Il COVID-19 nei bambini. Il collegamento con la Kawasaki. La parola al Pediatra
Il COVID-19, la malattia provocata dal SARS-CoV-2, manifestatasi per la prima volta in Cina a fine 2019 e divampata in pochi mesi come una pandemia in tutti i continenti, con attualmente più di 3 milioni e 250 mila casi confermati e quasi 250mila decessi, manifesta uno spettro quanto mai ampio di sintomi, sia come varietà che come gravità, da forme asintomatiche e paucisintomatiche a forme con polmonite bilaterale che possono portare a insufficienza respiratoria e complicazioni a tutti gli organi. In base ai dati a oggi disponibili, raccolti da una completa revisione sistematica a cura dell’Università di Pavia pubblicata su Jama Pediatrics, l’infezione da SARS-CoV 2 sembrerebbe colpire meno frequentemente i bambini e gli adolescenti (0-19 anni) e decorrere con un andamento molto meno grave e letale di quello riportato in età adulta. La prevalenza in età evolutiva è riportata nella casistica cinese pubblicata su Jama in una percentuale inferiore all’1% da 0 a 10 anni, che arriva al 2% se si considera l’età fino a 19 anni; anche le casistiche italiane al 30 marzo riportano percentuali analoghe nella fascia 0-19 anni (1,4%). Tutta l’età evolutiva può essere colpita, dall’epoca neonatale all’adolescenza. Le casistiche cinesi riportano, a differenza che negli adulti, solo una lieve prevalenza del sesso maschile. Il contagio avviene soprattutto in famiglia: i bambini affetti sono probabilmente sempre casi sentinella di contagi intra-familiari. L’incubazione è riportata essere nei bambini mediamente di 5 giorni (range 2-14 giorni). La guarigione clinica si ha di solito in 1-2 settimane. Nei report cinesi, i casi asintomatici tra i bambini vanno dal 4 a oltre il 15%. In uno studio cinese, il 90% dei casi pediatrici aveva sintomi lievi o moderati, il 5% importanti con dispnea, cianosi, ipossia, e lo 0,6% pericolosi per la vita; in un altro studio cinese, solo l’1.7% dei casi ha avuto insufficienza respiratoria che ha richiesto terapia intensiva (bambini con condizioni patologiche gravi preesistenti). I sintomi più comunemente riportati nelle varie casistiche infantili sono febbre, tosse secca, faringite, rinite, astenia, dolori muscolari, cefalea, nausea, vomito e diarrea, difficoltà di alimentazione, ipersonnia, manifestazioni cutanee. Tra le eruzioni cutanee, oltre a quelle virali aspecifiche (rash e orticaria) in Italia è stata diffusamente segnalata soprattutto tra bambini in età scolare e adolescenti, anche in assenza di altra sintomatologia, la presenza di lesioni simili ai geloni sulla dita dei piedi e talvolta la superficie dei piedi e raramente sulle mani, definite “Erythema Pernio Like”, espressione di acro-ischemia acuta e acro-dermatite associata a vasculite da Coronavirus alle estremità. Le lesioni inizialmente hanno un colore rosso-violaceo o bluastro, poi possono diventare bollose o presentare croste nerastre; sono di solito dolenti; si auto.risolvono nel giro di 2-4 settimane con completa restitutio ad integrum. La polmonite è riportata in uno studio cinese nel 64,9% dei bambini diagnosticati. Alla radiografia toracica la caratteristica più comunemente riportata è la presenza di opacità cosiddetta a vetro smerigliato, talora anche nei pazienti asintomatici. Come indici di laboratorio, nelle casistiche cinesi vengono riportati raramente linfopenia e aumento PCR, a differenza degli adulti; talvolta si sono trovate alterazioni degli indici di funzionalità epatica, aumento di LDH e D-dimero, specie nei casi più gravi. Nelle ultime settimane è stato segnalato, nelle zone dell’Italia e della Gran Bretagna più colpite dall’epidemia da SARS-COV-2, un incremento di casi di Malattia di Kawasaki, spesso con un quadro clinico incompleto o atipico, resistenza al trattamento con immunoglobuline endovena e tendenza a complicarsi con la sindrome di attivazione macrofagica, che ha richiesto a volte trattamenti di seconda linea e il ricovero in terapia intensiva pediatrica. Una quota di questi bambini ha presentato, in occasione del ricovero o nelle settimane precedenti all’esordio, un tampone positivo per l’infezione da SARS-COV-2 o contatti con pazienti affetti, o positività alla sierologia per il Coronavirus. Si ritiene che il virus SARS-COV-2, scatenando una reazione infiammatoria abnorme, possa favorire il manifestarsi, in soggetti predisposti, di altre malattie su base infiammatoria, anche a distanza di tempo dall’infezione, come la Kawasaki. La malattia di Kawasaki fu descritta per la prima volta nel 1967 in Giappone dal pediatra Tomisaku Kawasaki, da cui prende il nome. Si tratta di una vasculite febbrile che colpisce le arterie di media e piccola dimensione di tutto il corpo, con particolare aggressività sulle coronarie, che a causa dell’infiammazione possono andare incontro in alcuni tratti a dilatazioni (aneurismi). Pur diffusa in tutto il mondo, è più comune nei bambini asiatici, soprattutto giapponesi, e molto rara nella razza negra. L’incidenza è maggiore in tardo inverno e inizio primavera. Sono leggermente più colpiti i maschi. Interessa bambini da 0 a 8 anni, soprattutto sotto i 4-5 anni (80%) e in particolare il 50% dei casi è sotto i 2 anni, ma solo il 2-10% dei bambini colpiti è sotto i 6 mesi. E’ rara in lattanti sotto i 4 mesi e negli adolescenti. In Italia l’incidenza è di 14 bambini ogni 100.000 per anno. La causa è sconosciuta, probabilmente si tratta di una risposta immunologica anomala a un’infezione, come potrebbe essere anche il COVID-19, in bambini geneticamente predisposti. Sintomo cardine è la febbre molto elevata (39-41 °C) resistente al trattamento antibiotico e ai farmaci antipiretici, della durata di più di cinque giorni, con aspetto sofferente, e vari altri sintomi: congiuntivite bilaterale con arrossamento degli occhi senza secrezione, alterazioni delle labbra e della bocca (arrossamento, secchezza, fissurazioni, croste, lingua a fragola o violacea, faringite), eruzione cutanea diffusa, anomalie delle estremità (eritema del palmo delle mani e della pianta dei piedi color rosso porpora, edema duro al dorso delle mani e dei piedi, tumefazioni delle dita, durante la seconda settimana di malattia, desquamazione lamellare delle dita delle mani e dei piedi), tumefazione dei linfonodi del collo (monolaterale), di consistenza dura e dolente alla palpazione. La diagnosi è solo clinica, non esiste un test di laboratorio specifico. Sono comuni reperti di laboratorio: leucocitosi neutrofila, aumento di VES e PCR, aumento di AST e ALT, aumento del fibrinogeno, lieve anemia, ipoalbuminemia, aumento delle gammaglobuline, nelle urine proteinuria e leucocituria; piastrinosi nella seconda-terza settimana. Le complicanze cardiache si verificano nel 5-25% dei casi non trattati. La terapia si basa sulla combinazione di immunoglobuline per via endovenosa e aspirina per via orale a dosaggio antinfiammatorio. La terapia per essere efficace va iniziata entro i primi 10 giorni di malattia. Quando il paziente non risponde alla cura standard, secondo step è l’infliximab, un anticorpo monoclonale, che si usa per via endovenosa in bambini al di sopra dei 3 anni. Tornando al COVID-19, non è chiaro perché i bambini siano meno esposti degli adulti. Si avanzano diverse ipotesi: diversa espressione dei recettori ACE2 attraverso cui il virus entra nelle cellule, maggiore risposta immunitaria innata, migliore risposta linfocitaria verso l’infezione virale, livelli più elevati di anticorpi contro altri Coronavirus umani (responsabili di comuni raffreddori), minore tendenza all’infiammazione sistemica (minor produzione di IL-6, che è implicata nella risposta iper-infiammatoria che ha effetti devastanti), protezione da parte dei vaccini del normale calendario vaccinale, presenza simultanea di altri virus che replicano nelle mucose del tratto respiratorio con effetto competitivo, minor esposizione al fumo di sigaretta. Per la diagnosi, il tampone rino-faringeo spesso può essere falsamente negativo nei bambini, per cui, in caso di forte sospetto diagnostico, è necessario ripeterlo oltre a integrarlo con esame sierologico ed eventualmente ricerca del virus anche su campione di feci. Per la diagnosi di polmonite interstiziale è più utile la Tac ad alta risoluzione rispetto alla sola Radiografia del torace (ma da evitare se la Radiografia è fortemente suggestiva in associazione alla clinica). L’ecografia polmonare non è diagnostica ma è utile per screening e monitoraggio della polmonite. In caso di sospetto diagnostico (bambino con sintomatologia compatibile con infezione da COVID-19 ed esposto a familiare/convivente accertato o a provenienza da focolaio di contagio), il pediatra curante del bambino deve mettersi in contatto col centro di riferimento identificato dalla Regione, che, attraverso un numero telefonico dedicato, stabilisce l’indicazione a far condurre il piccolo presso il centro COVID ed eventualmente ricoverato o gestirlo al proprio domicilio in isolamento.
Carlo Alfaro, pediatra aslnapoli3sud