottano fianco a fianco contro il nemico comune. Lo scontro è duro e sanguinoso fino a che i difensori riescono a ricacciare in mare gli invasori che, a mala a pena, fanno in tempo ad arrampicarsi sulle navi in attesa poco lontano. Dispiegate le vele, ripartono in fretta scomparendo all’orizzonte.
Grida di gioia ed esultanza collettiva!
Baci ed abbracci per lo scampato pericolo!
Qualcuno si mette a saltellare scompostamente.
Un altro si fa il segno della croce ed intona il Te Deum ….
Ma è un attimo.
La vittoria é costata cara.! Molto cara!
Passata la prima euforia si contano i morti ed i feriti.
Sono tante le vittime! Soprattutto fra i difensori!.
Corpi senza vita galleggiano sull’acqua.
Lamenti e richieste di aiuto si odono dappertutto.
Pianti e grida di dolore dei feriti che si mescolano alla disperazione dei parenti dei caduti.
Il breve tratto di mare antistante la spiaggia, dove più aspro è stato lo scontro, è diventato di colore rosso! Infatti, l’acqua marina confondendosi con il sangue che sgorga dalle ferite delle vittime ha cambiato tinta: è rossa!
Una tristezza indicibile prende alla gola e bagna gli occhi di lacrime.
Non c’è più gioia né tantomeno esultanza.
La felicità per lo scampato pericolo è scomparsa come d’incanto lasciando spazio alla dura realtà.
Intanto, in questa situazione surreale, un vecchio lupo di mare, sopravvissuto allo scontro, rimane taciturno e riflessivo.
Poi, improvvisamente si sfoga ad alta voce: “E’ sangu nuosto”! Dopo una breve pausa “E’ sangu nuost”, insiste.
I presenti si guardano basiti fra di loro.
Non c’è tempo per pensare. E’ un attimo!
Subito, un altro degli astanti: “E’ sangu nuost”. Così un terzo…. successivamente un quarto … un quinto … infine tutti insieme quasi in coro: “E’ sangu nuost”.
E’ la scossa, il risveglio dal torpore della malinconia. La scintilla che riaccende gli animi.
In quel grido c’è tutta la gioia di essere ancora vivi, la consapevolezza di aver difeso se stessi, la famiglia, il proprio paese e le povere cose di cui poter ancora godere. Ma c’è anche l’ orgoglio della vittoria ottenuta anche se a caro prezzo. La tristezza scompare, al suo posto la voglia di ricominciare.
Fu così che tutti, Atranesi e Maioresi, uomini e donne, combattenti e non, si stringono in un abbraccio fraterno ripetendo per l’ennesima una volta: E’ sangu nuosto”come se fosse una parola d’ordine.
E’ l’inizio dell’ amicizia fra le due comunità vicine e che dura ancora oggi.
Infatti, l’episodio viene ricordato con un falò sulla spiaggia di Atrani o di Maiori nella ricorrenza del dies natalis delle rispettive patrone.
Continua
Andrea Cavaliere
Atrani, 23 maggio 2020